Il titolare di un’attività commerciale può procedere alla videosorveglianza di una parte del proprio locale. Detta attività, però, integrando un “trattamento di dati personali” ai sensi dell’art. 4, lettere a) e b), del d.lgs. n. 196 del 2003, e riguardando la “raccolta” dell’”immagine” delle persone, deve formare oggetto di informativa rivolta ai soggetti che accedevano al locale ove è installata la videocamera, con le forme di cui alla citata regolamentazione. In particolare, il supporto con l’informativa deve essere collocato nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze, non necessariamente a contatto con la telecamera; deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere chiaramente visibile; può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita e immediata comprensione, eventualmente diversificati se le immagini sono solo visionate o anche registrate.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 17440 del 2 settembre 2015
Il caso
Il giudice di merito ha accertato che l’attività oggetto di contestazione (installazione di una videocamera per rilevare le presenze nel locale al piano terra onde consentire al titolare di controllare dal laboratorio, collocato su un soppalco, gli accessi al locale stesso) integrasse un trattamento rilevante ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 196 del 2003 ma ha, al contempo, ritenuto di non poter ravvisare nella ripresa delle immagini di coloro che frequentavano il locale al piano terra la consistenza di un dato personale.
La nozione di “dato personale”
Ai sensi del medesimo art. 4, comma 1, lettera b), costituisce “”dato personale”, qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”. Ciò posto, il Tribunale ha ritenuto che l’immagine di una persona non potesse essere definita dato personale in assenza di elementi oggettivi che ne consentano una potenziale identificazione. Ciò a cagione delle modalità e della funzione della videoripresa, finalizzata unicamente a consentire al titolare dell’esercizio di controllare l’accesso di persone sospette nel proprio locale al piano terreno per il tempo in cui lo stesso si trovava nel laboratorio collocato su un soppalco, in assenza di ogni potenziale identificabilità delle persone riprese – peraltro da un apparecchio di non elevata definizione – senza alcuna possibilità di registrazione delle immagini stesse.
L’immagine della persona e la nozione di “dato personale”.
Per il giudice di merito “l’immagine di una persona, pur possedendo capacità identificativa del soggetto, quando viene trattata non integra automaticamente la nozione di “dato personale”, agli effetti del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ma lo diviene qualora chi esegue il trattamento la correli espressamente ad una persona mediante didascalia od altra modalità, quale un’enunciazione orale, da cui sia possibile identificarla, restando invece irrilevante, in mancanza di tali indicazioni, la circostanza che chi percepisce l’immagine sia in grado, per le sue conoscenze personali, di riconoscere la persona ritratta” (Cass. n. 12997 del 2009). E, su tale base, ha quindi ritenuto insussistente, nella specie, l’obbligo per il titolare dell’esercizio, di apporre l’informativa di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 196 del 2003.
Per la Suprema Corte nella fattispecie sussistono sia il “trattamento” che il “dato personale”.
Di contrario avviso i giudici di piazza Cavour i quali ritengono invece che nella vicenda oggetto di sanzione sussistano entrambi gli elementi in presenza dei quali l’art. 13 prescrive l’obbligo di informativa:
- il trattamento, consistente nella raccolta delle immagini delle persone che accedono nel locale e vengono riprese da una videocamera non segnalata, e
- il dato personale.
L’immagine costituisce un “dato personale”.
Invero – prosegue la Suprema Corte – non appare possibile dubitare del fatto che l’immagine costituisca dato personale, rilevante ai sensi dell’art. 4, comma l, lettera b), del d.lgs. n. 196 del 2003, trattandosi di dato immediatamente idoneo a identificare una persona, a prescindere dalla sua notorietà.
I precedenti della Suprema Corte……
Del resto, già Cass. n. 14346 del 2012 ha affermato che “non può dubitarsi, nonostante in dottrina sia stato sollevato qualche dubbio al riguardo, che anche l’immagine di una persona, in sé considerata, quando in qualche modo venga visualizzata o impressa, possa costituire “dato personale” ai sensi dell’art. 4, lett. b), del d.lgs. n. 196 del 2003, noto anche come “codice privacy”.
… e del Garante.
In tal senso, invero, depongono specifiche decisioni del Garante per la protezione di dati personali (21 ottobre 1999; 4 ottobre 2007, 18 giugno 2009, n. 1623306), nonché la decisiva circostanza della previsione, nell’ambito del codice privacy, di una specifica norma (art. 134) in materia di videosorveglianza. Mette conto di richiamare, inoltre, la Convenzione n. 108/1981 del Consiglio d’Europa; la direttiva n. 95/46 CE, art. 2, lett. a), nonché il documento di lavoro sulla videosorveglianza WP67/2002, adottato il 25 novembre 2002 dal Gruppo dei Garanti europei costituito ai sensi dell’art. 29 della citata direttiva.
L’attività di ripresa, pur se giustificata, avrebbe dovuto formare oggetto di informativa.
Nel caso di specie, se la possibilità della installazione della videocamera poteva ritenersi giustificata dalle esigenze di sicurezza prospettate dal titolare dell’esercizio commerciale, certamente la detta attività, integrante, come detto, trattamento di dati personali, avrebbe dovuto formare oggetto di apposita informativa ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 196 del 2003.
Il Provvedimento del Garante del 29 aprile 2004
Ricordano gli Ermellini che il Provvedimento del Garante del 29 aprile 2004, applicabile ratione temporis, prevede che “a differenza dei soggetti pubblici, i privati e gli enti pubblici economici possono trattare dati personali solo se vi è il consenso preventivo espresso dall’interessato, oppure uno dei presupposti di liceità previsti in alternativa al consenso (artt. 23 e 24 del Codice). In caso di impiego di strumenti di videosorveglianza da parte di privati ed enti pubblici economici, la possibilità di raccogliere lecitamente il consenso può risultare, in concreto, fortemente limitata dalle caratteristiche e dalle modalità di funzionamento dei sistemi di rilevazione, i quali riguardano spesso una cerchia non circoscritta di persone che non è agevole o non è possibile contattare prima del trattamento. Ciò anche in relazione a finalità (ad es. di sicurezza o di deterrenza) che non si conciliano con richieste di esplicita accettazione da chi intende accedere a determinati luoghi o usufruire di taluni servizi“.
Con specifico riferimento alla videosorveglianza, il già ricordato Provvedimento del 29 aprile 2004, prevede al paragrafo 3 che “gli interessati devono essere informati che stanno per accedere o che si trovano in una zona videosorvegliata e dell’eventuale registrazione; ciò anche nei casi di eventi e in occasione di spettacoli pubblici (concerti, manifestazioni sportive) o di attività pubblicitarie (attraverso web cam). L’informativa deve fornire gli elementi previsti dal Codice (art. 13) anche con formule sintetiche, ma chiare e senza ambiguità“, con la precisazione che il Garante ha individuato, ai sensi dell’art. 13, comma 3, del Codice un modello semplificato di informativa “minima””, riportato in allegato.
Il modello di informativa rilasciato dal Garante.
Il Garante ha stabilito che “il supporto con l’informativa: deve essere collocato nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze, non necessariamente a contatto con la telecamera; deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere chiaramente visibile; può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita e immediata comprensione, eventualmente diversificati se le immagini sono solo visionate o anche registrate”.
In conclusione
Per i giudici di Piazza Cavour, dalle considerazioni sin qui svolte, discende che:
- il titolare dell’attività commerciale poteva procedere alla videosorveglianza del piano terra del proprio locale;
- tale attività integra un “trattamento di dati personali” ai sensi dell’art. 4, lettere a) e b), del d.lgs. n. 196 del 2003, riguardando la “raccolta” dell'”immagine” delle persone;
- la detta attività avrebbe dovuto formare oggetto di informativa rivolta ai soggetti che accedevano al locale ove era installata la videocamera, con le forme di cui alla citata regolamentazione.
E poiché il titolare a tanto non ha provveduto, la sentenza impugnata, che aveva accolto l’opposizione avverso la sanzione comminata dall’Autorità garante, viene cassata.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna è davvero interessante perché introduce una soluzione interpretativa per così dire innovativa rispetto a precedenti pronunzie di segno contrario, come dimostrato anche dalla compensazione delle spese di lite “in considerazione dei dubbi interpretativi derivanti anche da pronunce di questa Corte“.
Dunque, la Suprema Corte interviene sulla nozione di “immagine” la quale, di per sé sola, costituisce dato personale.
A nulla rileva che non avvenga la registrazione delle immagini, essendo sufficiente anche la semplice visione in “tempo reale” per far scattare gli obblighi informativi.
L’attività (ripresa di immagini) non è vietata, ma lecita. Ma lecita ad una condizione: che venga fornita una adeguata informativa alle persone che accedono ai locali in cui avviene la ripresa.
Occorre adesso valutare l’impatto di tale decisione su numerosissime ipotesi assimilabili a quella in esame, ipotesi che sono del tutto sottratte, di fatto, alla informativa del Garante.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)