Prescrizione del reato e recidiva

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Ai fini del computo del termine di prescrizione occorre tener conto della recidiva contestata e ritenuta in sentenza, indipendentemente dall’esito di un eventuale giudizio di comparazione con circostanze attenuanti, e quindi anche nell’ipotesi in cui tale aggravante sia stata considerata subvalente.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione sesta penale – con sentenza n. 37900 depositata il 12 settembre 2019

Prescrizione del reato e recidiva
Prescrizione del reato e recidiva

Il caso
La Corte di appello di Cagliari confermava la condanna inflitta ad un imputato per il delitto di evasione, perché, autorizzato a raggiungere il luogo di sottoposizione agli arresti domiciliari a seguito di scarcerazione, quegli veniva sorpreso in altra strada, peraltro mentre si stava iniettando una dose di sostanza stupefacente.
Da qui il ricorso per cassazione articolato in due motivi:
vizio di motivazione, nella forma del travisamento della prova, poiché la sentenza impugnata aveva valorizzato la circostanza per cui egli fosse stato controllato dagli agenti di p.g. alle ore 18.00, laddove, invece, tanto sarebbe avvenuto alle 14.10, come si rileva dalla testimonianza dell’assistente di P.S.;
il reato sarebbe stato già prescritto all’atto della pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di fatto avvenuto il 17 dicembre del 2009.

La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso
Il ricorso viene dichiarato inammissibile perché entrambi i motivi sono manifestamente infondati.

Il primo motivo di ricorso
Quanto al primo – per i Giudici di legittimità – è vero che la Corte di appello è incorsa in un fraintendimento, ritenendo e valorizzando la circostanza per cui il controllo del’imputo, a seguito della sua scarcerazione avvenuta alle ore 13.20, fosse stato effettuato alle successive ore 18.00, anziché – come invece è accaduto – alle 14.10. Tuttavia, il vizio di travisamento della prova è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale-probatorio (così, tra moltissime altre, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Rv. 258774; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Rv. 237207). Tanto non può dirsi sia avvenuto nel caso in rassegna, poiché la differenza dell’orario in cui l’imputato è stato sorpreso fuori dall’itinerario per raggiungere la sua abitazione ed intento a fare tutt’altro, non incide comunque sulla configurabilità del reato.

Il secondo motivo
Anche il secondo motivo viene ritenuto manifestamente infondato. Risulta, infatti, contestata all’imputato la recidiva di cui all’art. 99, comma 4, cod. pen.: ne consegue che il termine di prescrizione, pari a sei anni dalla commissione del fatto (a norma dell’art. 157, comma 1, cod. pen.), ma prorogato a seguito delle varie interruzioni intervenute nel corso del giudizio, è aumentato nella misura massima di due terzi (art. 161, comma 2, cod. pen.), divenendo così pari a dieci anni e giungendo perciò a scadenza soltanto il 17 dicembre 2019.
Per gli Ermellini, “a nulla rileva, peraltro, che la recidiva, nel caso specifico, sia stata bilanciata con le circostanze attenuanti generiche, ai sensi dell’art. 69, cod. pen., con giudizio di equivalenza”.

Il principio di diritto
Ribadiscono, infatti, i Giudici di Piazza Cavour che “ai fini del computo del termine di prescrizione, infatti, occorre tener conto della recidiva contestata e ritenuta in sentenza, indipendentemente dall’esito di un eventuale giudizio di comparazione con circostanze attenuanti, e quindi anche nell’ipotesi in cui tale aggravante sia stata considerata subvalente (Sez. 2, n. 21704 del 17/04/2019; Sez. 2, n. 4178 del 5/12/2018, Rv. 274899; Sez. 5, n. 48891 del 20/09/2018, Rv. 274601; Sez. 7, n. 15681 del 13/12/2016, Rv.269669)”.
Del resto, appare insuperabile, in tal senso il dettato normativo dell’art. 157, comma 3, cod. pen., là dove espressamente afferma che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, «non si applicano le disposizioni dell’articolo 69» dello stesso codice.
Da qui, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Una breve riflessione
La sentenza in rassegna si pone nel solco della consolidato orientamento della Giurisprudenza di legittimità.
Si evidenzia che il limite è comunque costituito non dalla valorizzazione degli elementi che potrebbero giustificare, in astratto, l’applicazione della recidiva, ma dall’effettivo aumento della pena.
Sul punto si segnale la recente sentenza delle Sezioni Unite Cassazione Penale, Sezioni Unite, 15 maggio 2019 (ud. 25 ottobre 2018), n. 20808 alle quali era stata rimessa la questione di diritto «se la recidiva contestata e accertata nei confronti dell’imputato e solo implicitamente riconosciuta dal giudice di merito che, pur non ritenendo di aumentare la pena a tale titolo, abbia specificamente valorizzato, per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, i precedenti penali dell’imputato, rileva o meno ai fini del calcolo del tempo necessario ai fini della prescrizione del reato».
Con la sentenza sopra indicata, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «la valorizzazione dei precedenti penali dell’imputato per la negazione delle attenuanti generiche non implica il riconoscimento della recidiva in assenza di aumento della pena a tale titolo o di giudizio di comparazione tra le circostanze concorrenti eterogenee; in tal caso la recidiva non rileva ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato».

Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
Managing partner at clouvell (https://www.clouvell.com)

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