Il credito del professionista per prestazioni rese in giudizi già pendenti al momento della domanda di ammissione al concordato preventivo in virtù di incarichi precedentemente conferiti e riguardante crediti poi fatti valere nei confronti della società fallita va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, ove ne emerga, nell’ambito dell’accertamento previsto dall’art. 111 bis legge fall., l’adeguatezza funzionale agli interessi della massa.
Lo ha ribadito la Corte Suprema di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 17907 del 10 settembre 2015
Il caso
Il Tribunale di Napoli rigettava l’opposizione proposta da due legali avverso lo stato passivo del fallimento di una Società in liquidazione, nel quale erano stati ammessi senza la richiesta prededuzione per €. 500.000,00 anziché per il maggiore credito di oltre €. 4.000.000,00 vantato in applicazione della tariffa professionale di cui al d.m. n. 127/2004.
La sentenza di merito
Hanno ritenuto i giudici del merito che il credito professionale vantato dagli opponenti dovesse essere determinato in applicazione del d.m. n. 140/2012, vigente all’epoca della dichiarazione del fallimento (luglio 2013), in quanto era generico il rinvio ai minimi della tariffa contenuto nell’accordo stipulato il 18 dicembre 2009; e che l’invocata prededuzione non potesse essere riconosciuta né per i crediti relativi a prestazioni professionali svolte prima dell’ammissione della società al concordato preventivo, perché certamente non funzionali alla procedura, né per i crediti relativi all’attività svolta nel corso della procedura, perché non dissimile dalle precedenti.
Da qui il ricorso per cassazione contro il decreto.
I motivi di ricorso
Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione degli art. 1362 e 1321 e s. c.c., quanto all’interpretazione dell’accordo del 19 dicembre 2009, dei d.m. n. 127/2004 e 140/2012, quanto alla liquidazione dei compensi professionali, dell’art. 111 comma 2 legge fall. quanto al mancato riconoscimento della prededuzione.
La tesi dei ricorrenti
Sostengono i ricorrenti che il d.m. n. 140/2012, nel sostituire i parametri alle tariffe precedentemente in vigore, fa salvo, quanto ai criteri applicabili al momento della liquidazione, il diverso espresso accordo delle parti. Sicché il tribunale ha omesso di verificare se l’effettiva intenzione manifestata dalle parti nell’accordo del 19 dicembre 2009 fosse appunto quello di determinare la liquidazione con un rinvio fisso alla tariffa all’epoca vigente e perciò nota. Altrimenti si dovrebbe ritenere – proseguono i legali – che le parti avrebbero dovuto espressamente escludere la rilevanza di eventuali future variazioni della tariffa.
Quanto alla prededucibilità dei crediti professionali, sostengono i ricorrenti che la giurisprudenza la riconosce non solo quando si tratti di obbligazioni contratte direttamente dagli organi della procedura concorsuale, ma anche quando si tratti di crediti sorti anteriormente se finalizzati all’ammissione del concordato o per controversie proseguite in pendenza della procedura.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 111 comma 2 legge fall., lamentando che non sia stato riconosciuto come prededucibile nemmeno il minor credito professionale di €. 500.000,00 ammesso al passivo.
Le censure relative alla individuazione dei criteri per la liquidazione del compenso
Per i giudici di legittimità sono infondate le censure relative alla individuazione dei criteri per la liquidazione del compenso spettante ai professionisti ricorrenti. Difatti, non v’è dubbio che lo stesso d.m. n. 140/2012 ammetta la derogabilità dei criteri dettati, ma ciò che nella specie è in discussione è appunto l’esistenza dell’accordo sulla deroga, sicché non v’è stata – per i giudice della Cassazione – al cuna violazione né del d.m. n. 127/2004, né del d.m. n. 140/2012, ma si tratta di valutare la correttezza dell’interpretazione data dai giudici del merito all’accordo del 18 dicembre 2009.
Il rinvio fisso ed il rinvio mobile.
Ribadiscono i giudici di piazza Cavour che quando le parti, nel concludere un contratto, abbiano inteso determinarne il contenuto con riferimento a una norma, anche secondaria, “è riservato al giudice del merito accertare, attraverso le regole legali di ermeneutica, se tale rinvio debba ritenersi fisso (nel qual caso le modifiche sopravvenute dell’atto normativo richiamato sono senza effetto sui patti contrattuali) ovvero mobile (nel qual caso le modifiche sopravvenute dell’atto normativo producono automaticamente effetti sui patti contrattuali)” (Cass., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 1762, m. 621712).
L’interpretazione, sul punto, del giudice di merito, è corretta.
E’ plausibile infatti – prosegue la Suprema Corte – che, come ritenuto dai giudici merito, con l’accordo del 18 dicembre 2009 le parti abbiano inteso solo limitare al minimo tariffario la misura dei compensi spettanti ai professionisti, non ancorarne la liquidazione alla specifica tariffa all’epoca vigente. Sicché correttamente i giudici del merito hanno fatto riferimento alla tariffa vigente al momento della dichiarazione del fallimento.
Il motivo di ricorso sulla prededucibilità del credito riconosciuto ai professionisti è fondato.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, “l’art. 111, secondo comma, legge fall., allo scopo di incentivare il ricorso alle procedure concorsuali alternative al fallimento, attribuisce il carattere della prededucibilità a tutti i crediti per i quali sussiste il necessario collegamento occasionale o funzionale con la procedura concorsuale, da intendersi non soltanto con riferimento al nesso tra l’insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, risponda agli scopi della procedura stessa, per i vantaggi che reca in termini di accrescimento dell’attivo o di salvaguardia della sua integrità, indipendentemente dalla presenza o meno di una preventiva autorizzazione degli organi della procedura” (Cass., sez. I, 17 aprile 2014, n. 8958, n. 630943).
Quando opera la prededuzione.
Per questa ragione si riconosce la prededuzione non solo al “credito del professionista che abbia svolto attività di assistenza, consulenza ed eventualmente redazione della proposta di concordato preventivo” (Cass., sez. I, 10 settembre 2014, n. 19013, m. 632086), ma anche al credito dei professionisti che abbiano prestato la loro opera per il risanamento dell’impresa ovvero per prevenirne la dissoluzione, purché “le relative prestazioni si pongano in rapporto di adeguatezza funzionale con le necessità risanatorie dell’impresa e siano state in concreto utili per i creditori, per aver loro consentito una sia pur contenuta realizzazione dei crediti” (Cass., sez. I, 8 aprile 2013, n. 8534, n. 626163). Sicché anche “il credito del professionista per prestazioni rese in giudizi già pendenti al momento della domanda di ammissione al concordato preventivo in virtù di incarichi precedentemente conferiti e riguardante crediti poi fatti valere nei confronti della società fallita va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, ove ne emerga, nell’ambito dell’accertamento previsto dall’art. 111 bis legge fall., l’adeguatezza funzionale agli interessi della massa” (Cass., sez. I, 17 aprile 2014, n. 8958, m. 630943).
Ne consegue – proseguono i giudici di piazza Cavour – che, quando si tratti di attività giudiziaria svolta in favore dell’imprenditore ammesso al concordato, se ne deve presumere l’occasionale funzionalità alla procedura, a meno che non se ne dimostri la concreta dannosità per i creditori, o perché destinata a favorire un illecito interesse personale del debitore, in conflitto appunto con i creditori, o perché inadempiente ai doveri di diligenza nei confronti dello stesso debitore assistito (Cass., sez. III, 20 maggio 2015, n. 10289, n. 635467).
L’attività stragiudiziale.
Analogamente deve ritenersi per l’attività stragiudiziale, in particolare quando si tratti della stipulazione di contratti destinati alla lecita gestione dei beni del debitore concordatario.
Nel caso in esame, sulla chiesta prededuzione, hanno errato i giudici di merito.
Di conseguenza, nella fattispecie, hanno certamente errato i giudici del merito allorché hanno escluso che fossero prededucibili i crediti relativi all’attività svolta dai professionisti in pendenza della procedura di concordato.
Difatti, per gli Ermellini, quanto ai crediti relativi all’attività svolta prima dell’ammissione al concordato, sarebbe stato necessario distinguere quantomeno le prestazioni eventualmente svolte per ottenere l’ammissione alla procedura e quelle strettamente connesse. Sicché il decreto impugnato va cassato con rinvio, perché i giudici del merito riconoscano la prededuzione per i crediti relativi alle prestazioni professionali svolte in pendenza del concordato e verifichino analiticamente, per ciascuna delle prestazioni professionali precedenti, quali risultino funzionalmente destinate all’ammissione alla procedura di concordato.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna ribadisce tutta una serie di principi in tema di prededuzione dei crediti del professionista nella ripartizione dell’attivo fallimentare, allorquando egli abbia reso prestazioni in favore della società ammessa al concordato preventivo (e poi, per l’appunto, dichiarata fallita).
I principi espressi, richiamati e ribaditi muovono tutti dalla ratio, sottesa all’articolo 111 della legge fallimentare, che ha il fine di incentivare il ricorso alle procedure concorsuali alternative al fallimento.
L’interpretazione fornita dalla Suprema Corte è abbastanza “estensiva” ricomprendendo nella nozione di “prededucibile” non solo il credito del professionista che abbia svolto attività di assistenza, consulenza ed eventualmente redazione della proposta di concordato preventivo, ma anche il credito dei professionisti che abbiano prestato la loro opera per il risanamento dell’impresa ovvero per prevenirne la dissoluzione, purché, in quest’ultimo caso, le relative prestazioni si pongano in rapporto di adeguatezza funzionale con le necessità risanatorie dell’impresa e siano state in concreto utili per i creditori, per aver loro consentito una sia pur contenuta realizzazione dei crediti.
Ma vi è di più. Il credito del professionista per prestazioni rese in giudizi già pendenti al momento della domanda di ammissione al concordato preventivo in virtù di incarichi precedentemente conferiti e riguardante crediti poi fatti valere nei confronti della società fallita non solo va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, ove ne emerga, nell’ambito dell’accertamento previsto dall’art. 111 bis legge fall., l’adeguatezza funzionale agli interessi della massa, ma inoltre, quando si tratti di attività giudiziaria svolta in favore dell’imprenditore ammesso al concordato, se ne deve presumere l’occasionale funzionalità alla procedura, a meno che non se ne dimostri la concreta dannosità per i creditori.
Una sorta di inversione dell’onere della prova che dovrebbe dunque gravare sugli organi della massa o, comunque, su chi intende contrastare o paralizzare la richiesta di prededuzione.
E tale inversione ritorna abbastanza utile poiché, nei fatti, non è sempre agevole individuare il confine tra adeguatezza ed inadeguatezza funzionale, tra l’attività del professionista e le necessità risanatorie dell’impresa ovvero tra la utilità ed inutilità dell’attività per i creditori, per aver loro consentito una sia pur contenuta realizzazione dei crediti.
In definitiva, dunque, non può non guardarsi con favore alla interpretazione della Suprema Corte sull’argomento. Interpretazione che, difatti, nella specie, ha consentito ai due legali di ottenere in prededuzione l’importo degli onorari loro dovuti.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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