Il diritto al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari maturati fino al 1999 è soggetto alla prescrizione decennale e decorre dal 27.10.1999, data di entrata in vigore dell’articolo 11 della legge 370/1999, trattandosi di diritto al risarcimento dei danni per omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) da ricondurre allo schema della responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria. Di contra, la norma introdotta dall’art. 4, comma 43, della legge n. 183 del 2011, secondo la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno soggiace al termine quinquennale ex art. 2947 c.c., vale soltanto per i fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2012), mentre, per i fatti anteriori alla novella, opera la prescrizione decennale, secondo la qualificazione giurisprudenziale nei termini dell’inadempimento contrattuale
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione civile – sezione prima – con sentenza n.11034 del 28 maggio 2015.
Il caso
Con citazione del giugno 2002, tre medici che avevano frequentato le scuole di specializzazione nel periodo tra il 1985 e il 1991, convenivano in giudizio i Ministeri dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica e della Salute, nonché l’Università degli studi di Catania, e ne chiedevano la condanna al risarcimento dei danni causati dal fatto illecito del legislatore italiano per la mancata remunerazione della frequenza alle scuole di specializzazione, a causa del tardivo e inesatto recepimento della direttiva n. 82/76 CEC che riconosceva il diritto alla remunerazione per ogni anno di specializzazione.
La tesi del giudice di primo grado
Il Tribunale di Catania accoglieva l’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c. (tenuto conto del tempo trascorso dal 1991, epoca in cui gli attori avevano conseguito i diplomi di specializzazione, alla data di introduzione del giudizio, in mancanza di atti interruttivi) e rigettava le domande.
Il gravame proposto dai medici è stato rigettato dalla Corte d’appello di Catania, con sentenza 12.7.2011.
La tesi della Corte territoriale in sede di gravame.
La Corte territoriale ha escluso che ricorresse un illecito permanente per la perdurante mancanza di un corretto recepimento della direttiva comunitaria, rilevante al fine di impedire il decorso della prescrizione, avendo il legislatore italiano, seppur tardivamente, adeguato l’ordinamento nazionale alla direttiva comunitaria a seguito dell’emanazione del d. lgs. 257/1991; di conseguenza, i medici specializzati nel periodo compreso tra il 1982 ed il 1991, come appunto gli attori, potevano vantare il diritto al risarcimento del danno per il mancato conseguimento della retribuzione prevista dalla normativa comunitaria, a causa del mancato tempestivo recepimento della stessa da parte del legislatore italiano, ma tale diritto doveva essere esercitato nel termine prescrizionale quinquennale, derivando da un illecito extracontrattuale, il cui dies a quo doveva individuarsi nella data del tardivo e parziale recepimento della normativa comunitaria, con l’entrata in vigore nel 1991 del d. lgs. n. 157. Da qui il ricorso per cassazione.
L’oggetto del ricorso per cassazione.
I ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 2043, 2934, 2946, 2947, 2948 c.c., 5 e 189 del Trattato CE, 16 delle Direttive CE n. 82/76, 362/75, della legge n. 257/1991, nonché vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata ritenuto erroneamente prescritto il loro diritto al risarcimento dei danni: infatti soltanto nel 1999 lo Stato italiano aveva dato attuazione (peraltro ancora incompleta) alla normativa comunitaria, con la conseguenza che prima di allora non avrebbero potuto esercitare il diritto azionato tempestivamente nel 2002.
Perché la Suprema Corte accoglie il ricorso.
Per i giudici di Piazza Cavour, a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, realizzata solo con il d.lgs. n. 257/1991, è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano con riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo dal 10 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991; la lacuna è stata parzialmente colmata con la legge n. 370/1999, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento della normativa europea e, quindi, sono stati posti nella condizione di agire in giudizio per la tutela del loro diritto al risarcimento del danno: nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11 (v., tra le tante, Cass. n. 6606/2014, n. 16104/2013, n. 1917/2012, n. 17868/2011).
La prescrizione invocabile è quella decennale.
Per gli Ermellini, è applicabile la prescrizione decennale, e non quinquennale, per la ragione che il diritto al risarcimento dei danni per omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) va ricondotto allo schema della responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria (Cass. n. 10813, 23558 e 23568/2011, sez. un. n. 9147/2009).
La prescrizione quinquennale ex lege 183/2011 non è retroattiva.
Infine, la Suprema Corte precisa che la norma introdotta dall’art. 4, comma 43, della legge n. 183 del 2011, secondo la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno soggiace al termine quinquennale ex art. 2947 c.c., vale soltanto per i fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2012); ne consegue che, per i fatti anteriori alla novella opera la prescrizione decennale, secondo la qualificazione giurisprudenziale nei termini dell’inadempimento contrattuale (Cass. n. 1917 e 1850/2012). Da qui la cassazione della sentenza impugnata con consequenziale rinvio.
Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte.
“Il diritto al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari maturati fino al 1999 è soggetto alla prescrizione decennale e decorre dal 27.10.1999, data di entrata in vigore dell’articolo 11 della legge 370/1999, trattandosi di diritto al risarcimento dei danni per omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) da ricondurre allo schema della responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria. Di contra, la norma introdotta dall’art. 4, comma 43, della legge n. 183 del 2011, secondo la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno soggiace al termine quinquennale ex art. 2947 c.c., vale soltanto per i fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2012), mentre, per i fatti anteriori alla novella, opera la prescrizione decennale, secondo la qualificazione giurisprudenziale nei termini dell’inadempimento contrattuale“
Una breve riflessione.
La sentenza in questione riveste notevole importanza in quanto ribadisce, ancora una volta, un principio già espresso in precedenti sentenze dei giudici di legittimità riguardo i medici ammessi a partecipare a corsi di specializzazione che non sono stati mai ricompensati per l’attività prestata.
E la situazione diventa ancora più peculiare in quanto ciò che si “contesta” ai ricorrenti non è il diritto, quanto l’essersi questo prescritto.
Molto interessante, sul punto, il tipo di azione che viene incoata dai ricorrenti: essi propongono un’azione giudiziale richiedendo la condanna non solo dell’Università, ma anche del Ministero, al risarcimento dei danni causati dal fatto illecito del legislatore italiano per la mancata remunerazione della frequenza alle scuole di specializzazione, a causa del tardivo e inesatto recepimento della direttiva n. 82/76 CEC che riconosceva il diritto alla remunerazione per ogni anno di specializzazione.
Come dire, responsabilità del legislatore, e dunque dello Stato italiano, e dunque del Ministero e per esso dell’Università.
Senonchè, entrambi i giudici di merito rigettano la domanda proprio sul presupposto della intervenuta prescrizione.
Alla base delle decisioni dei giudici di merito vi sono due considerazioni giuridiche erronee:
- l’avere i giudici di merito ritenuto che il dies a quo decorresse dalla entrata in vigore del d.lgs. 157/1991;
- l’avere i giudici di merito ritenuto che il termine prescrizionale fosse quinquennale.
Ed entrambe queste considerazioni vengono ribaltate dai giudici di legittimità i quali rilevano intanto che solo nel 1999 (e non nel 1991) i medici già ammessi ai corsi di specializzazione hanno avuto, da quel momento, la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento della normativa europea e, quindi, sono stati posti nella condizione di agire in giudizio per la tutela del loro diritto al risarcimento del danno; e che, in secondo luogo, la prescrizione, per i diritti maturati in epoca precedente il 1.1.2012, è decennale, dovendosi ricondurre allo schema della responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria.
La soluzione ribadita dalla Suprema Corte riveste inoltre una notevole importanza in quanto, al di là delle questioni giuridiche trattate, essa è idonea a ristabilire uno squilibrio sostanziale che si è venuto a creare tra soggetti che hanno ricevuto le prestazioni dai medici specializzandi da un lato e questi ultimi dall’altro.
E la beffa è stata proprio che lo Stato Italiano, unico responsabile dei propri ritardi nel recepire le direttive dell’Unione Europea con provvedimenti normativi ritenuti sostanzialmente inadeguati, ha creato disorientamento tra chi aveva una legittima aspettativa a che lo Stato, appunto, si adeguasse.
La legge del 1991, alla quale fanno riferimento i giudici di merito, non è stata ritenuta idonea a far sorgere, nel medico, la ragionevole certezza che lo Stato italiano non si sarebbe adeguato più alla normativa europea. Diguisachè, da tale termine, non può decorrere il termine prescrizionale.
Termine prescrizionale che invece, secondo i giudici di legittimità, ben può decorrere dal 1999, anno in cui fu emanata altra normativa che escludeva il diritto al compenso per i medici che non fossero già muniti di sentenza del TAR in loro favore.
Una vicenda, quella in esame, che, ancora una volta, evidenzia come lo Stato italiano, troppo spesso, non sia rispettoso né degli accordi assunti con i partners europei, né dei più elementari principi costituzionali.
Peccato che sentenze come quella evidenziata non se ne vedano tutti i giorni.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)