Nel nostro ordinamento non sussiste la possibilità di proporre impugnazioni che si risolvano in una mera pretesa teorica preordinata alla astratta osservanza della legge e alla correttezza giuridica della decisione, ma è, invece, sempre necessario che il ricorrente abbia un concreto interesse all’impugnazione, con la conseguenza che deve essere comunque dedotto un pregiudizio concreto e suscettibile di essere eliminato dalla riforma o dall’annullamento della decisione impugnata.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione quinta penale – con sentenza n.35021 del 18 giugno 2015
Il caso
Il Giudice di pace di Pozzuoli riteneva un imputato responsabile di ingiuria e minaccia in danno di due persone offese, costituite parti civili e lo condannava alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni.
Contro la sentenza suddetta proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Napoli per violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che la determinazione della pena fosse avvenuta senza indicazione della pena base, senza specificazione del reato più grave e senza aumento per la continuazione; inoltre, che fossero state concesse le attenuanti generiche senza motivazione alcuna, in un caso che non ne giustificava la concessione.
Il principio di diritto
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte per carenza d’interesse in quanto nel nostro ordinamento non sussiste la possibilità di proporre impugnazioni che si risolvano in una mera pretesa teorica preordinata alla astratta osservanza della legge e alla correttezza giuridica della decisione, ma è, invece, sempre necessario che il ricorrente abbia un concreto interesse all’impugnazione, con la conseguenza che deve essere comunque dedotto un pregiudizio concreto e suscettibile di essere eliminato dalla riforma o dall’annullamento della decisione impugnata (ex multis, Cass., n. 35722 del 29/4/2013).
Bisogna distinguere la sciatteria del giudicante dall’errore decisorio.
Nella specie, il Pubblico Ministero ricorrente si è limitato a censurare il procedimento di determinazione della pena e la concessione delle attenuanti generiche senza lamentare una concreta violazione di legge o l’irragionevolezza del trattamento, né ha illustrato le ragioni per cui le attenuanti generiche non sarebbero state concedibili, con la conseguenza che l’impugnazione si risolve nella perorazione di un intervento che ponga rimedio alla sciatteria del giudicante e non ad un errore decisorio.
Per tali motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile.
Una breve riflessione
La sentenza in argomento merita una attenta riflessione in quanto ribadisce un principio, che potremmo considerare di portata generale, comune anche alla materia processual-civilistica (cfr. Cass.civ. 15377/00), che tende ad evitare una sorta di “abuso” del diritto.
Dunque, non basta censurare l’astratta violazione della legge, né la non correttezza giuridica della decisione, se tali vizi non si traducano anche in un pregiudizio concreto e suscettibile di essere eliminato dalla riforma o dall’annullamento della decisione impugnata.
In altre parola, il giudice e, più in generale, il sistema giudiziario, non sono strumenti che servono a statuire la astratta e corretta interpretazione del diritto. Servono anche a questo, ma solo quando ciò costituisce, per così dire, una via obbligata per pervenire ad una decisione non solo “teorica”, ma che disciplini una situazione concreta, determinando la eliminazione di un pregiudizio denunciato da almeno una delle parti in causa.
L’interesse ad impugnare, in siffatto modo inteso, altro non è che una specificazione, del più generale interesse ad agire.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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