Le sezioni unite dovranno stabilire:
- se in sede di legittimità, di fronte a ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, possa essere consentito alla Corte di Cassazione di valutare, anche d’ufficio, l’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. introdotto dall’art. 1 comma 2 del D. Lgs. 16.3.2015 n. 28, successivamente alla proposizione del ricorso;
- se rientri nei poteri della Corte di Cassazione la valutazione di meritevolezza ed in quali termini ai fini dell’applicabilità dell’istituto e se tale giudizio debba in ogni caso essere espresso attraverso un annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ovvero possa farsi luogo ad un annullamento senza rinvio.
Questo, in sintesi, il contenuto dell’ordinanza n°21015 del 7 maggio 2015 della Suprema Corte di Cassazione – terza sezione penale.
Il caso
II Tribunale di Lecce in composizione monocratica, con sentenza del 24 gennaio 2014 dichiarava un uomo, imputato del reato di cui all’art. 256 comma 10 D. Lgs. 152/06 (illecito smaltimento di rifiuti speciali mediante incenerimento) nonché del reato di cui all’art. 674 cod. pen., colpevole del primo reato, condannandolo alla pena di € 4.000,00 di ammenda e lo assolveva, invece, dal concorrente reato di cui all’art. 674 cod. pen. perché il fatto non sussiste.
L’imputato gravava di ricorso la sentenza deducendo, con unico motivo, manifesta illogicità della motivazione in punto di statuizione della responsabilità, tenuto conto del ridottissimo quantitativo dei rifiuti smaltiti e della circostanza che tale smaltimento era avvenuto in luogo isolato e che si era trattato di una attività del tutto occasionale e non produttiva di inquinamento dell’aria.
Per la Suprema Corte, stante la “manifesta infondatezza del motivo e la sua genericità, il ricorso dovrebbe ritenersi inammissibile”.
Le riflessioni della Corte Suprema alla luce delle recenti disposizioni contenute nel D. Lgs. n. 28 del 16 marzo 2015 intitolato “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto a norma dell’art. 1 comma 1 lett. m) della Legge 28 aprile 2014 n. 67 pubblicato nella G.U.R.I. n. 64 del 18 marzo 2015 ed entrato in vigore il 2 aprile 2015.
Intanto, in assenza di una disciplina transitoria, va evidenziato che il comma 4° dell’art. 2 cod. pen. prevede, in caso di successione di leggi diverse nel tempo, l’applicabilità di quelle le cui disposizioni risultano più favorevoli per il reo, salva l’ipotesi della intervenuta pronuncia di sentenza irrevocabile. E’ fuor di dubbio – prosegue la Suprema Corte – che tra le disposizioni più favorevoli rientrino, indipendentemente da quelle concernenti in senso stretto la misura della pena, anche quelle che, attenendo ad ulteriori e diversi profili (in ipotesi, la configurabilità di una causa di punibilità), afferiscono al trattamento del reo considerato nel suo complesso.
Il principio della applicabilità della legge più favorevole ed il principio della retroattività della legge più favorevole.
Secondo la Suprema Corte, al principio della applicabilità della legge più favorevole si aggiunge il principio, per la verità non costituzionalizzato ma sostanzialmente visto come proiezione del principio di eguaglianza ex art. 3 comma 1° Cost., della retroattività della legge più favorevole (in contrapposizione alla regola della irretroattività della norma peggiorativa) che trova importanti antecedenti in numerose pronunce della Corte Costituzionale (vds. sentenze n. 393/2006 e 236/2011) e della Corte di Giustizia Europea (v. sent. 11.3.2008 C-420/06 Jagger e ancor più recentemente sent. 28.4.2011, C61-1 El Dridi).
La natura “sostanziale” dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Per gli Ermellini, la disposizione in esame va ritenuta di natura sostanziale sia per ragioni di ordine sistematico (la norma è inserita nel titolo V del codice penale che si occupa in generale della pena nei suoi vari aspetti applicativi e della sua esecuzione), sia per ragioni di carattere “formale” non disgiunte da altre di politica giudiziaria (non a caso il legislatore parla di “non punibilità” dell’autore del reato, laddove, se si fosse trattato di istituto di stampo processual-penalistico, sarebbe stato più logico parlare di “non procedibilìtà” nei confronti dell’autore del fatto-reato).
La problematica della applicabilità dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto ai giudizi pendenti in cassazione.
Per i giudici di Piazza Cavour si tratta di vedere “se la Corte di Cassazione, di fronte ad un ricorso inammissibile per manifesta infondatezza o per aspecificità dei suoi contenuti o per altre cause enunciate nell’ultima parte dell’art. 606 cod. proc. pen., e fuori dai casi di intempestività del ricorso per la tardività della sua proposizione ovvero di ricorso sottoscritto da difensore che non sia abilitato per le magistrature superiori, possa comunque intervenire di ufficio ovvero su sollecitazione della parte interessata che abbia a prospettare per la prima volta la questione dell’ammissibilità dell’istituto in sede di legittimità per non averla potuta proporre prima per ragioni temporali legate alla data di entrata in vigore della norma favorevole successivamente alla proposizione del ricorso, procedendo alla applicazione della norma medesima”.
Solo una eventuale abolitio criminis quale effetto dello jus superveniens potrebbe giustificare un intervento della Corte in termini di eventuale declaratoria di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen., come tale rilevabile anche davanti al giudice dell’esecuzione ex art. 673 cod. proc. pen..
Peraltro, sotto altro profilo, sembrerebbe problematica la possibilità di revoca in fase esecutiva della sentenza di condanna per abolitio criminis in conseguenza di una sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, perché in realtà non si verserebbe in una tipica ipotesi di abrogazione della norma punitiva ma di una lex mitior che ne tempera gli effetti pur definendo il giudizio in termini di non punibilità.
L’ostacolo dell’articolo 2 comma 2° cod. pen. e dell’art. 673 comma 1° cod. proc. pen.
Per gli Ermellini, del resto, l’art. 2 comma 2° cod. pen. cui solitamente si fa ricorso nella fase dell’esecuzione per gli effetti preveduti dall’art. 673 comma 1 cod. proc. pen. recita testualmente che “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali” . E del pari, l’art. 673 comma 1° cod. proc. pen. prevede che “Nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti“.
Viceversa, nel caso disciplinato dall’art. 131 bis cod. pen. il fatto viene pur sempre qualificato come “reato” (si richiamano i contenuti dell’art. 651 bis cod. proc. pen. dianzi esposti e l’imputato viene dichiarato “non punibile”).
L’ulteriore problema derivante dai limiti del giudizio di legittimità.
Per la Suprema Corte, inoltre, ove venisse superato l’ostacolo della preclusione derivante dalla inammissibilità del ricorso, occorre affrontare altresì il problema se essa (Corte) possa procedere alla valutazione dell’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen., e ciò in quanto i limiti connaturati alla natura del giudizio di legittimità rendono più problematica la soluzione (o le soluzioni alternative) da adottare. E non va nemmeno dimenticato che l’applicabilità dell’istituto nei giudizi di legittimità implicherebbe comunque delle valutazioni di merito connaturate alla natura dell’istituto di nuova creazione, non disgiunte dalla necessità che ai vari soggetti interessati sia offerta la possibilità di interloquire.
Il precedente giurisprudenziale (Cass. 15449/2015).
L’unico precedente in termini si rinviene nella recentissima pronuncia della suprema Corte secondo la quale, in caso di valutazione positiva, la Suprema Corte può pronunciare l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinchè valuti se dichiarare il fatto non punibile ovvero, in determinate condizioni, ad un annullamento senza rinvio.
Il problema della possibilità di annullamento senza rinvio.
La delicatezza dell’argomento impone però una serie di riflessioni circa gli eventuali limiti di natura sostanziale e processuale che la Corte di Cassazione può incontrare laddove venga sollecitata per la prima volta ad intervenire sull’applicabilità dell’istituto, ovvero se sia possibile un intervento ex officio.
Le soluzioni positive.
Nella recentissima relazione redatta dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte n. 111/02/15 del 23 aprile 2015, costituente un utile punto di riferimento e di riflessione, si è, ad esempio, ritenuta possibile tale eventualità “specie se si ritenga l’art. 129 cod. proc. pen. “regola di condotta” e non fonte di situazioni potestative” in forza dell’art. 620 comma 1 lett. l) cod. proc. pen. che prevede la possibilità di pronunciare una sentenza di annullamento senza rinvio “in ogni altro caso in cui la Corte ritiene superfluo il rinvio” (in tal senso v. S.U. 30.10.2003, n. 45276, Andreotti, Rv. 226100, in cui si sono positivamente valutate esigenze di economia processuale; v. anche S.U., 21.5.2003 n. 22327, Carnevale, Rv. 224181, con la quale è stato affermato il potere di annullare senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto, per addivenire a pronuncia di annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste). Tra l’altro, indipendentemente dal richiamo all’art. 129 cod. proc. pen. si deve ritenere ammissibile un annullamento della sentenza impugnata per essere l’imputato “non punibile”, come affermato da Sez. 6^ 26.4.2012 n. 17065, Cirillo Rv. 252506 in riferimento alla sopravvenuta causa di non punibilità del favoreggiamento personale ex art. 478 cod. pen. per effetto della ritrattazione di cui all’art. 376 cod. pen.: la Corte, infatti, dopo aver preso atto della sussistenza dei presupposti fattuali per la dichiarazione dell’esistenza della causa di non punibilità come desumibili dal testo della sentenza impugnata, ha osservato che: “Poiché la novità normativa è certo più favorevole per l’imputato, la stessa va applicata ai sensi degli artt. 2.4 c.p. e 609.2 c.p.p.”.
Le soluzioni negative.
Di contra, e’ stata esclusa l’applicabilità della disposizione transitoria di cui all’art. 63 comma 1 D. Lgs. 274/2000 in riferimento allo “jus superveniens” relativo ai reati di competenza del giudice di pace laddove debba essere pronunciata la procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto (art. 34 d.lgs. cit.) e di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie (art. 35 d.lgs. cit.), affermandosi che “La norma transitoria di cui all’art. 63 comma primo del D.Lgs. 28/8/2000 n. 274 in materia di competenza penale del giudice di pace (che prevede l’applicabilità, anche nei giudizi davanti a un giudice diverso, delle disposizioni circa l’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto, e della non punibilità in caso di risarcimento) non trova applicazione in Cassazione, atteso che il presupposto processuale della norma in argomento, l’intervento personale degli interessati, non è attuabile nel giudizio di legittimità” (Sez. 5^ 23.5.2002 n. 25063, Rufolo ed altri, Rv. 222063)”.
La particolarità dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Per i giudici di Piazza Cavour, del tutto diverse sono le condizioni previste per l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131- bis cod. pen., in quanto nell’ipotesi di pronuncia di sentenza pre-dibattimentale, per effetto dell’art. 469 comma 1 bis cod. proc. come innovato dal D. Lgs. 28/15, la persona offesa deve essere semplicemente sentita “se compare”; così come, in caso di sentenza emessa all’esito di dibattimento o di giudizio abbreviato, non solo non è prevista la non opposizione dell’indagato e della persona offesa, ma non è nemmeno previsto il compimento di specifici adempimenti procedi mentali.
Il tipo di “controllo” che può porre in essere la corte di cassazione.
Occorre domandarsi se la Corte debba limitarsi ad una verifica sia pure astratta sulla base delle emergenze rilevabili dalla sentenza impugnata ovvero se possa – o debba – adottare una pronuncia di annullamento e con quale formula.
La possibilità di annullamento con rinvio.
Alla possibilità di un annullamento con rinvio nel caso di positiva verifica della sussistenza delle condizioni legittimanti l’applicabilità dell’istituto fa esplicito riferimento la più volte ricordata Sez. 3^ 15449/15 nella quale si è evidenziato che “l’applicabilità dell’art. 131- bis cod. pen. presuppone valutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei soggetti interessati. Da ciò consegue che, nel giudizio di legittimità, dovrà preventivamente verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinché valuti se dichiarare il fatto non punibile Nell’effettuare tale apprezzamento, il giudice di legittimità non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito tenendo conto, in modo particolare, della eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto, riguardando, la non punibilità, soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale”.
Per la Suprema Corte, però, sembrerebbe più corretto procedere attraverso un percorso che includa, anzitutto, una valutazione in termini meramente astratti e con indicazione di linee guida di tipo interpretativo da valere per il giudice di merito, circa l’applicabilità dell’istituto e l’esame della meritevolezza della causa di non punibilità e, di seguito, una pronuncia di annullamento sempre e solo con rinvio, lasciando poi al giudice di merito il compito di valutare in concreto la praticabilità della soluzione invocata dalla parte che vi ha interesse.
In conseguenza di ciò, laddove fosse possibile intravedere epiloghi favorevoli per il ricorrente sulla base delle prospettazioni contenute nel ricorso ovvero ancora quando da parte del ricorrente tali condizioni vengano prospettate con apposita memoria ex art. 121 cod. proc. pen. o persino in sede di discussione orale, attraverso l’indicazione o allegazione di circostanze che non potute provare prima per ragioni di ordine temporale legate ai tempi di entrata in vigore della nuova disposizione, ove accertate potrebbero risultare idonee a giustificare l’operatività del nuovo istituto, potrebbe essere possibile una restituzione in termini delle parti dinanzi ai giudici di merito per l’articolazione di attività istruttorie.
La necessità di un riferimento al contenuto della motivazione del provvedimento impugnato.
Ma, quale che sia la soluzione adottabile, – prosegue la Corte Suprema -, quel che appare certa è la necessità di un riferimento in concreto al contenuto della motivazione del provvedimento impugnato: allo stato degli atti le due soluzioni estreme tra loro contrapposte di verifica negativa circa la sussistenza dei presupposti legittimanti l’applicabilità dell’istituto (che dovrebbe preludere ad un rigetto della istanza e del ricorso ovvero alla inammissibilità) e, in alternativa, di verifica positiva (che dovrebbe preludere ad un annullamento senza rinvio) sembrerebbero non praticabili non solo per i ricordati limiti di valutazione che caratterizzano l’operato del giudice di legittimità, ma anche per quell’esigenza di rispetto del contraddittorio che esige una interlocuzione della persona offesa che non appare essere adeguatamente assicurata nel giudizio di legittimità, anche perché essa presupporrebbe comunque una valutazione di merito inibita nel giudizio di cassazione.
La valutazione di meritevolezza alla quale è chiamato il giudice.
Per gli Ermellini, il giudice è chiamato ad effettuare una specifica valutazione di meritevolezza verificando se sulla base dei due “indici-requisiti” (modalità della condotta ed esiguità del danno e del pericolo, valutati congiuntamente secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133 comma 1° cod. pen.), sussistano i due indici-criterio (particolare tenuità dell’offesa e non abitualità del comportamento). L’esito positivo di tale operazione consentirà al giudice di considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
Le difficoltà della valutazione sulla meritevolezza.
Senonchè, l’apparente semplicità di tali operazioni si scontra, però, con un testo che oltre a profilarsi non particolarmente specifico, può indurre alcune perplessità.
Anzitutto è da rilevare che si tratta, proprio perché entrano in gioco numerosi dati che debbono tra loro incrociarsi, di un giudizio complesso in cui muovendo dalla premessa che a dover essere analizzato è non tanto e non solo il reato, quanto il comportamento del reo (e dunque la condotta), deve anche tenersi presente la differenza che intercorre tra irrilevanza del fatto ed inoffensività del fatto: in quest’ultimo caso, in realtà ci si trova di fronte ad un non reato (art. 49 comma 2° cod. pen.), mentre l’aspetto della irrilevanza attiene più propriamente ad un giudizio di valore che presuppone l’esistenza di un fatto-reato ed il livello di offensività misurato in rapporto alla abitualità del comportamento ed alle modalità della condotta.
L’irrilevanza del fatto.
Sul versante dell’irrilevanza del fatto non vi sono preclusioni di principio posto che nessuna distinzione viene fatta tra reato di evento e di danno e reati di pericolo (nella duplice forma di pericolo astratto o pericolo concreto).
L’esiguità del danno.
Quanto alla valutazione della esiguità del danno o del pericolo appare evidente la necessità di un giudizio esprimibile sulla base di dati oggettivi e non sulla base di elementi di tipo soggettivo, ferma restando l’esigenza che si tratti di un giudizio globale che porti alla conclusione di un fatto estremamente modesto sia in oggettivamente che soggettivamente (v. Sez. 5″ 2.12.2004 n. 7573, Subramanian, Rv. 230811; conformi Sez. 4″ 15.2.2005 n. 15374, Orengo, Rv. 231549; idem, 7.7.2004 n. 40203, P.G. in proc. Misantoni, Rv. 229574, tutte in tema di giudizi espressi su fatti-reato di competenza del giudice di pace).
La nozione di comportamento non abituale.
Per la Suprema Corte, il legislatore ha rinunciato a scelte di tipo pregiudiziale – tranne le ipotesi espressamente disciplinate nel comma 2 – ostative alla ammissibilità dell’istituto, ponendo comunque l’accento su quello – tra i vari indici – dell’abitualità (o non abitualità secondo l’angolo visuale di osservazione) del comportamento.
Ma è proprio questo profilo – proseguono i giudici di Piazza Cavour -, a presentare alcuni problemi interpretativi in tema di valutazione della non abitualità del comportamento che, a differenza della “non occasionalità” utilizzata nel d. Lgs. 274/2000 (ma anche nel D.P.R. 448/1988), dovrebbe essere riguardata in stretta correlazione con il comma 3° dell’art. 131 bis che parrebbe riferirsi alla definizione del comportamento abituale. In altri termini, per potersi ragionevolmente parlare di comportamento non abituale come ipotesi positivamente apprezzabile al fine dell’applicazione dell’istituto, non si deve trattare di una delle condotte incluse nel menzionato comma 3°, anche se rimane da vedere se le classificazioni indicate nel testo siano da considerarsi tassative o soltanto enunciative.
I parametri di valutazione.
In sentenza si legge che andranno valutati anche i precedenti “giudiziari” e non solo quelli sfociati in pronunce irrevocabili, mentre andrà valutata caso per caso l’incidenza di un precedente non della stessa indole (che in sé non dovrebbe assumere portata decisiva in termini negativi, così come i precedenti giudiziari per fatti non della stessa indole).
Per converso, sembrerebbero costituire un serio ostacolo all’applicabilità dell’istituto i reati cd. “permanenti” (si pensi ai reati ambientali, paesaggistici o urbanistici) o “abituali” (si pensi al delitto di maltrattamenti in famiglia) e quelli unificati sotto il vincolo della continuazione in cui entrano in gioco condotte ripetute o plurime che, per esplicita voluntas legis impediscono di beneficiare dell’istituto.
Le conclusioni della Suprema Corte.
In definitiva, la complessità della valutazione (che esige un giudizio globale collegato anche al tipo di reati da prendere di volta in volta in considerazione nella loro struttura intrinseca) importerebbe sempre un giudizio di merito, impossibile da esprimere da parte della Corte di Cassazione che deve, invece – quanto meno allo stato attuale – indicare criteri di massima al giudice di merito cui informare una futura decisione sulla meritevolezza ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità, sulla base delle allegazioni dell’imputato e nel rispetto del contraddittorio con gli altri protagonisti processuali.
Perché viene richiesto l’intervento delle Sezioni Unite.
Per la Corte a sezione semplice, “le questioni nuove dianzi enunciate, per l’importanza che assumono nell’economia generale del processo – in stretto riferimento alle questioni di diritto intertemporale – esigono un intervento risolutore della Suprema Corte nella sua espressione più autorevole al fine di indicare, anzitutto:
- se in sede di legittimità di fronte a ricorso inammissibile per manifesta infondatezza possa essere consentito alla Corte di Cassazione di valutare, anche d’ufficio, l’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. introdotto dall’art. 1 comma 2 del D. Lgs. 16.3.2015 n. 28, successivamente alla proposizione del ricorso; inoltre,
- se rientri nei poteri della Corte di Cassazione la valutazione di meritevolezza ed in quali termini ai fini dell’applicabilità dell’istituto e se tale giudizio debba in ogni caso essere espresso attraverso un annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ovvero possa farsi luogo ad un annullamento senza rinvio”.
Una breve riflessione
L’ordinanza in questione interviene a distanza di poco tempo rispetto alla sentenza n°15449 del Supremo Collegio (esattamente ad un mese) ma, contrariamente alla precedente decisione, affronta la questione connessa alla non punibilità per particolare tenuità del fatto in maniera più approfondita e con il chiaro intento di prevenire tutta una serie di problematiche già delineatesi nella prassi applicativa.
Una delle problematiche affrontate ma la cui soluzione è stata demandata alla sezioni unite riguarda proprio la possibilità, da parte della Suprema Corte, di potersi pronunciare in ordine alla applicabilità della non punibilità per particolare tenuità del fatto a fronte di un ricorso inammissibile per manifesta infondatezza.
E non v’è dubbio che la soluzione ha effetti pratici abbastanza rilevanti ove solo si osservi che il ricorso potrebbe essere inammissibile proprio perché al momento della sua presentazione non è stata invocato l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto in quanto non ancora in vigore.
Cioè a dire, vi è un certo numero di ricorsi per cassazione pendenti (e sono molti), presentati prima del 2 aprile 2015, relativi a fatti reato per i quali, da un punto di vista astratto (in base agli indici criteri ed indici requisiti) sarebbe possibile applicare la speciale esimente della non punibilità per particolare tenuità del fatto, rispetto ai quali la parte ricorrente ne invoca, solo ora con memorie, motivi nuovi o anche direttamente all’udienza di discussione, la concessione. O ancora, se sia addirittura concedibile la speciale esimente “ex officio” dalla Corte in assenza di qualsivoglia richiesta in tal senso dal ricorrente.
Ciò dà l’idea di quanto l’una o l’altra soluzione che le sezioni unite adotteranno possa avere conseguenze differenti su un numero elevatissimo di ricorsi.
L’unico limite, leggendo i motivi del rinvio alle sezioni unite, sembra essere costituito dalla circostanza che il ricorso sia stato depositato in data precedente la data di entrata in vigore della non punibilità per particolare tenuità del fatto. Dal chè ne deriverebbe che, per i ricorsi presentati successivamente a tale data, sia comunque richiesto al ricorrente un onere ulteriore, ovverossia lo sviluppo di uno specifico motivo in tal senso. Ma neanche tale ultima soluzione sarà pacifica ove le sezioni unite dovessero decretare per la concedibilità della speciale esimente ex officio.
Ma la questione più importante, per la quale è stato effettuato il rinvio alle sezioni unite, riguarda:
- se rientri nei poteri della Corte di Cassazione la valutazione di meritevolezza e in quali termini ai fini dell’applicabilità dell’istituto e
- se tale giudizio debba in ogni caso essere espresso attraverso un annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ovvero possa farsi luogo ad un annullamento senza rinvio.
Si tratta di questioni della massima importanza perché appunto, ove si stabilisse che la Corte di cassazione ha il potere di entrare nel “merito” della valutazione, occorrerà stabilire in quali termini e con che “profondità” rispetto alla vicenda ciò potrà essere fatto. Ed infine, di notevole importanza sarà stabilire se il giudizio potrà essere espresso necessariamente con un annullamento senza rinvio, oppure solo con un annullamento con rinvio o entrambi i modi siano possibili.
Attendiamo dunque di conoscere cosa ne pensano le sezioni unite.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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