In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti. Pertanto, la tenuità del danno non è da sola sufficiente ad escludere la lesione del vincolo fiduciario, valutate le mansioni svolte dal lavoratore e la correttezza dei futuri adempimenti.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione civile – sezione lavoro – con sentenza n. 13168 del 25 giugno 2015
Il caso
Con sentenza del 23.6.08, il Tribunale di Roma respingeva il ricorso proposto da una lavoratrice confronti del proprio datore di lavoro diretto alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatole con lettera del 2.2.2004 a seguito di contestazione disciplinare del 15.2.2004 con cui le venne mosso l’addebito di avere omesso di registrare alcuni ticket ed alcuni prodotti consumati presso la mensa e di essersi appropriata dei rispettivi importi il 12 e 18 dicembre 2003; veniva dunque anche respinta la domanda di reintegra ex art. 18 L n. 300/70. Avverso detta sentenza la lavoratrice proponeva appello. Con sentenza depositata il 28 giugno 2011, la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame. Da qui il ricorso per cassazione.
I motivi di ricorso
La ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, comma 2, e 2106 c.c., nonché dell’art. 1 della legge n. 604 del 1966 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia con riferimento alla lievità del fatto ed alla mancanza di recidiva (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.).
Lamenta che la sentenza impugnata ricostruì i fatti erroneamente ritenendo legittima la massima sanzione espulsiva per avere, in tesi, la dipendente omesso di registrare un buono pasto di scarso valore economico, senza neppure accertare l’esistenza di dolo ovvero la semplice colpa, e senza verificare l’assenza di precedenti disciplinari ovvero la disciplina contrattuale collettiva in tema di sanzioni.
Perché la Suprema Corte rigetta il ricorso.
Per i giudici di piazza Cavour risulta dalla sentenza impugnata che la Corte di merito ha adeguatamente accertato, attraverso l’esame delle deposizioni testimoniali che la lavoratrice, addetta alla cassa, acquisì, il 18 dicembre 2003, un buono pasto come pagamento di merce senza procedere ad alcuna registrazione, né a timbrare il titolo, né ad emettere lo scontrino fiscale (circostanza verificata da una teste; che la stessa cosa era avvenuta anche in altra occasione, lo stesso giorno 18 dicembre 2003, nei confronti di altra addetta ai controlli; la mancanza in cassa di valori eccedenti le risultanze contabili, deponenti per la mancata registrazione e contabilizzazione del buono pasto; che la registrazione dei buoni pasto e l’emissione del relativo scontrino erano obbligatori.
Ha quindi ritenuto che il comportamento contestato ed accertato fosse, sia oggettivamente che soggettivamente, considerata la (implicitamente accertata) volontarietà del comportamento e le mansioni di cassiera della lavoratrice, idoneo a ledere gravemente il vincolo fiduciario tra le parti, legittimando il licenziamento de quo.
Il principio di diritto al quale si rifà la Suprema Corte.
Per gli Ermellini, occorre poi rimarcare (ex aliis: Cass. n. 19684/14, Cass. n, 16864/06 e Cass. n.16260/04) che la tenuità del danno non è da sola sufficiente ad escludere la lesione del vincolo fiduciario, valutate le mansioni di cassiera svolte dalla lavoratrice e la correttezza dei futuri adempimenti.
Non conta l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale.
Ed invero, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti.
Da qui il rigetto del ricorso.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna appare molto interessante perché ribadisce un principio cardine in materia di licenziamento, e precisamente in punto di proporzionalità tra la condotta contestata e sanzione irrogata.
E per la Suprema Corte, affinchè sia ritenuta legittima la sanzione espulsiva, non occorre fare riferimento alla assenza di danno o alla tenuità del danno cagionato dal lavoratore, quanto piuttosto occorre valutare se il comportamento contestato possa o meno porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento.
Nella specie, viene in rilievo non tanto l’importo dei buoni pasto, davvero irrisorio, quanto piuttosto il comportamento contestato ed accertato che, oggettivamente e soggettivamente considerato, appare sorretto dalla volontarietà e, in uno alle mansioni di cassiera della lavoratrice licenziata, idoneo a ledere gravemente il vincolo fiduciario tra le parti, legittimando il licenziamento de quo.
Come si può notare, ai fini della valutazione della sussistenza della proporzionalità viene in rilievo il rapporto tra fatto contestato e mansioni: più tale rapporto è intimo, maggiore sarà la lesione del vincolo fiduciario.
In conclusione, si può pertanto affermare che l’indagine sulla proporzionalità tra fatto contestato ed accertato e sanzione irrogata, nell’ambito di un rapporto di lavoro, deve avere riguardo principalmente al rapporto tra il fatto e le mansioni, risolvendosi di contra la valutazione dell’entità del danno in un elemento satellite e marginale, da solo inidoneo a fondare la lesione del vincolo fiduciario.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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