«Ai sensi del novellato art. 309/10 cod. proc. pen., la motivazione del tribunale dev’essere depositata in cancelleria entro trenta o quarantacinque giorni “dalla decisione” per tale dovendosi intendere la data in cui il tribunale attesti, nel dispositivo, essere avvenuta la deliberazione in camera di consiglio. Di conseguenza, è da questo momento che incominciano a decorrere i termini per il deposito della motivazione (sempre che non sia contestuale), e non dalla diversa data del deposito del dispositivo che, quindi, serve solo a verificare che il primo termine previsto a pena d’inefficacia (decisione assunta entro dieci giorni dalla ricezione degli atti), sia stato rispettato e a consentire, in caso di mancato rispetto, alla parte interessata di proporre immediatamente istanza per la declaratoria di inefficacia della misura cautelare senza attendere il deposito della motivazione».
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda penale con sentenza n. 4961 del 26 gennaio 2016
Il caso
Con ordinanza del 30/07/2015 (il cui dispositivo risulta depositato il 03/08/2015 e la motivazione depositata il 16/09/2015), il Tribunale del Riesame confermava l’ordinanza con la quale, in data 02/07/2015, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città aveva applicato ad un imputato la misura della custodia cautelare in carcere perché indagato per il reati di cui all’art. 416 bis cod. pen.
Contro la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
- violazione dell’art. 309/10 cod. proc. pen. per essere stata la motivazione depositata oltre il quarantacinquesimo giorno fissato nello stesso dispositivo;
- violazione dell’art. 273 cod. proc. pen.: la difesa, in punto di fatto, ha premesso che il ricorrente era stato in carcere, per lunghi anni, fino al 2006. Non poteva, quindi, avere partecipato alla ricostituzione dei gruppi delinquenziali cosentini che, secondo le dichiarazioni di un teste era avvenuta nell’anno 1999 all’atto della scarcerazione di buona parte degli imputati in altro procedimento.
In altri termini, secondo la difesa, il Tribunale avrebbe dovuto tener conto solo della condotta «che andava dal 08/11/2012 sin a tutto il 2013, che è la data riportata dell’imputazione provvisoria come cessazione della permanenza nell’associazione di appartenenza. Tutte le condotte precedenti sono coperte dal giudicato penale [….]»
Le ragioni della decisioni della Suprema Corte
Per la Suprema Corte, la censura relativa alla violazione dell’art. 309/10 cod. proc. pen. è fondata per le ragioni di seguito indicate.
Risulta dalla documentazione in atti che:
- – la decisione (rectius: il dispositivo) venne assunta «nella camera di consiglio del 30 luglio 2015»;
- – nel suddetto dispositivo è scritto testualmente che il tribunale si «riserva il deposito dei motivi in quarantacinque giorni a decorrere dalla decisione»;
- – il dispositivo venne depositato il 03/08/2015 come risulta dall’attestazione della Cancelleria;
- – la motivazione venne depositata il 16/09/2015 come risulta dall’attestazione della Cancelleria.
Gli Ermellini precisano poi che il novellato art. 309/10 cod. proc. pen. dispone che:
- a) la decisione sulla richiesta di riesame deve intervenire entro dieci giorni dalla ricezione degli atti (art. 309/9 cod. proc. pen.);
- b) l’ordinanza del tribunale dev’essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione, o quarantacinque giorni nei casi di motivazione particolarmente complessa;
- c) nel caso in cui i suddetti termini non siano rispettati «l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia […]».
L’art. 309 cod. proc. pen. prevede, quindi, due perentori termini che, se non rispettati, determinano l’inefficacia della misura cautelare.
Entrambi i suddetti termini, sono rivolti al giudice che deve decidere (rectius: al Tribunale del Riesame) e prevede due precisi dies a quo:
- il primo (per la decisione) decorre dalla ricezione degli atti;
- il secondo (per il deposito della motivazione) dalla “decisione”.
Cosa significa decisione e, soprattutto, quando si deve considerare avvenuta la “decisione”?
Il problema che, secondo la Corte regolatrice, pone la fattispecie in esame può essere espresso nei seguenti termini: se il dies a quo dal quale calcolare il deposito della motivazione decorra dalla data della decisione (nella specie, 30/07/2015: nel qual caso, la motivazione risulta essere stata depositata oltre il termine di quarantacinque giorni), oppure dalla data del deposito del dispositivo (nella specie, 03/08/2015: nel quale caso la motivazione risulta essere stata depositata entro il termine di quarantacinque giorni).
Il dispositivo e la motivazione
In punto di diritto, i giudici di piazza Cavour osservano che, ogni provvedimento del giudice è composto, sostanzialmente, da due parti: a) il dispositivo, il quale, in modo sintetico riassume il dictum; b) la motivazione con la quale si illustrano le ragioni per le quali si è assunta la decisione enunciata nel dispositivo.
Ora, non vi è alcun dubbio – proseguono gli Ermellini – che la decisione del giudice (dispositivo e/o motivazione), nei confronti delle parti viene a giuridica esistenza quando è depositata ufficialmente presso la cancelleria che ne attesta la data del deposito: infatti, è da questo momento, oppure, a seconda dei casi, dalla notificazione, o dalla stessa lettura, che, per le parti, decorrono i termini stabiliti per le eventuali impugnazioni (art. 585 cod. proc. pen.): il che è intuitivo perché le parti possono impugnare un provvedimento solo dal momento in cui ne vengono ufficialmente a conoscenza.
Diverso è, invece, secondo la Corte di cassazione, il caso in cui la legge fissa un determinato termine entro il quale il giudice deve compiere una determinata attività.
Nell’ipotesi della deliberazione della sentenza, il meccanismo procedurale di cui al combinato disposto degli artt. 525-544-545-548 cod. proc. pen. è chiaro
- – il giudice, subito dopo la chiusura del dibattimento, si ritira in camera di consiglio per deliberare;
- – non vi è alcun termine per la deliberazione;
- – subito dopo che la decisione sia stata assunta, il dispositivo è letto in udienza,
- – dalla lettura del dispositivo, decorrono i termini (ordinatori) per il deposito della motivazione di cui all’art. 544/2-3 cod. proc. pen., salvo che, ai sensi del primo comma, il giudice non abbia provveduto a redigere contestualmente la motivazione della quale, in tal caso, deve darne lettura.
Quindi, per la sentenza, la legge ha stabilito che i termini decorrono dalla “pubblicazione in udienza” della sentenza (art. 545) ossia dalla lettura del dispositivo che, pertanto, prende la data del momento in cui ne è data pubblica lettura e, da questo momento, se non è letta contestualmente anche la motivazione, decorrono i termini per il deposito della motivazione (art. 548).
Il meccanismo previsto per la deliberazione sulle impugnazioni contro le misure cautelari.
I giudici di legittimità precisano che diverso è il meccanismo previsto per la deliberazione sulle impugnazioni contro le misure cautelari.
In proposito, va, innanzitutto, osservato che, al procedimento in esame, si applica il novellato art 309 cod. proc. pen. che ha introdotto significative ed importanti innovazioni rispetto al precedente art. 309.
Il previgente articolo 309/10 cod. proc. pen.
Il previgente art. 309/10 cod. proc. pen. stabiliva, per il giudice, un solo termine che, ove non osservato, determinava la perdita di efficacia della misura cautelare: e cioè che la decisione non intervenisse entro il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti; nulla era disposto per il deposito della motivazione.
Sul punto, quindi – proseguono gli Ermellini – si era formata una consolidata giurisprudenza secondo la quale, la suddetta disposizione «deve essere intesa nel senso che è necessario e sufficiente, perché non si produca l’automatico effetto caducatorio, che entro il decimo giorno dalla ricezione degli atti il tribunale abbia deliberato in merito alla richiesta medesima ed abbia, inoltre, provveduto al deposito del dispositivo: mediante tale deposito, infatti, si rende certo, per gli interessati, che la decisione – con quel determinato, irreversibile contenuto – è intervenuta nel termine e si rende altresì possibile l’adozione degli eventuali conseguenti provvedimenti; la motivazione dell’ordinanza di riesame, viceversa, in applicazione della norma generale sul procedimento camerale di cui all’art. 128 cod. proc. pen., può essere depositata, senza influenza alcuna sull’efficacia della misura, nel termine ordinatorio – la cui osservanza è tuttavia doverosa per il giudice ai sensi dell’art. 124 cod. proc. pen. – dei cinque giorni successivi alla deliberazione predetta»: SSUU 7/1996; Cass. 23211/2014.
Il novellato art. 309/10 cod. proc. pen.
Il novellato art. 309/10 cod. proc. pen. stabilisce, invece, che:
- a) innanzitutto, la decisione dev’essere assunta – pena l’inefficacia del provvedimento restrittivo – entro dieci giorni dal ricevimento degli atti: sul punto, nulla è stato innovato rispetto alla previgente normativa;
- b) in secondo luogo, la decisione (rectius, il dispositivo) non dev’essere letta in pubblica udienza, proprio perché il rito è quello camerale (art. 127 cod. proc. pen.): anche su tale punto, nulla è stato innovato;
- c) una volta assunta la decisione, da questa decorrono i termini di 30 o 45 gg – a pena di inefficacia del provvedimento cautelare – per il deposito della motivazione: è questa la novità introdotta.
Affermano i giudici di legittimità che l’introduzione, però, di questo ulteriore termine perentorio a pena di inefficacia della misura cautelare (ossia il deposito della motivazione oltre i termini previsti), ha completamente mutato la problematica postasi sotto la previgente normativa e risolta dalla giurisprudenza della Suprema Corte nei termini di cui si è detto.
Infatti, il legislatore ha fatto scattare il “dies a quo” per il deposito della motivazione, senza alcuna soluzione di continuità, direttamente “dalla decisione”, con ciò, quindi, creando un meccanismo del tutto diverso e da quello per il deposito della sentenza e dal deposito dei provvedimenti camerali di cui all’art. 128 cod. proc. pen. e del previgente art. 309/10 cod. proc. pen.
Nel caso di specie, a parere della Corte di legittimità, il tribunale non ha seguito la nuova suddetta rigida procedura: infatti, nonostante esso stesso avesse attestato che la decisione era stata assunta in data 30/07/2015 (e cioè lo stesso giorno in cui, terminata, la discussione, si era riservato), il dispositivo fu depositato quattro giorni dopo.
Indubbiamente, il Tribunale – proseguono gli Ermellini – ben avrebbe potuto prolungare la camera di consiglio fino al decimo giorno dalla ricezione degli atti (e, quindi, in ipotesi, fino al 03/08/2015), ma, di tale evenienza, avrebbe dovuto dare atto proprio perché la data della decisione è, ora, diventata fondamentale per stabilire il dies a quo dal quale far decorrere il termine perentorio di 30/45 giorni per il deposito della motivazione.
Infatti, i tempi stringenti imposti dalla legge in considerazione dei valori in gioco (la libertà personale), non consentono meccanismi che, in modo surrettizio, consentano al Tribunale di dilatare i giorni che la legge ha stabilito e per la decisione e per il deposito della motivazione.
Il suddetto meccanismo era possibile (perché senza alcuna concreta conseguenza pratica) sotto il vigore della previgente normativa per la quale era sufficiente che entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, il tribunale assumesse una decisione: a quel punto, non essendo previsto alcun termine per il deposito della motivazione, era del tutto irrilevante stabilire quale fosse il termine della decisione “effettiva” essendo sufficiente che la decisione (rectius: il dispositivo) fosse depositata entro il suddetto termine.
Il novellato art. 309/10 cod. proc. pen., – sottolineano gli Ermellini – ha, invece stabilito che, dal momento della ricezione degli atti, la procedura deve concludersi nel tempo massimo di giorni 55 (dispositivo assunto entro dieci giorni dalla ricezione degli atti + massimo giorni 45 dalla suddetta decisione per il deposito della motivazione): ma, ciò non significa che, ove i suddetti tempi siano più brevi, il Tribunale non debba decidere entro questi più brevi termini.
In altri termini, non può essere consentito al Tribunale “prolungare” in modo surrettizio i tempi processuali, ritardando, pur nell’ambito dei tempi massimi previsti, il deposito del dispositivo rispetto al momento, da esso stesso attestato, di assunzione della decisione.
Il dettato della legge – concludono i giudici di piazza Cavour – è chiaro e non è suscettibile di diverse interpretazioni: l’ordinanza del tribunale (rectius: la motivazione) dev’essere depositata in cancelleria entro trenta/quarantacinque giorni “dalla decisione” per tale dovendosi intendere la data in cui il tribunale abbia deliberato in camera di consiglio: di conseguenza, se è lo stesso tribunale che attesta, nel dispositivo, che la data della decisione è avvenuta in una certa data (nella specie 30/07/2015) ed è esso stesso che stabilisce che si «riserva il deposito dei motivi in quarantacinque giorni a decorrere dalla decisione», è da questo momento che incominciano a decorrere i termini per il deposito della motivazione (sempre che non sia contestuale), e non dalla diversa data del deposito del dispositivo che, quindi – come stabilito dalla previgente normativa, sul punto identica a quella novellata, così come interpretata dalla Suprema Corte – serve solo a verificare che il primo termine previsto a pena d’inefficacia (decisione assunta entro dieci giorni dalla ricezione degli atti), sia stato rispettato, e non certo a stabilire il dies a quo dal quale far decorrere i termini per il deposito della motivazione, salvo, ovviamente, che la data del giorno in cui il dispositivo è stato deliberato non coincida con quello del deposito.
Tale circostanza è molto importante perché, ove dalla data del deposito del dispositivo dovesse risultare che la decisione sia stata assunta oltre i dieci giorni dalla ricezione degli atti, la parte interessata, senza attendere il deposito della motivazione, può immediatamente proporre istanza per la declaratoria di inefficacia della misura cautelare.
Ma, per quanto appena detto, se il deposito del dispositivo, continua ad avere, anche sotto la vigenza del novellato art. 309/10 cod. proc. pen., la funzione di verifica del rispetto del primo termine, al contrario, non può averne alcuna quanto alla decorrenza del dies a quo per il deposito della motivazione.
Precisano ancora i giudici di legittimità che la diversa decorrenza dei termini e la diversa valenza dell’attestazione della cancelleria sulla data del deposito, si spiega agevolmente laddove si consideri che:
- per le parti interessate, l’attestazione della cancelleria rappresenta l’unico atto che ufficializza la decisione e, quindi, esse, al fine di verificare il rispetto del termine della decisione, non possono che far riferimento alla data “ufficiale” del deposito;
- al contrario, per il Tribunale, non avrebbe senso alcuno far decorrere il termine per il deposito della motivazione dalla diversa data del deposito del dispositivo, perché, esso conosce bene la data della decisione per averla esso stesso attestata in calce al dispositivo, sicchè, il termine, stabilito esclusivamente nei suoi confronti, non può che decorrere, come stabilito dalla norma, dalla data della “decisione” che esso stesso ha attestato nel dispositivo.
Il principio di diritto enunciato
In conclusione, il ricorso viene accolto alla stregua del seguente principio di diritto: «ai sensi del novellato art. 309/10 cod. proc. pen., la motivazione del tribunale dev’essere depositata in cancelleria entro trenta o quarantacinque giorni “dalla decisione” per tale dovendosi intendere la data in cui il tribunale attesti, nel dispositivo, essere avvenuta la deliberazione in camera di consiglio. Di conseguenza, è da questo momento che incominciano a decorrere i termini per il deposito della motivazione (sempre che non sia contestuale), e non dalla diversa data del deposito del dispositivo che, quindi, serve solo a verificare che il primo termine previsto a pena d’inefficacia (decisione assunta entro dieci giorni dalla ricezione degli atti), sia stato rispettato e a consentire, in caso di mancato rispetto, alla parte interessata di proporre immediatamente istanza per la declaratoria di inefficacia della misura cautelare senza attendere il deposito della motivazione».
Una breve riflessione
Un principio, quello enunciato dalla sentenza in rassegna, che sicuramente avrà nell’immediatezza delle ripercussioni sulle ordinanze de libertate. Considerato che spesso, a causa del sovraccarico di lavoro, i Tribunali depositano la motivazione dei provvedimenti a ridosso della scadenza dei termini, v’è da aspettarsi che in molti casi possa essersi verificata la situazione oggetto della fattispecie in esame che potrebbe condurre alla perdita di efficacia della misura cautelare.
Al di là dei possibili risvolti pratici nella immediatezza, certamente il principio enunciato è condivisibile e comunque si pone in funzione garantista dei diritti di libertà del soggetto detenuto.
La Suprema Corte “richiama” i giudici del riesame in ordine alla particolarità della materia che non ammette ritardi, essendo in gioco il diritto di libertà dell’individuo.
Rispetto al previgente teste, il novellato articolo 309/10 si pone in funzione certamente garantista dell’imputato detenuto. Ed il principio ora enunciato dalla Suprema Corte si colloca in tale direzione, rafforzando la tutela del soggetto detenuto e mettendolo al riparo dai ritardi della macchina giudiziaria.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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