Prima dell’inizio del dibattimento, il giudice non può non ammettere le prove richieste che non risultino manifestamente superflue mentre, nel corso del giudizio, può revocare l’ammissione di prove che appaiono superflue in base allo stato dell’istruzione dibattimentale.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione quarta penale – con sentenza n. 15192 del 10 aprile 2015.
Il fatto
Un imputato, al quale veniva contestato il reato di guida in stato di ebbrezza, chiedeva l’assunzione di una prova testimoniale.
Il Tribunale respingeva tale richiesta e la Corte di appello confermava, sul punto, l’ordinanza. Da qui il ricorso per cassazione
Il ragionamento della Suprema Corte.
Secondo la Suprema Corte “il diritto dell’imputato all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, previsto dall’art. 495, comma secondo, cod. proc. pen. – norma di recepimento nel nostro ordinamento dell’art. 6 n. 3 lett. d) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per il quale ogni accusato ha diritto di ottenere la citazione e l’interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni di quelli a carico – non può subire compressioni se non quando le prove richieste siano appunto manifestamente superflue o irrilevanti, pena la nullità della sentenza (cfr. Sez. 5, n. 8842 del 21/06/1993 – dep. 27/09/1993, Locane, Rv. 195083; Sez. 6, n. 44736 del 24/09/2003 – dep. 20/11/2003, Mordeglia, Rv. 227322; Sez. 5, n. 26885 del 09/06/2004 – dep. 15/06/2004, Spinelli, Rv. 229883)”.
Gli obblighi del giudice di appello dinanzi al quale la violazione sia dedotta.
Per la Suprema Corte, qualora la violazione sia dedotta dinanzi il giudice di appello questi deve decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi previsti dall’art. 190 stesso codice (per il quale le prove sono ammesse a richiesta di parte), mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dal successivo art. 603 in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado (Sez. 6, n. 761 del 10/10/2006 – dep. 16/01/2007, Randazzo e altri, Rv. 235598).
La nozione di prove “manifestamene superflue”.
‘Manifestamente superflue’ é locuzione che chiaramente indica una evidenza della superfluità della prova richiesta tale da giustificare l’interdizione giudiziale anche prima che si sia dato inizio al procedimento di formazione della prova e quindi all’acquisizione di un compendio cognitivo che maggiormente e meglio può indirizzare il giudice verso una valutazione di superfluità o meno delle restanti prove da assumere.
Il potere del giudice di revocare l’ammissione di prove “superflue”.
Secondo gli Ermellini, “il potere del giudice di revocare l’ammissione di prove “superflue” in base alle risultanze dell’istruttoria dibattimentale (art. 495, comma 4 cod. proc. pen.) è ben più ampio di quello riconosciuto all’inizio del dibattimento (art. 190, comma 1 cod. proc. pen.) di non ammettere le prove vietate dalla legge e quelle “manifestamente” superflue o irrilevanti, in relazione al diverso grado di conoscenza della regiudicanda che caratterizza i due distinti momenti del processo (Sez. 6, n. 38812 del 08/07/2002 – dep. 19/11/2002, Mattana A, Rv. 224272).
Perché la Corte annulla la sentenza impugnata
Per la Suprema Corte, posto che ‘manifestamente superflua’ é quella prova che tende ad un risultato conoscitivo già acquisito, appare errata la decisione dei giudici di merito che hanno precluso l’ingresso di un dato non ancora acquisito, valutando a priori l’insufficienza del medesimo a contrastare la prospettazione accusatoria.
Una breve riflessione.
La sentenza in questione appare molto interessante, anche perché delinea nell’ordinamento interno principi che sono stati “elaborati”, ancor prima, a livello europeo.
La linea di confine sta proprio nella nozione di prove “manifestamente” superflue rispetto alla nozione di prove superflue.
Solo la prova che è manifestamente superflua può essere non ammessa dal giudice all’inizio del dibattimento, ma giammai la prova che, pur potendosi ritenere superflua, non lo sia manifestamente.
Quanto elaborato dalla Corte consacra proprio il principio della pari dignità iniziale delle prove a discarico rispetto alle prove a carico, dimodochè non consentire all’imputato di provare, a mezzo di testimoni, di confutare le prove a carico, costituisce violazione del diritto difesa e dei principi comunitari.
Ed il monito viene lanciato, dalla sentenza della Suprema Corte, non solo al giudice di primo grado, ma anche a quello di appello. Quest’ultimo non ha una ampio potere discrezionale, non dovendo effettuare la valutazione che, di norma, il giudice di appello fa riguardo alla richiesta di riapertura della istruzione dibattimentale. Il giudice di appello deve prendere atto che vi è stata una violazione nel giudizio di primo grado e deve porvi rimedio, ammettendo, senz’ulteriore indugio, la prova richiesta.
Quanto si legge nella motivazione è, senza dubbio, un principio garantista dei diritti dell’imputato. A fronte di un sistema giudiziario spesso al collasso, con tempi biblici nella soluzione giudiziaria delle accuse, non consentire all’imputato di poter provare la sua innocenza appare quasi una forzatura immotivata del sistema processual penalistico ed una violazione dei principi immanenti all’ordinamento democratico.
Il sistema giudiziario, se vuole guadagnare la fiducia dei cittadini e di coloro che vi incappano dentro, deve avere non solo delle regole uguali per l’accusa e la difesa, ma tali regole devono essere applicate in maniera eguale per l’accusa e la difesa.
La enunciazione di un principio, non seguito dalla corretta applicazione del principio, è la totale vanificazione di quel principio.
E nella specie, se il giudice di primo grado, non ammettendo la prova per testi richiesta, ha determinato, sia pure involontariamente, una accelerazione del processo, ora, quel processo, a seguito della sentenza di cassazione, dovrà iniziare daccapo. E nelle more si prescriverà. La giustizia ha perduto tempo. L’imputato, a meno che non deciderà di rinunziare alla prescrizione, non avrà una avuto una sentenza di merito come era suo diritto avere.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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