Interferenze illecite nella vita privata: quando riprendere immagini non integra il reato di cui all’articolo 615-bis c.p.

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Il reato di cui all’art. 615 bis cod. pen. (interferenze illecite nella vita privata) punisce le intrusioni nel domicilio altrui, realizzate all’insaputa o contro la volontà di chi ha lo ius excludendi, con la precisazione che la tutela penalistica apprestata dalla norma incriminatrice non si estende alle immagini riprese in luoghi destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione feriale penale – con sentenza n. 35775 del 20 agosto 2015

Interferenze illecite nella vita privata: quando riprendere immagini non integra il reato di cui all'articolo 615-bis c.p.

Interferenze illecite nella vita privata: quando riprendere immagini non integra il reato di cui all’articolo 615-bis c.p.

Il caso

Con sentenza deliberata in data 20/01/2015, la Corte di appello di Ancona – rideterminata in melius la pena irrogata – ha confermato la sentenza del 20/01/2013 con la quale il Tribunale di Pesaro aveva dichiarato quattro imputati colpevoli dei reati di violazione di domicilio e di interferenze illecite nella vita privata in danno della persona offesa

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Ancona hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

I motivi di ricorso

  1. Il primo motivo denuncia vizi di motivazione ed erronea applicazione dell’art. 614 cod. pen. Secondo gli imputati, erroneamente la sentenza impugnata ha affermato che non rilevava, ai fini della configurabilità del reato di violazione di domicilio, stabilire se la persona offesa avesse o meno titolo per impedire il passaggio di terzi attraverso la strada chiusa dalla stessa con una sbarra: la sentenza civile e la documentazione comunale prodotte attestavano la sussistenza di una servitù d’uso pubblico sulla strada percorsa dagli imputati, che hanno quindi esercitato il diritto di transito su una via ad uso pubblico rispetto alla quale la querelante non era titolare dello ius excludendi alios, non rilevando il diritto di proprietà sull’immobile all’interno del quale si trova la strada.
  2. Il secondo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione degli artt. 614 e 47, terzo comma, cod. pen. Gli imputati avevano agito per documentare l’abusiva preclusione della strada di passaggio, il che li aveva portati ad ignorare gli avvertimenti della proprietaria, non riconoscendosi l'”altruità” della cosa e la titolarità in capo alla persona offesa dello ius excludendi alios, né rilevando che essi avessero raggiunto l’area immediatamente antistante l’edificio abitativo, in quanto la strada si addentrava nel fondo di proprietà della persona offesa, fino a lambirne l’abitazione. Erroneamente la Corte di appello avrebbe escluso l’applicabilità dell’art. 47, terzo comma, cod. pen., in quanto l’errore sul significato giuridico da attribuire agli elementi normativi qualificati dalla norma extrapenale era in grado di determinare una situazione psicologica equivalente a quella originata dalla falsa rappresentazione di un dato materiale: gli imputati erano convinti (sulla base della delibera comunale, delle rassicurazioni di alcuni legale e del costante uso pubblico confermato da tutti i testimoni) che la strada fosse di uso pubblico e non una pertinenza dell’abitazione, versando comunque – anche a voler escludere l’applicabilità dell’art. 47, terzo comma, cod. pen. – in un errore scusabile a norma dell’art. 5 cod. pen.
  3. Il terzo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 615 bis cod. pen. Anche per la configurabilità del reato di interferenze illecite nella vita privata –secondo i ricorrenti – è necessario che il soggetto si rappresenti e voglia procacciarsi indebitamente notizie concernenti la vita privata altrui, laddove nel caso di specie l’unico fine perseguito dagli imputati era quello di documentare l’abusiva recinzione di una “pubblica” via. L’indiscriminata esposizione alla vista altrui di un’area costituente pertinenza domiciliare non deputata a manifestazione di vita privata esclusiva risulterebbe incompatibile con la tutela penale della riservatezza.

La difesa della parte civile.

Con memoria in data 11/08/2015, il difensore della parte civile chiedeva il rigetto del ricorso e la rifusione delle spese sostenute nel grado.

Perché la Corte di Cassazione accoglie il ricorso

Per i giudici di piazza Cavour, la sentenza impugnata muove dal rilievo dell’irrilevanza della questione della sussistenza o meno, in favore della persona offesa, di un titolo per impedire il passaggio ai terzi sulla strada, in quanto, essendo indiscussa la proprietà della strada in capo alla stessa, gli imputati si rappresentarono con chiarezza e senza alcun errore sul concetto di “altruità” richiamato dall’art. 614 cod. pen. che la persona offesa fosse diventata proprietaria dell’immobile all’interno del quale si trovava la strada interrotta dalla querelante con una sbarra.

Il soggetto passivo del reato di violazione di domicilio.

Secondo i giudici di legittimità, l’assunto della Corte di merito non può essere condiviso in quanto se il soggetto passivo del reato di violazione di domicilio va individuato in chi ha la titolarità del diritto di vietare a terzi l’ingresso o la permanenza in uno dei luoghi presi in considerazione dall’art. 614, comma primo, cod. pen. (Sez. 5, n. 47500 del 21/09/2012 – dep. 06/12/2012, Catania, Rv. 254518), l’accertamento in ordine alla sussistenza, in capo alla querelante, della titolarità dello ius excludendi alios non può essere ritenuto irrilevante in considerazione del diritto di proprietà pacificamente acquisito dalla persona offesa: l’eventuale riconoscimento della sussistenza del diritto di servitù di uso pubblico rivendicato dai ricorrenti – sulla base di documentazione pubblica (l’atto di cessione con l’impegno della cessionaria di lasciare inalterata la viabilità), di testimonianze e della sentenza civile di primo grado che detta servitù avrebbe riconosciuto – escluderebbe l’attribuzione alla querelante della titolarità del diritto di vietare a terzi l’ingresso o la permanenza.

Lo ius excludendi alios.

Si tratta – proseguono gli Ermellini – dunque, di una verifica essenziale ai fini dell’accertamento dell’elemento oggettivo di reato, verifica destinata, peraltro, a riflettersi anche sul giudizio in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico, posto che il dolo nel delitto di violazione di domicilio consiste nella volontà dell’agente di introdursi nei luoghi in questione contro la volontà di chi ha diritto di escluderlo (Sez. 5, n. 6419 del 05/04/1974 – dep. 03/10/1974, Barone, Rv. 128060). Solo all’esito dell’indicato accertamento circa la sussistenza del diritto di servitù di uso pubblico sulla strada in questione (e sulla base delle conclusioni raggiunte sul punto), potrà essere compiutamente ricostruito il fatto ascritto agli imputati e, dunque, per un verso, potrà essere puntualmente definita la zona interessata dall’eventuale servitù e, per altro verso, potrà essere delineata la condotta posta in essere in rapporto alle aree risultanti o meno riconducibili ad uno ius exdudendi alios della querelante.

Il reato di interferenze illecite nella vita privata.

E secondo i giudici di piazza Cavour, il medesimo esito si impone anche con riguardo al reato di interferenze illecite nella vita privata. Ciò in quanto la Corte di merito ha osservato che gli imputati si sono procurati immagini fotografiche di luoghi privati sottratti ad ingerenze esterne con la recinzione e con la sbarra apposta a chiusura della strada, luoghi non liberamente visibili dall’esterno se non oltrepassando detti presìdi.

Secondo gli Ermellini, l’argomentare della sentenza impugnata, dunque, valorizza la non accessibilità dei luoghi ripresi, connotato, questo, che, a sua volta, fa leva sul presupposto già richiamato a proposito dell’imputazione di violazione di domicilio, ossia la ritenuta irrilevanza dell’accertamento concernente la titolarità, in capo alla querelante, dello ius excludendi alios in relazione alla strada che attraversa la proprietà della querelante.

Il principio di diritto.

La già rilevata erroneità del presupposto indicato – concludono i giudici della Corte di cassazione – inficia la motivazione della sentenza impugnata anche con riferimento al reato di cui all’art. 615 bis cod. pen., che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, punisce le intrusioni nel domicilio altrui, realizzate all’insaputa o contro la volontà di chi ha lo ius excludendi (Sez. 5, n. 10444, del 05/12/2005 – dep. 27/03/2006, Teli), laddove la tutela penalistica apprestata dalla norma incriminatrice non si estende alle immagini riprese in luoghi destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti (Sez. 5, n. 44701 del 29/10/2008 – dep. 01/12/2008, P.M. in proc. Caruso).

Da qui l’annullamento della sentenza impugnata per un nuovo esame.

Una breve riflessione.

La sentenza in rassegna ribadisce due principi importanti: quello in forza del quale affinchè si realizzi la intrusione nel domicilio altrui (per gli effetti dell’articolo 615-bis codice penale) occorre che la condotta si realizzi all’insaputa o contro la volontà di chi ha lo ius ecludendi alios; l’altro, in forza del quale non costituisce reato l’acquisizione di immagini o di riprese che si riferiscono a luoghi destinati all’uso di un numero indeterminato di persone.

Come si può notare, la disciplina penalistica, sul punto, diverge da quella sul trattamento dei dati personali. Per un approfondimento sul punto si veda Corte di Giustizia UE, Quarta Sezione, sentenza 11 dicembre 2014, causa C-212/13.

Dunque, dal punto di vista del trattamento dei dati personali la giurisprudenza eurounitaria e la “normativa” del Garante della Privacy sono più stringenti rispetto alla disciplina penalistica, quest’ultima sostanzialmente codificata nell’articolo 615-bis codice penale, ma presente anche all’interno del codice della privacy.

Ciò di cui si discute con la sentenza in rassegna è l’articolo 615-bis codice penale, ma ci si dovrebbe chiedere che tipo di rapporto sussista ta tale disposizione e le disposizioni penali inserite nel codice della privacy. L’articolo 615-bis è stato inserito nel codice penale dalla legge 8 aprile 1974 n.98; il codice della privacy è di molti anni dopo.

Tuttavia, a parere di chi scrive, manca un coordinamento tra la disposizione dell’articolo 615-bis codice penale e le sanzioni penali previste nel codice della privacy: queste ultime disciplinano aspetti che rientrano anche nel perimetro dell’articolo 615-bis del codice penale.

In definitiva, l’assetto normativo che disciplina la ripresa di immagini della vita privata potrebbe disorientare il cittadino, essendo previste, sostanzialmente, norme di carattere amministrativo; norme di carattere civile (responsabilità); norme di carattere penale, alcune inserite nello stesso codice della privacy ed altre (articoli 625-bis, ter, quater, quinquies) inserite nel codice penale.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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