La rinuncia al ricorso per cassazione produce l’estinzione del processo anche in assenza di accettazione, in quanto tale atto non ha carattere “accettizio” (non richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), e, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza civile – con ordinanza n. 19538 del 30 settembre 2015
Il caso
Nel 1998, una società proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Pretore di Verona, con cui le era stato ingiunto di pagare, in favore di altra società, la somma di £ 6.492.000 (€ 3.352,84) a titolo di compenso per la conservazione in celle frigorifere di una partita di kiwi di proprietà della società opponente, e chiedeva, altresì, in via riconvenzionale, la condanna dell’opposta al pagamento della somma di £ 160.002.576 a titolo di risarcimento dei danni per la non corretta frigoconservazione della frutta.
Si costituiva la società opposta, chiedendo il rigetto della domanda proposta dall’opponente e la conferma del decreto ingiuntivo.
La sentenza di primo grado
Il Tribunale di Verona, con sentenza del 25 settembre 2002, rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo, condannando la società opponente al pagamento, in favore dell’opposta, della somma pari ad € 3.352,84, oltre interessi, e compensava altresì le spese di lite tra le parti.
Avverso la sentenza di primo grado, la soccombente proponeva gravame cui resisteva la società opposta, che proponeva, a sua volta, appello incidentale in ordine alla operata compensazione delle spese.
La sentenza di appello
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 5 giugno 2012, accoglieva l’appello principale e, in riforma della sentenza impugnata, revocava il decreto ingiuntivo opposto, condannava la società appellata al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di € 47.230,69 oltre interessi, a titolo di risarcimento danni, nonché alle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la predetta sentenza, la società opposta proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi, notificato ai soci della società opponente ormai fallita e cancellata dal registro delle imprese.
La rinuncia al giudizio della ricorrente.
Con atto notificato ai controricorrenti e depositato in data 18 giugno 2015 presso la Cancelleria della Suprema Corte, la società opposta ha rappresentato che le parti hanno trovato un accordo per la definizione stragiudiziale della controversia con compensazione integrale delle spese e non hanno più interesse alla prosecuzione del giudizio ed ha, quindi, dichiarato di rinunciare al ricorso, con compensazione totale delle spese.
L’atto di rinuncia è valido anche se sottoscritto da uno solo dei due difensori nominati.
Per i giudici di legittimità, il predetto atto di rinuncia risulta sottoscritto da uno dei difensori nominati dalla ricorrente, senza che sia stata espressa la volontà di detta parte circa il carattere congiuntivo del mandato (Cass. 23 gennaio 2004, n. 1168; Cass. 29 marzo 2007, n. 7697), e che tale legale risulta munito, come gli altri difensori, di mandato speciale a rinunciare agli atti e ad accettare rinunce, giusta procura a margine del ricorso.
Il principio di diritto
Per gli Ermellini, inoltre, la rinuncia al ricorso per cassazione produce l’estinzione del processo anche in assenza di accettazione, in quanto tale atto non ha carattere “accettizio” (non richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), e, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione (Cass., sez. un., ord., 25 marzo 2013, n. 7378; Cass. 5 maggio 2011, n. 9857).
Da qui la dichiarata di estinzione del giudizio di cassazione per intervenuta rinuncia con integrale compensazione delle spese tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo essi svolto attività difensiva in questa sede di legittimità.
La rinuncia non comporta la statuizione di versare l’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione medesima.
Infine, conclude la Suprema Corte, pur trattandosi di ricorso soggetto, ratione temporis, al regime di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, l’estinzione del giudizio per rinuncia non è equiparabile al rigetto o alla dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, per cui la parte non è tenuta a versare l’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione medesima (Cass., ord., 17 aprile 2015, n. 12816; Cass., ord., 17 aprile 2015 n. 11289; Cass. 18 febbraio 2015, n. 3282).
Una breve riflessione
In poche righe, la Suprema Corte, con impari abilità, ribadisce alcuni interessanti principi in tema di rinuncia al ricorso e condanna alle spese.
Intanto, uno dei principi che viene fissato è che anche uno solo dei due difensori, purchè munito di procura speciale, può rinunciare al ricorso se non risulta che il ricorrente abbia conferito mandato congiunto.
In secondo luogo, per il perfezionamento della rinunzia al ricorso per cassazione non è necessaria l’accettazione della controparte. Sostengono in proposito i giudici di piazza Cavour che tale atto (la rinuncia) non ha carattere “accettizio” (non richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), e, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione.
Si tratta di un principio che si discosta dalla normativa applicabile ai gradi di merito, laddove l’articolo 306 del codice di procedura civile stabilisce che “il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione”.
Eppure, la disposizione dell’articolo 306, dal punto di vista letterale e sistematico, parrebbe applicarsi a tutti i gradi di giudizio, incluso quello di cassazione. Nei fatti, non è così, a ciò ostando la disposizione contenuta nell’articolo 390 c.p.c.
In conclusione, si può affermare come, superati i gradi di merito, le norme del codice di rito, cosi come interpretate dalla Suprema Corte, tendono a favorire la rinunzia al ricorso, sottraendo alla controparte il potere di non accettare la rinunzia stessa.
In terzo luogo, i giudici di piazza Cavour affermano che l’estinzione del giudizio per rinunzia non comporta l’obbligo per il rinunziante di versare l’ulteriore somma a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione medesima, atteso che la detta estinzione del giudizio non è equiparabile al rigetto o alla dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione.
Un ulteriore principio che conferma la tesi dell’interpretazione di favore in tema di rinuncia del ricorso per cassazione.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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