In tema di sequestro di somme di danaro, in assenza di qualsiasi elemento idoneo a specificare l’esistenza di un delitto presupposto, dal quale abbia avuto origine quella somma tratta in sequestro, il provvedimento assunto appare viziato da violazione di legge poiché del tutto arbitrario si prospetta profilare un’ipotesi di riciclaggio.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – seconda sezione penale – con sentenza n°9224 del 16 febbraio 2017
Il caso
Con ordinanza emessa in data 22 febbraio 2016, il Tribunale per il riesame di Reggio Calabria respingeva l’istanza di riesame avanzata nell’interesse di tre indagati nei confronti del decreto di convalida di sequestro e del decreto di sequestro disposti dal Pubblico Ministero nei confronti di ingenti somme di denaro in parte contante (126.380,00 €) ed in parte in titoli (€1.060.748,58), ritenuti corpo del reato in relazione alla contestazione dell’art. 648 bis cod.pen. elevata a carico dei predetti indagati.
La tesi del Tribunale del riesame
Riteneva il Tribunale del riesame, in relazione al fumus del commissi delicti, che non richiedendosi una formale verifica della fondatezza dell’accusa appariva sufficiente sussumere i fatti in una determinata ipotesi di reato e valutare una relazione di immediatezza tra res ed ipotesi di reato.
Il ricorso per cassazione
Avverso detto provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore degli indagati deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e difetto assoluto di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del fumus del delitto contestato nei distinti provvedimenti di sequestro e di convalida, in relazione all’assenza di relazione di immediatezza tra res e delitto contestato, all’assenza di qualsiasi indicazione circa il reato presupposto del contestato riciclaggio ed alla presenza, invece, di specifici elementi per ritenere che gli indagati avessero accumulato le somme di denaro nel tempo; a tali conclusioni doveva pervenirsi in forza della consulenza contabile depositata ed in considerazione dello stato di incensuratezza degli indagati e della assenza di contatti con ambienti criminali da parte dei medesimi.
La decisione della Suprema Corte
Ricorda la Suprema Corte che il decreto di sequestro probatorio di cose costituenti corpo di reato deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione, in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti, avuto riguardo ai limiti imposti all’intervento penale sul terreno delle libertà fondamentali e dei diritti dell’individuo costituzionalmente garantiti, quale è il diritto di proprietà garantito dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Sez. 3, Sentenza n. 37187 del 06/05/2014, Rv. 260241). Inoltre – proseguono gli Ermellini – in tema di sequestro di somme di denaro genericamente collegato ad un fatto di reato, si è viepiù aggiunto che ai fini della legittimità del sequestro probatorio non è necessaria la prova del carattere di pertinenza o di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo, essendo sufficiente la semplice possibilità, purchè non astratta ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, della configurabilità di un rapporto di queste con il reato (Sez. 2, n.26301/2016; Sez. 6, n. 33229 del 02/04/2014 Rv. 260339).
Ancora – secondo i giudici di piazza Cavour – in tema di reati di cui agli artt. 648 e seguenti cod.pen. si è affermato che la fattispecie criminosa di ricettazione è configurabile non già con il riferimento, in contestazione, ad una provenienza delittuosa del bene non meglio identificata, poiché è necessario che il delitto presupposto, se pure non giudizialmente accertato, sia specificato (Sez. 2, n. 26308 del 22/06/2010, Rv. 247742) precisandosi in motivazione che correttamente veniva esclusa l’astratta configurabilità del reato di ricettazione di somme di denaro per la mancata specificazione del reato presupposto, posto che la contestazione era genericamente formulata con riferimento a banconote ” di sicura provenienza delittuosa”, senza che fosse consentito, quindi, la individuazione del nesso di derivazione delle somme da una precedente e distinta condotta delittuosa, come richiesto dall’art.648 c.p.
La necessità della esistenza di un delitto anteriore
Tale motivazione viene condivisa dalla Suprema Corte con la decisione in rassegna in quanto l’esistenza di un delitto anteriore, se pure non giudizialmente accertato, deve comunque ricorrere ai fini dell’astratta configurabilità della condotta criminosa prevista dall’art. 648/648 bis cod.pen., nel senso che la sua sussistenza deve comunque risultare al giudice (Cass. n. 2990/96). Non vi è dubbio, infatti – concludono gli Ermellini – che il reato presupposto integra la fattispecie della ricettazione o del riciclaggio ed incide sulla completezza della contestazione.
Perchè la Corte cassa il provvedimento impugnato
Per i giudici della Suprema Corte, tali fondamentali principi non paiono osservati nel caso in esame perché, come osservato dai ricorrenti, “il reato presupposto del contestato riciclaggio nel provvedimento di sequestro è totalmente frutto di una mera ipotesi astratta basata esclusivamente sulla quantità del denaro rinvenuto però in possesso di tre distinti soggetti e gran parte del quale investito in titoli posseduti in maniera trasparente; pertanto la valutazione di pertinenza al contestato delitto di ricettazione che non pare confortata da alcun elemento concreto poiché il mero possesso di un’ingente somma di denaro non può giustificare ex se, in assenza di qualsiasi riscontro investigativo, l’elevazione di un’imputazione di riciclaggio senza che sia in alcun modo stata verificata l’esistenza di un delitto presupposto, od anche solo l’esistenza di relazioni tra il ricorrente ed ambienti criminali, ovvero la precedente commissione di fatti di reato dai quali era derivato quel denaro, o l’avvenuto compimento di operazioni di investimento comunque di natura illecita a qualsiasi titolo”.
In assenza, quindi, di qualsiasi elemento idoneo a specificare l’esistenza di un delitto presupposto, dal quale abbia avuto origine quella somma tratta in sequestro, il provvedimento assunto – a giudizio dei giudici di piazza Cavour – appare viziato da violazione di legge poiché “del tutto arbitrario si prospetta profilare un’ipotesi di riciclaggio e ciò, ancor di più, se si tiene conto dell’apparente attività di commercio svolta dagli indagati e dalla progressiva accumulazione dei capitali investiti in titoli che non trova, quanto meno allo stato, neppure smentita alcuna bensì conforto nella relazione contabile di parte. Né il sequestro probatorio può trovare giustificazione nella sussistenza di sproporzione tra redditi e patrimonio accumulato da parte degli indagati; nel caso in esame infatti – scrivono i giudici di legittimità – non si verte in ipotesi di sequestro probatorio funzionale alla confisca ex art. 12 sexies. Da qui l’annullamento dell’impugnata ordinanza ed dei decreti di sequestro probatorio
Una breve riflessione
Interessante decisione quella in rassegna. I giudici di legittimità delineano chiaramente quali siano i confini per la emissione ed il mantenimento di un decreto di sequestro probatorio in materia di riciclaggio, ponendo l’attenzione sulla necessaria sussistenza del reato presupposto.
E se il reato presupposto non esiste o, comunque, non risulta neanche minimamente delineato nei suoi tratti essenziali, la contestazione di riciclaggio non regge e, di conseguenza, non può trovare alcuna giustificazione un provvedimento di sequestro probatorio di somme di danaro. D’altronde, elementi di sussistenza del reato non possono essere tratti dalla sola sussistenza di sproporzione tra redditi e patrimonio, in assenza di ulteriori elementi sintomatici.
Come dire, il reato di riciclaggio sussiste solo se ed in quanto sussiste il reato presupposto. E se quest’ultimo non viene delineato nei suoi elementi essenziali, allora qualsiasi provvedimento cautelare si tramuterebbe in una indebita ingerenza sul terreno delle libertà fondamentali e dei diritti dell’individuo garantiti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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