E’ ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezioni unite civili – con sentenza n. 19704 del 2 ottobre 2015
Il caso
Una società impugnò dinanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale una cartella di pagamento emessa da Equitalia per IVA, sanzioni e interessi, deducendo che tale cartella -risultante notificata il 27.05.2006- le era rimasta assolutamente sconosciuta ed assumendo di essere venuta a conoscenza della relativa obbligazione tributaria soltanto dall’estratto di ruolo rilasciato, su sua richiesta, dalla competente concessionaria della riscossione.
La sentenza di primo grado
La Commissione Tributaria provinciale, ritenuto che solo formalmente l’atto opposto era la cartella, mentre in realtà l’opposizione riguardava l’estratto di ruolo, ne dichiarò l’inammissibilità essendo l’estratto di ruolo “atto interno dell’Agente della riscossione, non rientrante tra quelli tassativamente indicati dal primo comma dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 19922”.
La sentenza di secondo grado
La Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza n. 68/5/11, confermò la decisione. In particolare i giudici d’appello, premesso che nell’atto introduttivo era stata impugnata la cartella in questione per omessa notifica, escludevano che la richiesta al concessionario di copia dell’estratto di ruolo potesse comportare la riapertura dei termini per impugnare una cartella non tempestivamente opposta (ancorché per asserito difetto di notifica) e conseguentemente escludevano che potesse essere “oggetto di discussione” la suddetta cartella in quanto non ritualmente opposta. I predetti giudici ribadivano inoltre l’inammissibilità della proposta opposizione anche ove ritenuta diretta avverso l’estratto di ruolo, rilevando che esso, oltre ad essere atto non previsto nel novero di quelli impugnabili ai sensi dell’art. 19 citato, difetta del requisito della “coattività della prestazione tributaria ivi espressa” e quindi della idoneità a costituire “provocatio ad opponendum”, senza che sia per ciò solo configurabile violazione del diritto di difesa del contribuente, restando salva la possibilità di denunciare l’inesistenza della notifica della cartella in sede di gravame avverso eventuali e specifici atti realizzativi del credito fiscale.
Il ricorso per cassazione
Per la cassazione di questa sentenza la società ha proposto, nei confronti di Equitalia E.TR. s.p.a., ricorso per cassazione illustrato da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso Equitalia Sud s.p.a., incorporante di Equitalia E.TR. s.p.a.
La rimessione alle sezioni unite ed il contrasto giurisprudenziale
Con ordinanza interlocutoria n. 16055 del 2014 il collegio della VI-5 sezione civile della Suprema Corte dinanzi al quale il ricorso è stato discusso ha sollecitato l’intervento compositivo delle sezioni unite segnalando che, nell’ambito di un panorama giurisprudenziale in materia di atti impugnabili dinanzi ai giudici tributari piuttosto composito e articolato, è negli ultimi anni emerso nella giurisprudenza di legittimità uno specifico contrasto tra alcune pronunce secondo le quali il ruolo non è autonomamente impugnabile in quanto atto “interno”, che può essere impugnato solo con l’atto impositivo nel quale viene trasfuso e a mezzo del quale viene notificato, ed altre pronunce che hanno invece affermato l’autonoma impugnabilità del ruolo.
Il motivo di ricorso
Con unico motivo, deducendo “ai sensi dell’art. 62 comma 1 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 360 n. 3 c.p.c.” nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., la ricorrente censura la decisione impugnata innanzitutto affermando che l’estratto di ruolo può essere oggetto di ricorso dinanzi alle Commissioni Tributarie perché esso costituisce parziale riproduzione del ruolo, atto considerato impugnabile ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 546/1992, avendo peraltro la giurisprudenza di legittimità affermato che va riconosciuta la possibilità di ricorrere avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che essa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 d.lgs. 546/92, atteso l’indubbio interesse del destinatario a chiarire la sua posizione rispetto a tale pretesa e quindi ad invocare la tutela giurisdizionale.
La ricorrente si duole inoltre del fatto che i giudici d’appello abbiano omesso ogni valutazione in ordine alle circostanze dalla medesima evidenziate con riguardo alla dedotta omissione di (valida) notifica della cartella, pur non avendo la convenuta contestato tali circostanze né tanto meno fornito alcuna prova dell’avvenuta notifica della suddetta cartella.
In particolare, rilevato che, dopo un primo infruttuoso tentativo di notifica presso la sede della società contribuente -dove la stessa era risultata sconosciuta-, veniva effettuata ulteriore notifica “per irreperibilità assoluta” con deposito dell’atto presso il Comune e affissione dell’avviso di deposito, la ricorrente evidenzia la mancanza di prova della comunicazione alla società, mediante raccomandata, dell’avvenuto deposito dell’atto presso il Comune nonchè la mancanza dell’attestazione della impossibilità di effettuare la notificazione al legale rappresentante della suddetta società, il quale risultava individuato e nominato nell’atto da notificare.
La Suprema Corte ritiene fondate le censure prospettate.
La Suprema Corte, prima di passare all’esame delle censure, ritiene necessario definirne l’ambito e la reale portata attraverso un’attività interpretativa (della sentenza impugnata e del ricorso per cassazione) resa imprescindibile innanzitutto per le diverse qualificazioni -ferma restandone la sostanza- della opposizione proposta dalla contribuente, ma anche per il rischio di una non univoca attribuzione di significato a termini come “ruolo” ed “estratto di ruolo”, potenzialmente inducente ambiguità non solo terminologica ma anche concettuale.
L’oggetto della impugnazione.
I giudici di legittimità evidenziano che la società ricorrente ha impugnato la cartella esattoriale a suo carico -della quale era venuta a conoscenza solo a seguito di rilascio dell’estratto di ruolo da parte del concessionario- deducendo che la medesima non era stata validamente notificata. I primi giudici – proseguono gli Ermellini – hanno sostenuto che quella proposta, anche se formalmente qualificata come opposizione alla cartella, costituiva sostanzialmente una inammissibile impugnazione dell’estratto di ruolo, atto interno del concessionario. Il contribuente ha contestato in appello la non impugnabilità dell’estratto di ruolo affermata dai primi giudici, si è doluto della ritenuta inammissibilità dell’opposizione e l’ha riproposta, ribadendo “le questioni, domande e richieste formulate nell’atto introduttivo” e insistendo per la “declaratoria di nullità e improduttività di qualsiasi effetto giuridico della cartella di pagamento impugnata”. I giudici d’appello – proseguono ancora i giudici della Suprema Corte – hanno affermato l’inammissibilità della proposta opposizione, sia se qualificata come opposizione avverso la cartella sia se qualificata come opposizione avverso l’estratto di ruolo, e la società ha proposto ricorso per cassazione contestando la affermata inammissibilità dell’opposizione proposta ed altresì dolendosi del fatto che i giudici d’appello abbiano omesso di trarre le conseguenze dagli elementi circa l’invalidità della notifica della cartella addotti dalla medesima ricorrente e non contestati dalla controparte.
La qualificazione giuridica della proposta opposizione.
Ricordano gli Ermellini che, al di là di mere qualificazioni, la ricorrente ha agito in giudizio nell’intento di ottenere attraverso la proposta opposizione (comunque qualificata) la declaratoria della nullità della cartella emessa a suo carico in quanto non validamente notificata ed ha proposto ricorso per cassazione per ottenere l’annullamento della decisione impugnata laddove ha ritenuto inammissibile la suddetta opposizione.
La riqualificazione del ricorso da parte della Suprema Corte.
Per i giudici di piazza Cavour occorrerà pertanto valutare la fondatezza della censura anche eventualmente rimettendo in discussione la formale qualificazione della opposizione proposta, alla luce della giurisprudenza di legittimità secondo cui la corte di cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, a condizione che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto (v. cass. n. 3437 del 2014; 6935 del 2007; 19132 del 2005; 4939 del 1998).
“Ruolo” ed “estratto di ruolo”.
Prima di procedere oltre, i giudici di legittimità ritengono, in via preliminare, fare chiarezza sul significato da attribuire a termini come “ruolo” ed “estratto di ruolo”.
Il “ruolo”
Il “ruolo” ha una sua precisa definizione legislativa, posto che, per il vigente testo dell’ art. 10 lett. b) del d.p.r. n. 602 del 1973, esso è “l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario” e che, per l’art. 11 del medesimo d.p.r., “nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi”.
A norma del successivo articolo 12 l’ufficio competente “forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ ambito territoriale cui il ruolo si riferisce”; nel ruolo “devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all’iscrizione”; “il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ ufficio o da un suo delegato” e “con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo”, cioè costituisce titolo esecutivo.
Dai riprodotti dati normativi discende che il “ruolo” è un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di riscossione di altre entrate allorché sia previsto come strumento di riscossione coattiva delle stesse) proprio ed esclusivo dell’ “ufficio competente” (cioè dell’ ente creditore impositore), quindi “atto” che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale (cfr. le norme sopra richiamate laddove si precisa che esso deve indicare le “somme dovute” in “riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento” o, “in mancanza” di questo, la “motivazione” del debito).
In quanto titolo esecutivo, il ruolo sottoscritto dal capo dell’ufficio o da un suo delegato, giusta il dettato del primo comma dell’ art. 24 d.p.r. n. 602 del 1973, viene consegnato “al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce”, esso pertanto non solo è atto proprio ed esclusivo dell’ente impositore (mai del concessionario della riscossione), ma, nella progressione dell’iter amministrativo di imposizione e riscossione, precede ogni attività del concessionario, della quale costituisce presupposto indefettibile.
Il concessionario della riscossione, a sua volta, in forza del ruolo ricevuto, redige “in conformità al modello approvato” (oggi dall’Agenzia delle Entrate) “la cartella di pagamento” (che, per il secondo comma del!’ art. 25 d.p.r. n. 602 del 1973, “contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata”) e provvede (ai sensi del successivo art. 26) alla “notificazione della cartella di pagamento” al debitore.
L’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 elenca espressamente tra gli “atti impugnabili” (quindi da impugnare necessariamente per evitare la cristallizzazione irreversibile di quel determinato momento del complessivo iter di imposizione e/o riscossione), alla lett. d) del primo comma, “il ruolo e la cartella di pagamento”, mentre la seconda parte del primo comma dell’art. 21 del medesimo d.lgs. n. 546 dispone espressamente che “la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”.
Da tali disposizioni si evince pertanto che: il ruolo
- è atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento;
- è atto impugnabile;
- il termine iniziale per calcolare i “sessanta giorni dalla data di notificazione dell’ atto impugnato” (fissati a espressa “pena di inammissibilità” dalla prima parte del medesimo art. 21 per l’impugnazione di qualsiasi “atto impugnabile”) coincide con quello della “notificazione della cartella di pagamento”;
- entro il suddetto termine pertanto il debitore, giusta i principi generali, a seconda del suo interesse, può impugnare entrambi gli atti (“ruolo” e “cartella di pagamento”) contemporaneamente ovvero anche solo uno dei due che ritenga viziato, con l’ovvio corollario che la nullità di un atto non comporta quella degli atti precedenti né di quelli successivi che ne sono indipendenti e quindi che la nullità della cartella di pagamento non comporta necessariamente quella del ruolo mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità anche della cartella, questa essendo giuridicamente fondata su quel ruolo e, pertanto, “dipendente” dallo stesso.
L’”estratto di ruolo”
Viceversa – proseguono i giudici della Cassazione – il “documento” denominato “estratto di ruolo”, tale indicato dallo stesso concessionario che lo rilascia, non è invece specificamente previsto da nessuna disposizione di legge vigente. Esso -che viene formato (quindi consegnato) soltanto su richiesta del debitore- costituisce (v. Consiglio di Stato, IV, n. 4209 del 2014) semplicemente un “elaborato informatico formato dell’ esattore … sostanzialmente contenente gli … elementi della cartella …”, quindi anche gli “elementi” del ruolo afferente quella cartella (il C.d.S., peraltro, ha affermato l’inidoneità del suo rilascio ad ottemperare all’obbligo di ostensione all’interessato che ne abbia fatto legittima e motivata richiesta, della copia degli originali della cartella, della sua notificazione e degli atti prodromici).
Da quanto sopra esposto emerge con sufficiente chiarezza la differenza sostanziale tra “ruolo” ed “estratto di ruolo” (termini talvolta impropriamente utilizzati come sinonimi): il “ruolo” (atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione) è un “provvedimento” proprio dell’ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell’ente suddetto); l'”estratto di ruolo”, invece, è (e resta sempre) solo un “documento” (un “elaborato informatico … contenente gli … elementi della cartella”, quindi unicamente gli “elementi” di un atto impositivo) formato dal concessionario della riscossione, che non contiene (né, per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta.
L’estratto di ruolo non è autonomamente impugnabile.
Per i giudici di Piazza Cavour, la inidoneità dell’estratto di ruolo a contenere qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo, peraltro, l’esattore carente del relativo potere) comporta indiscutibilmente la non impugnabilità dello stesso in quanto tale, innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato. Peraltro – proseguono gli Ermellini – anche l’eventuale contestazione dell’attività certificativa del concessionario in sé considerata -ad esempio in relazione alla non corrispondenza tra quanto certificato nell’estratto e quanto risultante dal ruolo- avrebbe un senso solo in un ipotetico giudizio risarcitorio per aver confidato nella corrispondenza delle notizie riportate nell’estratto alle iscrizioni risultanti dal ruolo, non in un giudizio impugnatorio conducente esclusivamente ad un “annullamento” della certificazione.
Alla luce di quanto sopra, la Corte di cassazione è d’accordo con i giudici di primo grado e d’appello laddove hanno affermato la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, tra l’altro perché “atto interno dell’Agente della riscossione”.
Il contrasto giurisprudenziale non riguarda l’impugnabilità dell’estratto di ruolo, ma del ruolo.
Ed ancora i giudici di legittimità precisano che il contrasto giurisprudenziale per il quale la causa è stata rimessa alle sezioni unite non riguarda l’impugnabilità dell’estratto di ruolo (documento tale definito dal concessionario che lo rilascia) bensì l’impugnabilità del ruolo, atto impositivo proprio dell’ente impositore disciplinato dalle norme sopra richiamate.
Tuttavia, per gli Ermellini, al di là di ogni formale qualificazione, il ricorrente nella specie si è sempre doluto della invalida notificazione della cartella (e quindi anche del ruolo, posto che la sua notificazione coincide con quella della cartella ex art. 21 d.lgs. n. 546 citato) e di questo atto -non del documento rilasciatogli dal concessionario- ha chiesto l’annullamento.
La questione giuridica affrontata (e risolta) dalle Sezioni Unite
Pertanto per la Suprema Corte si è trattato di affrontare la (diversa) questione della ammissibilità della impugnazione della cartella invalidamente notificata (e conosciuta attraverso l’estratto di ruolo), con la precisazione che le considerazioni esposte in proposito devono intendersi riferibili anche alla impugnazione del ruolo, attesa la coincidenza della notificazione della cartella con quella del ruolo.
Il contribuente ha interesse ad impugnare il “contenuto” dell’estratto di ruolo.
Per gli Ermellini, escluso, sulla base di quanto si è fin qui esposto, l’interesse del richiedente ad impugnare il documento “estratto di ruolo”, può ovviamente sussistere un interesse del medesimo ad impugnare il “contenuto” del documento stesso, ossia gli atti che nell’estratto di ruolo sono indicati e riportati.
I suddetti atti (iscrizione del richiedente in uno specifico “ruolo” di un determinato ente impositore per un preciso “credito” di quest’ultimo; relativa cartella di pagamento fondata su detta iscrizione; notificazione della medesima -e del ruolo- al richiedente nella data indicata nell’estratto di ruolo ricevuto) risultano univocamente impugnabili per espressa previsione del combinato disposto dei già richiamati articoli 19, lett. d), e 21, primo comma d.lgs. n. 546 citato. E ovviamente nessun problema in ordine alla impugnabilità dei medesimi – proseguono i giudici di piazza Cavour – si pone quando essi sono stati (validamente) notificati, sussistendo il diritto e l’onere dell’impugnazione con decorrenza dal momento della relativa notificazione (momento che per il ruolo e la cartella, come rilevato, è il medesimo ai sensi dell’art. 21 d.lgs. 546 citato), mentre profili di problematicità potrebbero ravvisarsi nell’ipotesi -ricorrente nella specie- di impugnazione di cartella della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo e non attraverso (valida) notifica.
La tesi dei giudici di appello
I giudici d’appello hanno escluso l’ammissibilità dell’impugnazione della cartella di pagamento sul rilievo che la richiesta al concessionario di copia dell’estratto di ruolo non possa comportare la riapertura dei termini per impugnare una cartella non tempestivamente opposta (ancorché per asserito difetto di notifica). Ma tale testi non viene condivisa dai giudice di piazza Cavour.
L’impugnazione di una cartella non validamente notificata non tende a riaprire i termini per impugnarla.
Secondo gli Ermellini, infatti, premesso che i termini di impugnazione di un atto non possono che decorrere dalla (valida) notificazione dell’atto medesimo e che pertanto il destinatario dell’atto ha l’interesse (e il diritto) di provocare la verifica della validità della notifica dell’atto del quale egli non sia venuto a conoscenza in termini per l’impugnazione a causa di anomalie di tale notifica, è da escludere che l’impugnazione volta innanzitutto a provocare tale legittima verifica possa giammai condurre ad una “riapertura” dei suddetti termini, posto che, ove l’atto risultasse validamente notificato, nessuna “riapertura” sarebbe ovviamente ipotizzabile all’esito della verifica, mentre, ove l’atto non risultasse (validamente) notificato, i termini non avrebbero neppure iniziato a decorrere.
L’articolo 19 del d.lgs. n°546 del 1992.
Secondo i giudici della Cassazione, posta come indiscutibile la possibilità per il contribuente di far valere l’invalidità della notifica di una cartella della quale (a causa di detta invalidità) sia venuto a conoscenza oltre i previsti termini di impugnazione, dubbi potrebbero semmai ravvisarsi soltanto in relazione alla individuazione del momento a partire dal quale è possibile far valere tale invalidità, e ciò in ragione del disposto del terzo comma dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 citato, secondo il quale la mancata notifica degli atti autonomamente impugnabili adottati precedentemente all’atto notificato “ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”.
L’interpretazione tradizionale dell’articolo 19 d.lgs. 546/1992.
Tale previsione – proseguono i giudici della cassazione – costituisce il precipitato di un principio -per anni considerato immanente al sistema tributario- secondo il quale la natura recettizia dell’atto tributario lo rende impugnabile solo a seguito di notifica al contribuente, essa sola costituente (secondo alcuni) manifestazione dell’esercizio della funzione impositiva, di talchè gli atti espressivi di tale funzione verrebbero a giuridica esistenza solo in quanto notificati.
L’inversione di tendenza.
Gli Ermellini evidenziano, tuttavia, come nell’ultimo decennio in numerose pronunce della Suprema Corte, anche a sezioni unite, si è ripetutamente affermata l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità che essi siano espressi in forma autoritativa (v. tra le molte s.u. n. 16293 del 2007 nonché da ultimo s.u. n. 3773 del 2014, secondo la quale è impugnabile la comunicazione con la quale l’Agenzia neghi la sussistenza del diritto patrimoniale che il creditore del creditore di imposta intende pignorare, rilevando che nella specie l’atto -ancorché non diretto in forma autoritativa nei confronti del contribuente- ha natura indubbiamente tributaria comportando l’accertamento della sussistenza di crediti di imposta).
La questione della natura recettizia dell’atto amministrativo di imposizione tributaria.
Ne consegue che – proseguono i giudici di piazza Cavour – la giurisprudenza sopra richiamata, ammettendo l’autonoma ed immediata impugnabilità di qualsivoglia atto porti comunque legittimamente a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria (prescindendo dal fatto che tale atto sia direttamente rivolto al contribuente e si manifesti in forma autoritativa, quindi, a fortiori, prescindendo dal fatto che esso risulti notificato al medesimo contribuente) attraversa (di fatto superandola) la questione della natura recettizia dell’atto amministrativo e della sua impugnabilità solo a seguito della notifica al contribuente.
La notificazione è una mera condizione di efficacia, non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria.
Per gli Ermellini, tale questione risulta peraltro ampiamente superata anche dalla giurisprudenza di legittimità che, in conformità con la previsione letterale dell’art. 1334 c.c. -ai sensi del quale gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati-, ha ripetutamente affermato che la notificazione è una mera condizione di efficacia, non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, cosicché il vizio (ovvero l’inesistenza) di tale notificazione è irrilevante ove essa abbia raggiunto lo scopo per avere il destinatario impugnato l’atto in data antecedente alla scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo (v. tra le più recenti cass. n. 654 del 2014 e n. 8374 del 2015), principio presupposto già da s.u. n. 19854 del 2004 (seguita da numerose altre), secondo la quale la natura non processuale dell’atto impositivo non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale -essendovi in proposito espresso richiamo nella disciplina tributaria- e quindi all’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie dettato per gli atti processuali, con la conseguenza che l’impugnazione dell’atto impositivo da parte del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della relativa notificazione per raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 c.p.c. (sanatoria operante solo se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza -previsto dalle singole leggi d’imposta- per l’esercizio del potere impositivo).
Il criterio cd. “della qualità degli effetti”.
I giudici della Suprema Corte ricordano che nel diritto amministrativo, prima che l’art. 14 l. n. 15 del 2005 introducesse, nella l. n. 241 del 1990, l’art. 21 bis (recante disposizioni in materia di “efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo”), era assolutamente pacifica l’inapplicabilità della regola generale dettata dall’art. 1334 c.c. (espressamente prevedente una incidenza della mancata conoscenza da parte del destinatario dell’atto sulla efficacia del medesimo), valendo l’opposto principio secondo il quale l’esercizio unilaterale del potere produce effetti innovativi della precedente situazione giuridica senza bisogno di comunicazione al destinatario, salvo che la legge disponga espressamente in senso diverso o la recettizietà sia sicuramente desumibile dal tipo di atto. E’ quindi solo con la citata riforma del 2005 – proseguono i giudici di piazza Cavour – che trova espressa legittimazione il criterio cd. “della qualità degli effetti”, secondo cui sono recettizi i provvedimenti “limitativi della sfera giuridica dei privati”.
Gli atti tributari sono sempre da considerarsi recettizi.
Gli atti tributari, per i giudici della Suprema Corte, sono invece da sempre considerati atti recettizi, atti rispetto ai quali le misure di partecipazione sono elementi costitutivi dell’efficacia giuridica, per cui l’effetto giuridico non decorre dalla data di adozione del provvedimento, ma dalla data di avvenuta comunicazione dello stesso.
Ne consegue che la natura recettizia degli atti tributari rende inapplicabile l’istituto della “piena conoscenza” ai fini del decorso del termine di impugnazione, essendo l’inammissibilità dell’utilizzo di strumenti alternativi o surrogatori al fine di provocare aliunde l’effetto di conoscenza una delle più rilevanti conseguenze connesse alla natura recettizia dell’atto, onde l’omessa comunicazione, nei modi di legge, del provvedimento recettizio (nella specie l’atto tributario) comporta il mancato decorso dei termini di impugnativa e impedisce che l’atto diventi inoppugnabile, con pregiudizio per la stabilità dei relativi effetti.
La recettizietà dell’atto tributario è posta a presidio e tutela del destinatario dell’atto.
Per i giudice di legittimità, dunque, la recettizietà è essenzialmente e innanzitutto posta a presidio e tutela del destinatario dell’atto, impedendo che l’atto recettizio, siccome negativamente incidente sulla sfera patrimoniale del contribuente, possa produrre i suoi effetti prima che siano scaduti i termini per impugnare, termini da calcolare a decorrere dalla conoscenza dell’atto, che non può essere ritenuta se non a seguito dell’avvenuto espletamento del procedimento all’uopo previsto dalla legge.
La recettizietà dell’atto non può impedire l’impugnabilità dell’atto.
Tuttavia – proseguono i giudici della Suprema Corte – se è vero che non è sufficiente la prova della “piena conoscenza” dell’atto ai fini della decorrenza dei suddetti termini ma è necessaria una comunicazione effettuata nei modi previsti dalla legge, è anche vero che ciò non può impedire l’impugnabilità dell’atto (del quale il contribuente sia venuto “comunque” a conoscenza) ma soltanto, appunto, la decorrenza dei relativi termini di impugnazione in danno del contribuente, distinzione che risulta ben chiara nella giurisprudenza di legittimità (v. sul punto tra le altre s.u. n. 3773 del 2014 nonché cass. nn. 17010 del 2012 e 24916 del 2013) secondo la quale l’ammissibilità di una tutela “anticipata” non comporta l’onere bensì solo la facoltà dell’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare successivamente, in ipotesi dopo la notifica di un atto “tipico”, la pretesa della quale il contribuente sia venuto a conoscenza (eventualmente attraverso un atto “atipico”, in quanto ad esempio non manifestato in forma “autoritativa” oppure privo delle indicazioni previste dal secondo comma dell’articolo 19 citato).
L’Amministrazione non può stabilire, attraverso la notifica, quando il privato possa impugnare l’atto.
Né, d’altro canto, potrebbe ragionevolmente sostenersi che la recettizietà dell’atto tributario comporti la spettanza all’amministrazione del potere di stabilire, attraverso la scelta del momento di notifica dell’atto, (non solo quando esternare la propria volontà impositiva ma anche e soprattutto) quando consentire al destinatario di impugnare tale volontà impositiva, eventualmente già formatasi e portata all’esterno al punto da dare l’avvio ad un procedimento esecutivo e produrre effetti che comunque il contribuente ha interesse a contrastare.
La lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 19 d.gls.546/1992.
Una lettura costituzionalmente orientata dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 citato (non esclusa dal tenore letterale del testo) impone pertanto – a parere delle sezioni unite – di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato ivi prevista non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la facoltà del medesimo di far valere, appena avutane conoscenza, la suddetta invalidità che, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, ha prodotto l’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con relativo interesse del contribuente a contrastarlo il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno potrebbe divenire in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori.
Le conseguenze (negative) di una diversa interpretazione.
Una diversa lettura della norma in esame – chiariscono le sezioni unite – (nel senso che l’impugnazione di un atto non notificato possa avvenire sempre e soltanto unitamente all’impugnazione di un atto successivo notificato) comporterebbe infatti una abnorme ed ingiustificata disparità tra i soggetti del rapporto tributario. E’ infatti da considerare che mentre le notifiche degli atti processuali vengono valutate immediatamente dal giudice nel processo e, se non valide e tempestive, non producono alcun effetto in danno del destinatario, con riguardo agli atti impositivi l’invalidità delle relative notifiche produce come unico effetto immediato (non l’intervento del giudice ma) l’impossibilità per il destinatario di conoscere l’atto e quindi di promuovere il controllo giurisdizionale sul medesimo, e non interrompe quindi (ma rende anzi più “fluido”, in mancanza di contestazioni) il procedimento di imposizione e riscossione avviato dall’amministrazione, procedimento che potrebbe pertanto proseguire indisturbato fino alla sua conclusione attraverso il compimento dell’esecuzione senza che il contribuente abbia avuto mai modo di contestare la pretesa attraverso una impugnazione, e ciò non per fatto al medesimo contribuente addebitabile, bensì in ragione della invalidità di notifiche delle quali è onerata l’amministrazione e che sono nella sua piena determinazione sia con riguardo ai tempi di intervento sia con riguardo alle relative modalità (ad esempio indicazione di nominativi e recapiti) sia con riguardo alla valutazione della espletata attività di notificazione (in relazione al successivo controllo del buon esito della medesima ed alle determinazioni circa la necessità o meno di riprendere il procedimento notificatorio).
L’interpretazione delle sezioni unite “corregge” una sperequazione tra amministrazione e contribuente.
In simile situazione –affermano gli Ermellimi- la possibilità per il contribuente di conoscere legittimamente attraverso il cd. estratto di ruolo le iscrizioni a proprio carico e l’eventuale emissione e notificazione di cartelle potrebbe rappresentare un “correttivo” idoneo a bilanciare il rapporto sperequato tra amministrazione e contribuente soltanto se la conoscenza -attraverso l’estratto di ruolo- di un atto che il contribuente avrebbe avuto il diritto di impugnare (e che non è stato impugnato in quanto non conosciuto perché malamente notificato) ne consentisse l’immediata impugnazione, non certo se al contribuente -che a causa dell’invalidità di una notifica della quale era onerata l’amministrazione sia stato espropriato del proprio diritto di accedere alla tutela giurisdizionale- si continui a negare tale accesso, subordinandolo alla notifica di un ulteriore atto da parte dell’amministrazione, senza considerare che:
- in alcuni casi potrebbe anche non esservi un ulteriore atto prima di procedere ad esecuzione forzata sulla base del ruolo;
- la possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale da parte del contribuente sarebbe ancora una volta rimessa alla determinazioni dell’amministrazione circa i modi e i tempi della notifica dell’eventuale atto successivo;
- nel frattempo aumenterebbe per il contribuente il pregiudizio connesso alla iscrizione in un registro di pubblici debitori nei confronti dei quali è stato avviato un procedimento di esecuzione coatta;
- tale pregiudizio, nonchè quello derivante da un eventuale completamento della esecuzione senza possibilità per il contribuente di far valere le proprie ragioni dinanzi ad un giudice, potrebbero essere eventualmente fatti valere poi solo coi tempi e i modi di un’azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione.
Il buon andamento della pubblica amministrazione.
Per altro verso – chiariscono le sezioni unite – la possibilità che il contribuente faccia valere immediatamente le proprie ragioni in relazione ad un atto non (validamente) notificatogli, senza bisogno di attendere la notifica di altro atto successivo (che potrebbe essere a sua volta malamente notificato) è funzionale anche al buon andamento della pubblica amministrazione, perché di certo contribuisce ad evitare i costi di una procedura esecutiva male instaurata, la produzione e l’aumento di danni da risarcire al contribuente, i rischi di decadenza dell’amministrazione in ragione di ripetute notifiche non andate a buon fine.
L’interpretazione delle sezioni unite non dilata il contenzioso, anzi lo riduce.
Né può ritenersi che la riconosciuta impugnabilità del ruolo e della cartella non (validamente) notificati dei quali il contribuente sia venuto a conoscenza tramite l’estratto di ruolo espongano ai rischi di dilatazione del contenzioso e rallentamento dell’azione di prelievo, come da taluno paventato. Ciò in quanto – chiariscono le sezioni unite – l’impugnazione della cartella per mancanza di (valida) notificazione proposta non unitamente alla impugnazione dell’atto successivo notificato non comporta un aggravio del contenzioso se si considera che l’impugnazione della cartella, ancorchè “ritardata”, interverrebbe in ogni caso al momento della notifica dell’atto successivo, mentre la proposizione “anticipata” di essa potrebbe evitare l’emissione e la notifica (quindi l’impugnazione) dell’atto successivo e perciò indurre un possibile effetto deflativo. Tanto premesso, è però indubbio – affermano gli Ermellini – che anche un eventuale (modesto) incremento del contenzioso non potrebbe giustificare una compressione dei diritto alla tutela giurisdizionale consistente nel posticipare la possibilità di accesso ad essa ad un momento successivo al sorgere dell’interesse ad agire e perciò ad un momento in cui è possibile che alcuni effetti lesivi dell’atto si siano già prodotti. Da qui l’accoglimento del ricorso e l’affermazione del seguente principio di diritto.
Il principio di diritto.
“E’ ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione“.
Una breve riflessione
Come spesso accade, non si può rimanere indifferenti di fronte ad un sentenza come quella in rassegna.
Le sezioni unite intervengono a dirimere un contrasto in una materia molto dibattuta nelle aule di giustizia, non solo da parte dei giudici tributari (come nella specie), ma anche da parte dei giudici delle sezioni civili ed anche da parte dei giudici amministrativi (pur se in misura numericamente inferiore).
Particolare attenzione merita la parte della motivazione dedicata alla distinzione tra “ruolo” ed “estratto di ruolo”, nonché alla distinzione tra “ruolo” e “cartella esattoriale”.
Ma ancora più attenzione merita la dissertazione sulla natura recettizia dell’atto amministrativo di imposizione tributaria. Natura recettizia che opera solo a vantaggio del destinatario dell’atto ma non gli preclude di poter “reagire” prima, allorchè sia venuto a conoscenza, per altra via, dell’atto impositivo, e ritenga di doverlo contestare ancor prima ed a prescindere della notificazione dell’atto stesso.
Per “scardinare” l’opposto orientamento, le sezioni unite intervengono su una rilettura (o lettura costituzionalmente orientata) del terzo comma dell’articolo 19 del d.lgs. 546/1992, disposizione che non va interpretata in maniera rigida, ma solo a favore del contribuente, nel senso che egli può (e non deve) impugnare l’atto impositivo precedente non notificato unitamente a quello successivo, potendolo però impugnare autonomamente anche prima.
In definitiva, ci troviamo di fronte ad una interpretazione che “riduce” il divario o la sperequazione esistente tra amministrazione e contribuente e che sottrae alla prima dei privilegi ingiustificati ed ormai anacronistici.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)