Anche se l’atto di costituzione in mora – idoneo ai fini dell’interruzione della prescrizione – richiede la forma scritta, tuttavia analoga formalità non è imposta per il conferimento della relativa procura, non operando in tale ipotesi il richiamo fatto dall’art. 1324 cod. civ. alla disciplina propria dei contratti per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale. Pertanto, l’esistenza di un potere rappresentativo a detti fini può essere provato con ogni mezzo di prova e, quindi, anche mediante presunzioni.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione lavoro – con sentenza n. 20184 del giorno 8 ottobre 2015
Il caso
La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza del Tribunale di Roma, accoglieva la domanda di un lavoratore proposta nei confronti di Trenitalia S.p.A. avente ad oggetto la condanna di controparte al pagamento dell’indennità di utilizzazione tenendo conto dell’esatto computo della relativa parte fissa.
A base del decisum la Corte del merito poneva il fondante rilievo secondo il quale, a norma della contrattazione collettiva, la parte fissa dell’indennità di utilizzazione non poteva essere calcolata, come aveva operato la società, secondo criteri variabili quali la presenza in servizio. Aggiungeva, inoltre, la Corte del merito che il decorso della prescrizione era stato interrotto tempestivamente dal lavoratore con la lettera di messa in mora la quale doveva considerarsi sottoscritta da avvocato munito di procura. Da qui il ricorso per cassazione al quale resiste con controricorso la parte intimata.
Il primo motivo di ricorso
Con la prima censura la società ricorrente deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 42, 1° comma, CCNL FS 1990/1992, 1, 1° e 3° coma, dell’Allegato 7 al CCNL FS 1990/92, 48 del Capo IX- Disposizioni generali dell’allegato 7 al CCNL FS 1990/92, e degli artt. 1362, 1363,1366, 1368, 1369 e 1371 cc, error in procedendo nonché vizio di motivazione, sostiene l’erroneità della sentenza impugnata in punto d’interpretazione della contrattazione collettiva denunciata.
Il secondo motivo di ricorso.
Con la seconda critica la società ricorrente, allegando violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416, 112 e 115 cppc, 2697 e 2113 cc nonché dei principi che regolano il contraddittorio processuale fra le parti, assume che la Corte del merito erroneamente non ha tenuto conto che nella specie, come emergente dalle busta paga, al lavoratore erano state corrisposte, a titolo d’indennità di utilizzazione, varie ulteriori somme contraddistinte con altri differenti cod. voce.
Il terzo motivo di ricorso
Con il terzo motivo la società ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 416, 112, 115 cpc , 2697 cc, error in procedendo nonché vizio di motivazione, prospetta che la Corte del merito non ha considerato che, come risultante dalle buste paga, era stata corrisposto l’ammontare giornaliero della parte fissa dell’indennità di utilizzazione per ogni giornata di effettiva presenza.
Il quarto motivo di ricorso
Con l’ultima censura la società ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1387, 1393, 1124 e 1943 cc nonché vizio di motivazione, asserisce che la Corte del merito ha erroneamente ritenuto idonea ad interrompere la prescrizione l’atto di messa in mora inviato dall’avvocato del lavoratore ancorché non vi fosse prova scritta della procura.
L’inammissibilità dei motivi a norma dell’articolo 369 n.4 c.p.c.
Per la Corte di legittimità i motivi proposti, facendo riferimento, direttamente o indirettamente, ad una determinata interpretazione delle norme contrattuali ovvero all’esame di altri documenti che si assume, rispettivamente, errata ovvero omessa, sono inammissibili a norma dell’art. 369 n. 4 cpc, così come modificato dall’art. 5 del Dl.vo 2 febbraio 2006 n. 40.
Nel giudizio di legittimità occorre indicare in quale sede processuale il documento indicato è stato prodotto.
Ricordano gli Ermellini (Cass. S.U. 2 dicembre 2008 n.28547, Cass. 23 settembre 2009 n.20535, Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161 e Cass. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726) che il requisito previsto dall’art. 366 cpc n. 6, il quale sancisce che il ricorso deve contenere a pena d’inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, per essere assolto, “postula che sia specificato in quale sede processuale il documento è stato prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, allegare dove nel processo è rintracciabile“. La causa di inammissibilità prevista dal nuovo art. 366 n. 6 cpc – prosegue la Suprema Corte – è direttamente ricollegata al contenuto del ricorso, come requisito che si deve esprimere in una indicazione contenutistica dello stesso. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento, in quanto quest’ultimo sia un atto prodotto in giudizio, richiede che si individui dove è stato prodotto nelle fasi di merito e, quindi, anche in funzione di quanto dispone l’art. 369 , comma 2, n. 4 cpc prevedente un ulteriore requisito di procedibilità del ricorso, che esso sia prodotto in sede di legittimità.
Né – concludono sul punto i giudici di legittimità – l’eventuale presenza dei documenti in parola nei fascicoli di parte o di d’ufficio del giudizio del merito potrebbe sanare l’inosservanza della prescrizione di cui al richiamato art. 366 n.6 cpc atteso che siffatta prescrizione ( Cass. S.U.. 25 marzo 2010 n. 7161 cit. come ribadito anche da Cass. S.U. 23 ottobre 2010 n. 20075 cit.) va correlata a quella ulteriore, sancita a pena d’improcedibilità, di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4 , cpc che deve ritenersi soddisfatta “qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile”.
Lettera interruttiva della prescrizione: l’atto non deve necessariamente contenere la procura.
Per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, anche se l’atto di costituzione in mora – idoneo ai fini dell’interruzione della prescrizione – richiede la forma scritta, tuttavia analoga formalità non è imposta per il conferimento della relativa procura, non operando in tale ipotesi il richiamo fatto dall’art. 1324 cod. civ. alla disciplina propria dei contratti per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale. Pertanto, l’esistenza di un potere rappresentativo a detti fini può essere provato con ogni mezzo di prova e, quindi, anche mediante presunzioni (Cass. 16 aprile 2007 n. 9046 e Cass. 9 maggio 2012 n. 7097). Da qui, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Una breve riflessione.
La sentenza in rassegna ribadisce un orientamento giurisprudenziale per così dire consolidato in tema di interruzione della prescrizione.
Cita tra i precedenti la sentenza n.7097/2012 la quale ha stabilito che ai fini dell’interruzione della prescrizione effettuata mediante intimazione scritta ad adempiere, la stessa possa essere validamente effettuata non solo da un legale il quale si dichiari incaricato della parte, ma anche da un mandatario o da un incaricato, alla sola condizione che il beneficiario ne intenda approfittare. Pertanto, ai fini della costituzione in mora, non è necessario il rilascio in forma scritta della relativa procura, non operando in tale caso l’art. 1324 cod. civ.. In conclusione, la procura per la costituzione in mora può risultare da un comportamento univoco e concludente, il quale può essere posto in essere anche da un mandatario. Unica condizione è che l’atto sia idoneo a rappresentare al debitore che esso è compiuto per un altro soggetto, nella cui sfera giuridica è destinato a produrre effetti (cfr., in tali termini, Cass. 3.12.2002 n. 17157 e, in senso conforme, Cass. 26.1.2006. 1550).
Il principio espresso e ribadito ha rilevantissimi riflessi sul piano pratico. Difatti, è prassi che un legale invii una lettera di costituzione in mora, anche al fine di interrompere la prescrizione, senza la sottoscrizione del proprio assistito, nel cui interesse viene proposta.
Un orientamento diverso rispetto a quello prospettato dalla Suprema Corte, e salvi gli effetti di un overruling, avrebbe quale effetto diretto ed immediato quello di porre nel nulla numerosissime posizioni creditorie che rimangono “in piedi” solo grazie a lettere di sedicenti legali o procuratori prive della sottoscrizione del rappresentato.
Ed i principi espressi e ribaditi dalla Suprema Corte sono chiari: mentre la per costituzione in mora è necessaria la forma scritta, quest’ultima non è invece necessaria per la procura in favore del soggetto che sottoscrive l’intimazione, non applicandosi, in tale ipotesi, la disposizione di cui all’articolo 1324 del codice civile.
Ciò ovviamente, non vuol dire che la procura non deve esserci, ma solo che essa può anche risultare da comportamenti concludenti o sulla base di presunzioni.
Ma vi è di più. Il soggetto che sottoscrive l’intimazione (o atto di messo in mora) non deve necessariamente essere un legale. Unica condizione richiesta, come sopra detto, è che venga rappresentato al debitore che il firmatario della lettera scrive per conto di altro soggetto a favore del quale l’atto interruttivo spiegherà, in definitiva, i propri effetti.
Anche se l’interpretazione della Suprema Corte è pacifica ed appare consolidata, non può però escludersi che vi possano essere, in futuro, dei “cambi di rotta”.
Ciò in quanto l’articolo 1324 del codice civile, che la Suprema Corte afferma non applicarsi al tema trattato, ammette deroghe solo nei casi previsti da specifiche disposizioni di legge. Ed in siffatta materia non sembra vi sia una disposizione derogatoria.
Del resto, non si comprende perché mai l’atto di costituzione in mora richieda la forma scritta ed il soggetto (diverso dall’intimante) non debba invece dimostrare il possesso di procura scritta in forza della quale effettua la costituzione in mora e, di conseguenza, l’effetto interruttivo.
In conclusione sarebbe prudente per i legali (ed i procuratori in genere) far sottoscrivere le lettere interruttive anche ai propri clienti per evitare, in un futuro, di incappare in spiacevoli sorprese.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)