Nel giudizio di opposizione allo stato passivo l’opponente, a pena di decadenza ex art. 99, comma 2, n. 4), I.fall., deve soltanto indicare specificatamente i documenti, di cui intende avvalersi, già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato, sicchè, in difetto della produzione di uno di essi, il tribunale deve disporne l’acquisizione dal fascicolo d’ufficio della procedura fallimentare ove esso è custodito.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con ordinanza n. 22221 depositata il 12 settembre 2018
Il caso
Un creditore ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, avverso il decreto del Tribunale reiettivo dell’opposizione ex art. 98 Lfall. dal primo proposta contro la mancata ammissione al passivo del fallimento, in via privilegiata, del proprio preteso credito, invocato per prestazioni professionali svolte in favore della società fallita.
I motivi del rigetto da parte del Tribunale
Il tribunale ritenne di non poter accogliere la spiegata opposizione perché «a sostegno della prova della esecuzione della prestazione professionale resa, l’opponente si richiama alla documentazione prodotta in sede di verifica dei crediti (contratto per il conferimento di incarico professionale con indicazione anche del corrispettivo pattuito; decreto emesso raggruppamento di imprese per la ripartizione interna di diritti ed oneri; acconti già pagati dalla (società Omissis s.r.I.); fattura di €. 6.000,00, oltre IVA, quale compenso non pagato), ma non prodotta in sede di opposizione».
Evidenziò il tribunale, al riguardo, che «la nuova disciplina – applicabile alla presente opposizione – precisamente l’art. 99 I.f, così come modificato dall’art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 169/2007, prevede la necessità della indicazione specifica, con l’atto di costituzione, dei mezzi di prova di cui l’opponente intende avvalersi, a pena di decadenza, compresa la produzione dei documenti a sostegno della domanda». Concluse assumendo che «tenuto conto di tale previsione normativa, non è consentito al Collegio l’esame d’ufficio del fascicolo relativo alla fase di verifica, nemmeno la sua acquisizione, come richiesto dall’opponente sul quale grava l’onere di produrlo. In mancanza, pertanto, del contratto di conferimento dell’incarico professionale, della pattuizione del compenso, della distribuzione di tale pagamento fra le imprese facenti parte del raggruppamento di imprese, delle fatture relative ai pagamenti eseguiti e di quelli ancora spettanti, la domanda non può che essere rigettata risultando insufficiente la documentazione prodotta con la opposizione (nota al Genio Civile e certificato di collaudo)». Da qui il ricorso per cassazione.
I motivi di ricorso
I) «Violazione, falsa ed omessa applicazione dell’art. 99, comma 2, n. 4, nonché dell’art. 23 del r.d. 16 marzo 1942, n.267, in relazione all’art. 360, n. 3 del c.p.c., laddove il tribunale ha ritenuto irrilevante, ai fini dell’onere probatorio gravante sull’opponente, la formale richiesta del medesimo volta all’acquisizione agli atti della domanda di ammissione al passivo e dei documenti a detta allegati, depositati nella fase della verifica dello stato passivo». Il ricorrente, chiede alla Corte di stabilire: i) se, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, sia idonea al tempestivo assolvimento dell’onere probatorio gravante sul creditore opponente, ai sensi dell’art. 99, comma 2, n. 4, I.fall., relativamente alla ivi prevista “indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti”, la formale istanza contenuta in seno all’atto di opposizione volta all’acquisizione in giudizio della originaria domanda di ammissione al passivo e della documentazione alla stessa allegata nella fase di verifica svoltasi innanzi al giudice delegato, tenuto conto dell’unicità del procedimento nonché dei poteri del tribunale fallimentare, investito dell’intera procedura concorsuale e competente a decidere sull’opposizione ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 23 e 24 I.fall.; ii) se, in presenza di una formale richiesta di acquisizione agli atti del fascicolo relativo alla fase di verifica dello stato passivo da parte dell’opponente, il tribunale fallimentare sia tenuto a deliberare sull’istanza ed a disporne la formale (ovvero materiale) acquisizione, in virtù dei poteri attribuitigli dal richiamato articolo 23 l.fall. e ad esaminare tale documentazione nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo, ai fini della decisione sulla ammissione al passivo del credito;
II) «Violazione, falsa ed omessa applicazione degli articoli 95, 96, 97,98 e 99 della Legge Fallimentare, dell’art. 12 del c.p.c. e dell’art. 346 del c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, del c.p.c., laddove il tribunale non ha tenuto conto dell’effetto devolutivo dell’opposizione e del giudicato endofallimentare formatosi relativamente alla quantificazione del credito accertata nella fase della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato e laddove il tribunale, nella contumacia della Curatela, ha considerato motivi di esclusione del credito non indicati né dal giudice delegato né dal Curatore e si è, pertanto, pronunciato su questioni non sottoposte al suo esame nella fase della opposizione». Il ricorrente chiede alla Corte di accertare: i) se l’opposizione allo stato passivo proposta dal creditore escluso dal concorso fallimentare costituisce una vera e propria impugnazione del provvedimento del giudice delegato, con la conseguenza che il tribunale, cui è devoluta la cognizione di essa, non può pronunciarsi su questioni non dedotte dalla curatela, salvo che si tratti di questioni rilevabili d’ufficio; ii) se, in mancanza di eccezioni del curatore, la valutazione del fondamento della domanda di ammissione al passivo, e la conseguente ammissione del relativo credito, deve essere effettuata dal giudice dell’opposizione con riferimento alle sole ragioni di esclusione contenute nel provvedimento del giudice delegato, dovendosi ritenere la sussistenza del giudicato endofallimentare sulle ragioni creditorie contestate in sede di verifica e non sottoposte all’esame del tribunale;
III) «Nullità del provvedimento impugnato per violazione dell’obbligo giudiziale di indicazione alle parti delle “questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione”, espressamente sancito dall’art. 183 del c.p.c. a tutela del generale interesse – di rilevanza costituzionale – al pieno ed effettivo svolgimento del contraddittorio sulla causa ed alla corrispondente salvaguardia dall’evenienza di provvedimenti decisori “a sorpresa”, a mente dell’art. 360 del c.p.c.». Il motivo, proposto in via subordinata rispetto ai precedenti, chiede alla Corte di stabilire: i) se il dettato di cui all’art. 183, comma 4, cod. proc. civ., sancente il dovere per il giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio rilevanti ai fini della decisione e dalle parti medesime prima spontaneamente non trattate, sia applicabile, quale principio di carattere generale di rilevanza costituzionale ed anche in via analogica al procedimento di opposizione allo stato passivo, di cui agli artt. 99 e ss. I.fall.; ii) se l’inosservanza a tale precetto, nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo di un fallimento, implichi la nullità del provvedimento decisorio adottato nella parte in cui il giudice abbia ritenuto di dover ex officio valutare la irrilevanza di una prova offerta ovvero di una istanza volta all’acquisizione di atti e documenti relativi ad una fase del medesimo unitario procedimento di verifica dei crediti, nonostante che sulla relativa questione le parti non avessero mai svolto alcuna difesa;
IV) «Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, omessa ed insufficiente motivazione sulle ragioni del rigetto dell’opposizione, nel merito, in relazione all’art. 360, n. 5 del c.p.c.». Si assume che il mancato accoglimento della richiesta di acquisizione della domanda di ammissione al passivo, con la documentazione ad essa allegata, nonché, per altro verso, la laconica affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, secondo la quale, nel contesto probatorio sopra commentato, “la documentazione prodotta con l’opposizione” sarebbe stata “insufficiente” per l’accoglimento dell’opposizione, comporterebbero l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio sia con riferimento a quelli desumibili dai documenti prodotti nella fase di verifica dei crediti, sia con riguardo a quelli evincibili dall’ulteriore documentazione prodotta in sede di opposizione, nonché di tutti i fatti ricavabili da quei documenti nel loro complesso.
La Suprema Corte ritiene fondato il primo motivo di ricorso
Per i giudici di piazza Cavour il primo motivo è fondato, atteso che, secondo la più recente e condivisibile giurisprudenza dei giudici di legittimità, “nel giudizio di opposizione allo stato passivo l’opponente, a pena di decadenza ex art. 99, comma 2, n. 4), I.fall., deve soltanto indicare specificatamente i documenti, di cui intende avvalersi, già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato, sicchè, in difetto della produzione di uno di essi, il tribunale deve disporne l’acquisizione dal fascicolo d’ufficio della procedura fallimentare ove esso è custodito (cfr., amplius, Cass. n. 12549 del 2017, le cui argomentazioni giustificative di tale affermazione devono intendersi qui integralmente richiamate; Cass. n. 5094 del 2018)”.
E poiché nella specie, il tribunale, laddove – dopo aver specificamente dato atto che il creditore, nel corpo del ricorso ex art. 98 I.fall., aveva indicato la documentazione che intendeva porre a fondamento della propria richiesta di ammissione, peraltro già allegata alla domanda ex art. 93 I.fall., e ne aveva espressamente chiesto l’acquisizione – ha ritenuto non essere consentito al Collegio, giusta l’art. 99 I.fall. come modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007, l’esame d’ufficio del fascicolo relativo alla fase di verifica, «nè la sua acquisizione, come richiesto dall’opponente», ha violato la norma predetta nell’interpretazione datane dalla citata giurisprudenza di legittimità, il provvedimento impugnato viene cassato con rinvio al Tribunale in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Una breve riflessione
La Corte di cassazione aderisce al più recente orientamento in forza del quale l’opponente al provvedimento reiettivo dello stato passivo ha solo l’onere di indicare specificatamente i documenti di cui intende avvalersi, senza necessità di doverli ulteriormente produrli.
L’orientamento in questione ha ribaltato quello precedente in forza del quale “l’esigenza di stretta interpretazione delle norme in materia di decadenza impone di considerare che l’art. 99 comma 1 n. 4), allorché esige «l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti», distingua tra prove costituende e prove precostituite. Per quanto attiene alle prove costituende, come ad esempio le testimonianze, non v’è dubbio che sia sufficiente la mera indicazione, essendo indiscusso che tali prove non sono «espletabili nella fase della verifica dello stato passivo, che ha natura sommaria ». Diversamente deve ritenersi per i documenti, prove precostituite di cui il legislatore esige, a pena di decadenza, la già intervenuta produzione, come si desume dall’esplicito riferimento appunto ai «documenti prodotti»” (ex multis Cass. n. 25174/2015).
Ad ogni buon conto, poiché l’orientamento da ultimo affermatosi potrebbe essere ribaltato nuovamente, occorre fare attenzione nel proporre opposizione e, per prudenza, sarebbe opportuno depositare i documenti già prodotti in occasione della domanda di insinuazione.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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