La norma sul divieto delle immissioni che superino la normale tollerabilità mira alla tutela della proprietà nella sua pienezza, con riferimento alle multiformi esigenze di vita e di piena fruibilità del bene e non solo alla tutela della salute in quanto tale.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 6786 del 2 aprile 2015
Il caso
Un condomino di uno stabile evocava innanzi il giudice di pace il titolare di una gelateria in quanto questi aveva installato sotto il proprio balcone due grossi ventilatori che facevano parte di impianti di condizionamento. Si lamentava, in particolare, che tali ventilatori erano stati fissati alla parete dello stabile “senza la necessaria autorizzazione del condominio e che producevano rumori, molestie ed immissioni intollerabili ex art. 844 c.c. , ledendo altresì il decoro architettonico del fabbricato condominiale”.
Il Giudice di pace accoglieva la domanda ma la sentenza veniva ribaltata in appello. Da qui il ricorso per cassazione.
Il motivo del ricorso relativo alla violazione dell’articolo 844 c.c.
Il ricorrente si lamenta, tra l’altro, che il Tribunale, nell’accogliere il gravame, ha ritenuto che non era stata provata l’asserita intollerabilità delle immissioni, con riferimento ad una effettiva e concreta lesione del bene primario della salute, e che il medesimo giudice aveva rilevato altresì che tali apparecchiature erano necessarie per l’attività aziendale della convenuta, che erano in funzione solo per il periodo estivo e per qualche ora al giorno ed avevano sostituito infine il precedente impianto di condizionamento della vecchia gestione della gelateria. In definitiva, per il giudice di appello, l’attività posta in essere dall’appellato doveva ritenersi legittima e quindi consentita, non sussistendovi i presupposti di cui all’art. 844 c.c.
La tutela della salute non è il solo parametro di riferimento per la valutazione della intollerabilità delle immissioni.
La Suprema Corte, dopo aver enunciato il dato letterale dell’articolo 844 c.c. ha stabilito che tale norma “in linea di principio mira alla tutela della proprietà nella sua pienezza, con riferimento alle multiformi esigenze di vita e di piena fruibilità del bene e non dunque solo alla tutela della salute in quanto tale”.
La connessione con il diritto alla salute
Per la Suprema Corte “tuttavia è innegabile che comunque sussista una stretta connessione tra immissioni e diritto alla salute, in un’interpretazione della norma costituzionalmente orientata e generalmente accolta dalla giurisprudenza (v. Cass. n. 5564 dell’8.2.2010; Cass. n. 939 del 17.01.2011)”.
Una breve riflessione
Pronuncia davvero interessante quella in argomento. Difatti, l’articolo 844 del codice civile, in tema di immissioni, viene quasi sempre ad essere correlato al diritto alla salute, bene costituzionalmente garantito dall’articolo 32 della Carta Costituzionale.
Ne consegue che, secondo un orientamento interpretativo, tutte le volte in cui si verifichino immissioni che, pur superando la normale tollerabilità, non cagionino un danno alla salute, il soggetto che riceve tali immissioni rimarrebbe sfornito di tutela.
Ed è proprio questo l’orientamento seguito dal Tribunale in sede di appello.
Il giudice di appello ha, difatti, ribaltato la sentenza di primo grado sul presupposto che non era stata provata l’asserita intollerabilità delle immissioni, con riferimento ad una effettiva e concreta lesione del bene primario della salute.
Perché la Suprema Corte cassa la sentenza del giudice di appello
Ma la Suprema Corte censura tale ragionamento, affermando che, viceversa, pur essendo innegabile una stretta connessione tra immissioni e diritto alla salute, tuttavia la norma in materia di immissioni, ex art. 844 c.c., tutela la proprietà nella sua pienezza “con riferimento alle multiformi esigenze di vita e di piena fruibilità del bene”.
E’ una questione di bilanciamento di interessi.
La sentenza in commento appare interessante anche in un’altra prospettiva. Essa affronta e risolve una tensione tra contrapposti interessi: da un lato quello del proprietario; dall’altro, quello dell’imprenditore (nel nostro caso, ma potrebbe trattarsi anche di un altro proprietario). Due interessi contrapposti, ciascuno meritevole di tutela e costituzionalmente garantito.
In mezzo, il diritto alla salute. Diritto alla salute che non è solo quello del proprietario, ma quello di ogni cittadino. Diritto, anch’esso garantito e protetto a livello di norme costituzionali.
Il coraggio della sentenza in argomento sta proprio in ciò: senza voler sminuire il diritto alla salute, la cui tutela sembra innegabile a fronte di immissioni, la Suprema Corte lancia un monito a difesa dei diritti del proprietario in quanto tale, a prescindere dalla effettiva e concreta violazione del diritto alla salute: se, a causa di immissioni intollerabili, si verifica una menomazione dei diritti del proprietario in quanto tale, allora le immissioni devono cessare, a prescindere, come sopra detto, dalla lesione del bene salute.
In altri termini, la Suprema Corte opera un rilettura della norma dell’articolo 844 c.c., superando (o meglio precisando), per certi versi, la preesistente e dominante interpretazione giurisprudenziale (Cass. n.5564/2010, Cass.3438/2010) per giungere ad effettuare un bilanciamento di interessi (tra proprietario e imprenditore, o tra proprietario e proprietario) a favore non del proprietario in quanto tale, ma del diritto di proprietà inteso nella sua pienezza.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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