Part-time verticale ciclico ed anzianità contributiva

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L’art. 5, comma 11, d.l. 726/1984 (in forza del quale ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva «inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale» va calcolata «proporzionalmente all’orario effettivamente svolto») va inteso, sia per formulazione della disciplina, sia (Cass. 2 dicembre 2015, n. 24532) per ragioni di conformità rispetto alla normativa eurounitaria (come interpretata dalla CGUE, 10 giugno 2010 cause riunite C395/08 e C-396/08) sia anche per ragioni di parità di trattamento proprie già del diritto interno (Cass. 6 luglio 2017, n. 16677), nel senso che l’ammontare dei contributi versati ai sensi dell’art. 7 del d.l. 463 del 1983 (o poi sulla base delle successive ed identiche previsioni di cui all’art. 9, co. 4, d. Igs. 61/2000 e di cui all’art. 11, co. 4, d. Igs. 81/2015), debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi stessi ed il rapporto si riferiscono, non potendosi quindi escludere dal calcolo dell’anzianità contributiva utile per acquisire il diritto alla pensione nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale cd. verticale ciclico, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione lavoro – con ordinanza n. 21048 depositata il 23 agosto 2018

Part-time verticale ciclico ed anzianità contributiva

Part-time verticale ciclico ed anzianità contributiva

Il caso  

La Corte d’Appello di Firenze respingeva il gravame avverso la pronuncia con cui il Tribunale di Prato aveva dichiarato il diritto di una lavoratrice a vedersi riconosciuta l’anzianità contributiva per 52 settimane per tutti gli anni, dal gennaio 2003 in avanti, durante i quali essa aveva lavorato in regime di part time verticale, sulla base di dieci mesi all’anno.

La Corte territoriale, nel confermare l’accoglimento della domanda, richiamava la pronuncia di Corte di Giustizia 10 giugno 2010, Bruno, da cui emergeva la necessità di tenere conto, nel calcolo dell’anzianità contributiva, anche dei periodi non lavorati. L’I.N.P.S. proponeva dunque ricorso per cassazione sulle base di un unico motivo, resistito da controricorso del lavoratore.

I motivi di ricorso

Con l’unico motivo di ricorso l’ente previdenziale sostiene, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c, la violazione del d. Igs. 61/2000, dell’art. 5, comma 11, del d.l. 726/1984 e dell’art. 7, comma 1, d.l. 463/1983, conv. con mod. in L. 638/1983, per essersi disatteso l’assunto secondo cui i periodi di inattività lavorativa del part time verticale dovessero essere considerati neutri rispetto alla maturazione dell’anzianità contributiva computabile a fini pensionistici.

La Suprema Corte ritiene il motivo infondato

Secondo gli Ermellini, il motivo è infondato essendo consolidato (da ultimo, v. Cass. 10 aprile 2018 n. 8772), pur se con alcune diverse sfumature motivazionali, l’orientamento secondo cui l’art. 5, comma 11, d.l. 726/1984 (in forza del quale ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva «inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale» va calcolata «proporzionalmente all’orario effettivamente svolto») va inteso, sia per formulazione della disciplina, sia (Cass. 2 dicembre 2015, n. 24532) per ragioni di conformità rispetto alla normativa eurounitaria (come interpretata dalla CGUE, 10 giugno 2010 cause riunite C395/08 e C-396/08) sia anche per ragioni di parità di trattamento proprie già del diritto interno (Cass. 6 luglio 2017, n. 16677), nel senso che l’ammontare dei contributi versati ai sensi dell’art. 7 del d.l. 463 del 1983 (o poi sulla base delle successive ed identiche previsioni di cui all’art. 9, co. 4, d. Igs. 61/2000 e di cui all’art. 11, co. 4, d. Igs. 81/2015), debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi stessi ed il rapporto si riferiscono, non potendosi quindi escludere dal calcolo dell’anzianità contributiva utile per acquisire il diritto alla pensione nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale cd. verticale ciclico, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro.

Da qui la reiezione del ricorso dell’INPS.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna si pone, all’evidenza, su solco di quanto già statuito, a livello eurounitario, dalla sentenza della Corte di Giustizia 10 giugno 2010 nelle cause riunite C395/08 e C-396/08.

In detta sentenza è stato affermato che il ogni Stato membro deve perseguire “una duplice finalità consistente, da un lato, nel promuovere il lavoro a tempo parziale e, dall’altro lato, nell’eliminare le discriminazioni tra i lavoratori a tempo parziale e i lavoratori a tempo pieno. La normativa nazionale, escludendo dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione i periodi non lavorati, instaura una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico e lavoratori a tempo pieno e, pertanto, viola il principio di non discriminazione”.

In definitiva, secondo la Corte di Giustizia “la combinazione di tali elementi tende a rendere meno interessante il ricorso al lavoro a tempo parziale per questa categoria di lavoratori, se non anche a dissuaderli dall’esercitare la loro attività lavorativa secondo una tale modalità, in quanto una siffatta scelta porta a differire nel tempo la data di acquisizione del loro diritto alla pensione in una proporzione uguale a quella della riduzione del loro orario di lavoro rispetto a quello di lavoratori a tempo pieno comparabili”.

Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

Managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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