Nullità del lodo pronunciato dopo la scadenza dei termini

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La parte che intenda far valere la nullità del lodo per pronuncia del medesimo dopo la scadenza dei termini ha l’onere di notificare detta volontà alle altre parti e agli arbitri prima della deliberazione del lodo, ai sensi dell’art. 821 cod. proc. civ., ma, operato tale adempimento formale, non grava sulla medesima anche l’onere di eccepire detta nullità prima di ogni sua difesa nello stesso procedimento arbitrale

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 21536 del 31 agosto 2018

Nullità del lodo pronunciato dopo la scadenza dei termini

Nullità del lodo pronunciato dopo la scadenza dei termini

Il caso 

La corte territoriale ha ritenuto che: a) con riguardo al primo motivo dell’impugnazione principale, vertente sulla nullità del lodo perché pronunciato dopo la scadenza del termine ex art. 829, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., esso è stato in effetti emesso a termine scaduto (ossia, in data 4 novembre 2008, laddove il termine scadeva il 10 febbraio 2008) e gli odierni ricorrenti notificarono (in data 5 luglio 2008) atto per manifestare la propria intenzione di far valere la decadenza degli arbitri: tuttavia, all’udienza del 10 aprile 2008, fissata per il conferimento di incarico peritale, le parti furono presenti, senza eccepire la avvenuta scadenza del termine di pronuncia del lodo: pertanto, dovendosi coordinare l’art. 821 cod. proc. civ. con l’art. 829, comma 2, cod. proc. civ. – il primo dei quali, nel testo di cui al d.lgs. n. 40 del 2006 nella specie applicabile, pone a carico della parte l’onere di eccepire nella prima istanza o difesa la violazione di una regola del procedimento – l’omissione di qualsiasi rilievo al riguardo nell’udienza menzionata implica rinuncia degli impugnanti a far valere l’eccezione; b) le censure proposte al lodo, pur prospettate come violazione di norme di diritto, siano inammissibili, in quanto risolte nella richiesta di nuova valutazione nel merito o in un diverso apprezzamento delle prove testimoniali assunte dall’arbitro, mentre non sussiste la mancanza di motivazione del lodo. Da qui il ricorso per cassazione da parte dei soccombenti.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione degli artt. 821 e 829, comma 2, cod. proc. civ., oltre al vizio di motivazione contraddittoria, in quanto la prima disposizione non ammette equipollenti alla notificazione di decadenza nei confronti degli arbitri, onde ad essa non si applica il disposto generale di cui alla seconda norma e non si richiede nessuna eccezione da proporsi nel corso del procedimento arbitrale, come è invece per la violazione delle ordinarie regole che disciplinano quel procedimento. Nella specie, il termine per il deposito del lodo era scaduto (in ragione della prima proroga dal medesimo stabilita) il 10 febbraio 2008 e la notifica in questione fu effettuata il 4 luglio 2008, quindi prima dell’inizio del nuovo periodo di sospensione feriale, onde l’arbitro non avrebbe potuto più pronunciare.

Con il secondo motivo, deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 829, comma 1, nn. 5 e 11, oltre alla motivazione contraddittoria, per avere la corte territoriale disatteso la censura di contraddittorietà del ragionamento arbitrale, laddove, con riguardo al contenuto della deliberazione assembleare del 27 luglio 2006, da un lato aveva ritenuto inattendibile il verbale circa il deliberato dei soci, e, dall’altro lato, lo aveva invece giudicato affidabile circa le dichiarazioni sulla conflittualità fra i soci, in esso contenute.

Con il terzo motivo, deducono la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 2, cod. proc. civ., in quanto manca l’indicazione, nell’epigrafe, della società, che pure era stata parte.

La Suprema Corte ritiene fondato il primo motivo.

Ricordano i giudici di piazza Cavour che l’art. 821 cod. proc. civ. prevede che il decorso del termine stabilito per la pronuncia del lodo non possa essere fatto valere come causa di nullità se la parte, prima della deliberazione del lodo medesimo, non abbia notificato alle altre parti e agli arbitri che intende farne valere la decadenza; onde poi gli arbitri, verificato il decorso del termine, dovranno dichiarare il procedimento estinto.

Con riguardo a tale fattispecie, la corte del merito, pur dopo avere verificato (alla data del 10 febbraio 2008) sopraggiunta la scadenza del termine per la pronuncia arbitrale, non ancora intervenuta, nonché validamente notificato (in data 5 luglio 2008) l’atto ex art. 821 cod. proc. civ., ha poi dato – secondo gli Ermellini – una lettura correttiva di tale disposizione, ritenendo la parte soggetta anche all’onere di eccepire la scadenza del termine nella sua prima difesa, ai sensi dell’art. 829, comma 2, cod. proc. civ., dalla stessa individuata nell’udienza del 10 aprile 2008, fissata per il conferimento dell’incarico peritale.

Tale lettura non viene però condivisa dalla Suprema Corte.

La Corte di Cassazione ricorda (v. Cass. 23 gennaio 2012, n. 889 e Cass. 15 luglio 1980, n. 4536, in vicende in cui l’onere, al contrario, non era stato assolto) come il sistema delineato dal combinato disposto degli art. 821 e 829, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. è imperniato non già sul mero decorso del termine, che ne rappresenta il mero sostrato di natura fattuale, ma sulla manifestazione della parte di voler far valere la decadenza, la quale integra un vero e proprio onere.

La notificazione dell’intenzione della parte di far valere la decadenza «non costituisce, quindi, una mera eccezione da proporsi nell’ambito del procedimento arbitrale, ma un atto, imprescindibile … in difetto del quale la nullità del lodo non può essere fatta valere».

Come ha affermato detta decisione – proseguono i giudici di Piazza Cavour – l’adempimento dell’onere in questione comporta «un’attività dispositiva che esplica anche effetti di natura sostanziale» e «la previsione della notificazione garantisce la certezza, anche in relazione al quando, della conoscenza, da parte di tutti i soggetti interessati, dell’intenzione di far valere la decadenza» (Cass. 23 gennaio 2012, n. 889, cit.; v. pure Cass. 26 marzo 2004, n. 6069; Cass. 22 agosto 1997, n. 7863; Cass. 15 novembre 1984, n. 5771).

Dunque, la fissazione del termine per la notificazione dell’intenzione di far valere la decadenza degli arbitri prima della decisione «si giustifica evidentemente (come si è osservato in dottrina) con la necessità, avvertita dal legislatore, di scoraggiare una notifica secundum eventum litis» (Cass. 22 agosto 1997, n. 7863).

Con dette pronunce, in sostanza, è stato chiarito che il decorso del termine indicato nell’art. 820 cod. proc. civ. non può essere fatto valere come causa della nullità della sentenza se, ai sensi del successivo art. 821, la parte, prima della deliberazione del lodo, non abbia notificato alle altre parti e agli arbitri che intende far valere la decadenza di questi ultimi. Si tratta per i giudici di piazza Cavour, di nullità relativa, posto che il decorso del termine non può essere addotto a causa di nullità del lodo se la parte, prima della deliberazione della pronunzia arbitrale, non abbia provveduto a detta notificazione.

L’adempimento ex art. 821 c.p.c.

Dalle ricordate decisioni già emerge, pertanto, a parare della Suprema Corte, il rilievo formale e non surrogabile dell’adempimento ex art. 821 cod. proc. civ., laddove esse richiedono la notificazione «a mezzo di ufficiale giudiziario» e sottolineano il «rigore interpretativo» del proprio orientamento: che è pienamente giustificato, sulla base della  considerazione secondo cui le norme che prescrivono una decadenza vanno interpretate con il rigore corrispondente ai loro effetti (così Cass. 23 gennaio 2012, n.889, cit.).

Orbene, per i giudici di piazza Cavour tale principio va ora completato, con la precisazione speculare secondo cui, così come l’atto di notificazione non è sostituibile dalla mera eccezione di parte, ma è adempimento speciale imposto da una norma ad hoc, del pari tale eccezione non può essere alla parte imposta, quale onere aggiuntivo rispetto alla notificazione ex art. 821 cod. proc. civ.

La volontà di far valere la scadenza del termine va ex lege enunciata con un mezzo di comunicazione formale, ossia la notificazione all’altra parte e all’arbitro.

In conclusione – affermano gli Ermellini – deve pertanto ritenersi, contrariamente a quanto ha affermato la sentenza impugnata, che, per valutare se la notificazione di cui al citato art. 821 cod. proc. civ. abbia prodotto l’effetto di integrare il potere di dedurre la causa di nullità del lodo, di cui all’art. 829, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., occorre accertare solo se tale notificazione sia avvenuta prima della deliberazione del lodo; senza che, invece, assuma rilievo verificare pure se la parte abbia sollevato, altresì, la relativa eccezione nel corso di procedimento arbitrale, né potendosi interpretare l’inerzia in tal senso, tenuta prima dell’adempimento ex art. 821 cod. proc. civ., quale volontà uguale e contraria a far valere il vizio, impeditiva di tale facoltà.

Una volta che, invero, il legislatore abbia posto a carico della parte l’oneroso adempimento formale – la notifica alle altre parti ed all’arbitro della sua volontà di ritenere decaduto il medesimo per scadenza del termine – non sarebbe sistematicamente coerente, per i giudici della Suprema Corte, imporre quale ulteriore onere, quasi che essa tacitamente ed in modo concludente avesse, in anticipo, rinunciato al suo potere di far valere il vizio, la circostanza che la parte stessa sia rimasta silente nell’udienza anteriore a detto adempimento.

Il lodo emesso dopo la scadenza del termine è dunque nullo e ciò non esclude che, come più volte affermato dalla Suprema Corte, la declaratoria di nullità del lodo per tale causa non impedisce alla corte di appello il passaggio alla fase rescissoria, ai sensi dell’art. 830, comma 2, cod. proc. civ. (Cass. 19 gennaio 2015, n. 744, non massimata; Cass. 30 ottobre 2014, n. 23073, non massimata sul punto; Cass. 24 febbraio 2006, n. 4207; Cass. 10ottobre 2004, n. 19994).

Il principio di diritto

La Suprema Corte enuncia quindi il seguente principio di diritto: «La parte che intenda far valere la nullità del lodo per pronuncia del medesimo dopo la scadenza dei termini ha l’onere di notificare detta volontà alle altre parti e agli arbitri prima della deliberazione del lodo, ai sensi dell’art. 821 cod. proc. civ., ma, operato tale adempimento formale, non grava sulla medesima anche l’onere di eccepire detta nullità prima di ogni sua difesa nello stesso procedimento arbitrale».

Da qui l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto ed il rinvio, anche per la liquidazione delle spese di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione.

Una breve riflessione

La Suprema Corte, con la sentenza in rassegna, “boccia” la interpretazione che aveva dato la Corte territoriale relativamente agli articoli 821 e 829 c.p.c..

Alla base del principio di diritto affermato vi è il rispetto della forma, “il rilievo formale e non surrogabile dell’adempimento ex art. 821 cod. proc. civ.”, il «rigore interpretativo» derivante dalla considerazione secondo cui le norme che prescrivono una decadenza vanno interpretate con il rigore corrispondente ai loro effetti.

Come dire, se è imposto uno specifico onere formale, non si può imporre altro onere alla medesima parte.

Ed effettivamente, ove si “allargasse” il perimetro degli oneri a carico della parte che ha il diritto di “eccepire” lo sforamento dei tempi di deliberazione del lodo, si finirebbe con il restringerne, di conseguenza, l’ambito di operatività.

Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

Managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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