Se risulta che il testamento olografo sia falso a seguito di parti aggiunte non dal testatore, qualora queste non stravolgano l’intero senso della volontà del de cuius, in sede penale il giudice non può dichiarare la falsità dell’intera scheda testamentaria.
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. V Penale, con la sentenza 4 novembre – 2 dicembre 2014, n. 50355
Il caso.
Un soggetto veniva assolta dal reato di falso in testamento per non essere stato l’autore delle false aggiunte e dal reato di tentata truffa per non aver tentato di indurre in errore l’esecutotre testamentario utilizzando il falso documento.
Il giudice penale dichiarava altresì la falsità del testamento.
Ricorreva in appello la beneficiaria del testamento la quale, evidentemente, a seguito della dichiarazione di falsità del testamento, si vedeva svanire la possibilità di ereditare i beni del defunto sulla base della disposizione testamentaria dichiarata falsa.
Ma la Corte di appello confermava la sentenza di primo grado.
Da qui il ricorso per cassazione della beneficiaria.
La Corte di cassazione ribalta il verdetto, annullando la sentenza e rinviando ad altra sezione della Corte di appello per nuovo esame.
Precisa la Suprema Corte che “una cosa è la nullità o la annullabilità civilisticamente intese (che vanno eventualmente accertate nella deputata sede processuale), altra cosa è la falsità come rilevante in diritto penale. Se falsità è immutatio veri – prosegue la Corte -, è di tutta evidenza che solo una alterazione (materiale, nel caso in esame) significativa del documento originale può e deve essere presa in considerazione. Se, come nel caso di specie, la parte aggiunta e/o alterata è nettamente e agevolmente distinguibile dalla parte originaria, è ovvio che la falsità, se deve essere dichiarata, deve essere dichiarata in parte qua, non dovendosi (né potendosi), oltretutto, il giudice penale sostituire a quello civile in quello che è un accertamento connotato da squisito tecnico, ancorato ai principi di quel ramo dello scibile giuridico”.
Conclude la Corte che “se il senso e il valore dell’intero documento risultassero del tutto sconvolti da tali “innesti”, tanto da non potersi ricostruire l’originaria volontà di chi esso ebbe a scrivere, la falsità (ai fini penalistici) investirebbe l’intero documento.
Avv. Filippo Pagano
managing partner at clouvell