Nei rapporti tra Azienda Sanitaria e titolari di laboratorio di analisi in accreditamento e farmacisti si applica il saggio di interesse ex d.Lgs. 231/2002 per il caso di ritardo nei pagamenti.
Lo ha stabilito il Tribunale di Catanzaro, sez. II, con sentenza 18 gennaio 2013, in linea con sentenza Tribunale di Messina 6 luglio 2010.
Seguiremo, per la esposizione, il medesimo percorso motivazionale utilizzato dal giudice in sentenza.
La ratio del D.Lgs 231/2002
Con il D. Lgs. 231/2002 il legislatore ha inteso dare attuazione alla Direttiva 2000/35/CE in materia di ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali. In particolare il legislatore comunitario ha cercato dì introdurre un sistema idoneo a limitare al massimo i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, nella consapevolezza che gli eccessivi ritardi impongono pesanti oneri finanziari alle imprese, specie quelle di piccole e medie dimensioni, e costituiscono una tra le principali cause di insolvenza determinando la perdita di numerosi posti di lavoro (considerando 7 Direttiva 2000/35/CE); inoltre il legislatore comunitario ha cercato di introdurre una disciplina uniforme, atteso che le differenze tra le norme in tema di pagamento negli Stati membri costituiscono un ostacolo al buon funzionamento del mercato interno (considerando 8 Direttiva 2000/35/CE).
L’ambito applicativo del D.Lgs. 231/2002
L’ambito applicativo del D. Lgs. 231/2002 è indicato nell’art. 1 ove si legge che “le disposizioni contenute nel presente, decreto sì applicano, ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale. L’art. 2 precisa, poi, che per «transazioni commerciali» si intendono, “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero ” tra imprese- e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di, servizi, contro il pagamento di un prezzo”. Sono esplicitamente esclusi, tuttavia, “a) debiti oggetto di ‘ procedure concorsuali aperte a carico del debitore; b) richieste di interessi inferiori a 5 euro; e) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, ivi compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore (art, 1 comma 2), nonché i debiti oggetto di contratti conclusi prima dell’8.08.2002 (art. 1)”.
La nozione di pubblica amministrazione.
Quanto alla delimitazione soggettiva dell’ambito di applicazione della disciplina, degna di particolare attenzione è la definizione di “pubblica amministrazione” che il decreto in esame ha cura di esplicitare. In tale ampia accezione vengono, infatti, espressamente comprese “le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti pubblici territoriali e le loro unioni, gli enti pubblici non economici, ogni altro organismo dotato di personalità giuridica, istituito per soddisfare specifiche finalità d’interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dagli enti locali, da altri enti pubblici o organismi dì diritto pubblico o la cui gestione è sottoposta al loro controllo o i cui organi d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti, almeno per la metà, da componenti designati dai medesimi soggetti, pubblici” (art.2. comma, 1 lett. b).
La nozione di imprenditore
Viene, invece, definito «imprenditore», “ogni soggetto esercente un’attività : economica organizzata, o una libera professione” (art. 2 comma 2 lett. c). Il legislatore ha stabilito un particolare tasso di mora particolarmente elevato, diretto non solo a ristorare, il creditore del danno subito, ma anche a sanzionare il ritardo nell’adempimento della prestazione pecuniaria, con funzione dissuasiva di comportamenti abusivi del debitore. Tale saggio è, infatti, determinato “in misura pari al saggio d’interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di sette punti percentuali” (art. 5).
La decorrenza degli interessi.
Per quanto riguarda la decorrenza, il legislatore ha stabilito che chi subisce ingiustificatamente un ritardo nel pagamento del prezzo, ha diritto agli interessi di mora che decorrono automaticamente, sin dal giorno immediatamente successivo a quello di scadenza previsto nel contratto (art. 4 comma 1), per il solo fatto dell’inadempimento, senza che il fornitore della prestazione o del servizio debba più inviare alcuna lettera di sollecito o altro atto di “costituzione in mora” ed a prescindere dal luogo fissato dalla legge per il pagamento: ciò, diversamente da quanto ancor oggi prevede il nostro codice civile, in tutti i casi di corrispettivo nascente da contratto nei quali la prestazione non deve essere eseguita al domicilio del creditore (ipotesi nella quale non opera, ai sensi dell’art. 1219 c.c., la mora ex re).
Le norme sulla contabilità pubblica.
L’ipotesi più rilevante concerne i debiti pecuniari della P.A., in quanto le norme sulla contabilità pubblica stabiliscono che i pagamenti dei debiti pecuniari della P.A. si effettuano presso l’Ufficio della tesoreria sicché, stante la natura queràble dell’obbligazione, la responsabilità da tardivo adempimento con conseguente obbligo di corresponsione degli interessi moratori è subordinata alla rituale costituzione in mora.
Il D.Lgs. 231/2002 si applica anche nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni.
Nulla impedisce, allora, l’applicabilità anche nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni della disciplina introdotta dal D.Lgs.231/2002 in materia di « ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, tanto nel caso in cui la P.A. sia creditrice, quanto nel caso in cui questa sia debitrice. D’altronde, secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, le posizioni di privilegio un tempo riconosciute alla pubblica amministrazione si devono ritenere ingiustificate, essendo stata ormai abbandonata l’originaria tesi secondo cui questa sarebbe esonerata dagli effetti della mora fino, al momento dell’emissione del mandato di pagamento (in tal senso vedi Cass. civ. 3.03.1979 n. 1347), ed essendo stato da tempo accolto l’orientamento contrapposto, secondo cui devono estendersi anche alla pubblica amministrazione le norme ordinarie in tema di inadempimento e di costituzione in mora contenute nel codice civile.
Proprio muovendo da tali premesse, sin dalla metà degli anni ’80 la Suprema Coste ha affermato che la necessità di adottare la procedura della contabilità pubblica (art. 270 R.D. 23 maggio 1924 n. 827), pur ponendo un invalicabile limite alla corresponsione degli interessi corrispettivi, non può giustificare alcun esonero da responsabilità per l’inesatto o tardivo adempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c.o l’inapplicabilità del principio stabilito dall’art. 1224 c.c., come ormai sancito anche dalle sezioni unite della Suprema Corte (Cass. civ. sez. un. 8.02.1995, n. 1446) ed analoghe considerazioni possono oggi valere con riferimento alla disciplina contenuta nel D.Lgs. 231/2002,- la quale deroga al principio secondo cui ai pagamenti degli enti pubblici, che secondo le norme di contabilità generale dello Stato (art. 41 R.D. 23.05.1924 e artt 96 e 235 TU.. 3.03.1934 n. 383), sono delle obbligazioni pecuniarie querables e non portables, non possa applicarsi la norma relativa alla mora ex re.
Si pone, nondimeno, il problema se tutte le norme legislative e regolamentari sui termini di pagamento delle Pubbliche Amministrazioni e sulla misura degli interessi, nella misura in cui siano meno favorevoli per il creditore, possano ritenersi implicitamente abrogate dalla nuova legge sui ritardi dei pagamenti.
Il D.Lgs. 231/2002 ha implicitamente abrogato tutta la normativa con esso incompatibile.
A tal proposito si è osservato che il D. Lgs. 231/2002 trova applicazione incondizionata ed ha, pertanto, implicitamente abrogato tutta la normativa con esso incompatibile, ma occorre verificare cosa succeda ove detta normativa incompatibile con le nuove regole venga convenzionalmente richiamata nel contratto.
E se la normativa incompatibile viene richiamata convenzionalmente nel contratto?
In passato la Suprema Corte ha costantemente affermato che quando l’inserzione nel contratto di clausole non è frutto di una libera scelta delle parti, ma discende dalla volontà del legislatore, in quanto le clausole risultino meramente riproduttive di regole legali, il richiama della formazione pubblica effettuata nel contratto ha natura meramente ricognitiva e non vale ad attribuire natura negoziale alla previsione della fonte esterna (Cass. civ. 10.02.1992 n. 1458).
Occorre distinguere se la inserzione di tali clausole incompatibili sia frutto di libera scelta ovvero discenda dalla volontà del legislatore.
La soluzione è, però, necessariamente diversa quando il richiamo di fonti normative esterne, anche attraverso la riproduzione di clausole previste in dette fonti, sia il frutto di una libera scelta delle parti e non discenda dalla volontà del legislatore, come avviene a seguito del D.lgs. 231/2002 con riferimento alle clausole pattizie che richiamano la disciplina anteriore ed incompatibile con quella stabilita del D. Lgs. 231/2002 in terna di ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali.
Le clausole pattizie possono derogare le norme di cui al D.Lgs. 231/2002 a condizione che superino il vaglio di grave iniquità dell’accordo.
Infatti, data la natura dispositiva o suppletiva della nuova legge, le clausole riproduttive di regole contenute in una fonte normativa esterna, ancorché incompatibili con la nuova disciplina conserveranno tutta la loro efficacia, trattandosi di clausole di natura negoziale e non normativa, sempre che costituiscano deroghe consentite alle norme suppletive poste dal D. Lgs. 231/2002, vale a dire nella misura in cui superino il vaglio di grave iniquità dell’accordo.
Il problema della applicabilità del D.Lgs. 231/2002 ai crediti nei confronti del S.S.N. da parte dei laboratori di analisi cliniche in regime di concessione pubblica e da parte dei farmacisti per la consegna dei farmaci e medicinali agli assistiti del S.S.N.
La questione maggiormente controversa riguarda, però, sicuramente l’applicabilità del D. Lgs. 231/2002 ai crediti nei confronti dei Servìzio Sanitario Nazionale e, in particolare, ai crediti dei laboratori di analisi cliniche in regime di concessione pubblica ed ai crediti dei farmacisti per la consegna di farmaci e medicinali agli assistiti del servizio sanitario nazionale.
Non vi è dubbio che anche le ASL e le ASP rientrano nella nozione di Pubblica. Amministrazione accolta nella lett. b) dell’art. 2 del D.Lgs. 231/2002, sicchè la disciplina in tema di ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali appare in astratto applicabile anche ai pagamenti dei debiti del Servizio Sanitario Nazionale. Dubbi sono sorti tuttavia con riferimento a quei rapporti nei quali la parte privata svolga un’attività in regime di concessione pubblica. Con riferimento ai contratti di fornitura di beni e servizi in materia sanitaria si è, infatti, osservato che non si è propriamente al cospetto di una “transazione commerciale” poiché il privato espleta un pubblico servizio, reso in regime di “‘concessione/accreditamento”, sicché le somme dovute al privato per le prestazioni a favore dei pazienti non possono essere considerate alla stregua dì un corrispettivo contrattuale per una prestazione ma viene in rilievo il concetto di “tariffa” rispetto:al quale l’amministrazione, e ancor più, il legislatore dispongono fisiologicamente di un rilevante potere autoritativo, che consente loro d’incidere pure sui profili accessori del rapporto principale (T.A.R. Sardegna sez. 1 03 dicembre 2008; Trib. Nocera Inferiore, 14.10.2004). Tale argomentazione non è, però, condivisibile, poiché anche nei rapporti di tipo concessorio sussiste un elemento di natura convenzionale (cd. contratto accessivo) volto a disciplinare gli aspetti economico – patrimoniali dell’intera vicenda e la natura di servizio pubblico dell’attività non esclude la natura contrattuale del rapporto, in quanto è evidente che anche un servizio pubblico può essere esercitato mediante strumenti privatistici.
Quando, allora, il privato esegue delle prestazioni sulla base di un atto negoziale stipulato con la Pubblica Amministrazione, ricorrono tutti i presupposti per l’applicabilità della disciplina delle transazioni commerciali, che si riferisce a tutti i contratti comunque denominati tra imprese e Pubbliche Amministrazioni.
Le prestazioni dei farmacisti sono sussumibili nel contratto a favore di terzi.
In particolare, con riferimento alle prestazioni dei farmacisti in favore dei beneficiari del Servizio Sanitario Nazionale, si è al cospetto di uno schema negoziale sussumibile nell’ambito del contratto in favore di terzi, dal momento che le prestazioni convenute hanno come ultimi beneficiari i cittadini, che si caratterizza per essere destinato a durare nel tempo mediante l’esecuzione di prestazioni continuative, al fine di garantire sul territorio nazionale un servizio essenziale. Sulla scorta dì quanto appena enunciato, non è revocabile in dubbio sostenere, coerentemente con la dottrina maggioritaria, che sia la prestazione oggetto della suddetta convenzione, id est la fornitura di medicinali, che la: causa della stessa hanno natura di diritto privato. Sotto altro profilo si è, però, osservato che i rapporti tra le ASP e le farmacie sono disciplinati da convenzioni conformi ad accordi nazionali che valgono ad escludere l’applicabilità delle norme del D. Lgs. 231/2002, le quali, come si è detto, hanno natura dispositiva.
Può applicarsi il D.Lgs. 231/2002 ai rapporti in corso all’entrata in vigore della normativa in questione?
Inoltre si è posto il problema se sia possibile applicare il D. Lgs. 231/2002 ai rapporti in corso nascenti dall’accordo collettivo per la disciplina dei rapporti con le farmacie approvato con DPR 371/1998 o, in Sicilia, dal corrispondente Accordo Regionale di cui al Decreto Assessoriale dell’1.12.2000, tenuto conto del limite temporale dell’8 agosto 2002 di cui all’art. 11 del D. Lgs. 231/2002.
Sotto il primo profilo va osservato che gli accordi collettivi pongono una disciplina sensibilmente differente rispetto a quella contenuta nel D. Lgs. 231/2002. In estrema sintesi, il sistema di pagamento delineato nel regime convenzionale contempla un saggio di interessi da ritardo che non può superare il tasso legale, la esclusione, almeno in alcuni casi, della mora automatica (Cass. civ. sez. I 6.09.1995 n. 9356), il differimento del temine di rimborso rispetto all’erogazione del servizio e la parziale anticipazione mediante un acconto del corrispettivo annuale. In particolare, i farmacisti erogano l’assistenza farmaceutica per conto del servizio sanitario nazionale mediante dispensazione di farmaci e medicinali, il cui costo viene loro rimborsato mensilmente dall’Azienda Sanitaria di competenza pravia trasmissione delle relative ricette. L’accordo Regionale sottoscritto tra la Federfarma Sicilia, la As.So.Farm, e l’Assessorato Regionale per la Sanità il 20 Luglio 2000 e reso esecutivo col Decreto Assessoriale dell’1.12.2000, prevede, poi, la consegna delle ricette e delle distinte contabili riepilogative entro il giorno quindici di ogni mese, mentre il giorno trenta dì ogni mese costituisce il termine entro e non oltre il quale deve essere effettuato l’effettivo accredito bancario con riconoscimento di valuta bancaria fissa alla data concordata per il pagamento. Con l’ulteriore previsione che, in caso di ritardi nei pagamenti, gli “interessi decorneranno dal giorno successivo alla scadenza convenzionale senza alcun obbligo di diffida”. E’ stato, poi, riconosciuto alle farmacie il diritto alla corresponsione di una anticipazione del corrispettivo dovuto alla farmacia come sorte capitale, da richiedersi, entro il giorno 5 del mese di gennaio di ciascun anno, con la presentazione di un prospetto riepilogativo, nella misura pari al 50% di un dodicesimo dei corrispettivi dovuti dal S.S.N., a fronte delle ricette spedite nell’anno precedente.
Un primo orientamento
Taluno ha affermato che gli accordi nazionali non costituiscano fonte negoziale diretta di disciplina dei singoli rapporti a convenzione ma, attenendo alla fase consensuale di un complesso procedimento di produzione normativa che si conclude con l’emissione di un decreto presidenziale (per la Sicilia di un decreto assessoriale), rappresentino una fonte di grado secondario del rapporto a convenzione ed ha, di conseguenza, ritenuto che gli accordi nazionali, avendo natura normativa, in mancanza di convenzioni individuali di recepimento, possano ricevere applicazione solo se più favorevoli per il creditore rispetta alle prescrizioni contenute nel D.Lgs. 231/2002 (art. 11 comma secondo). Senonché, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo evidenziato che anche ove non sia stata formalmente stipulata una specifica convenzione individuale, in attuazione dell’accordo collettivo nazionale, si può ritenere che detta convenzione si sia conclusa per facta concludentia attraverso l’esecuzione anticipata della convenzione e la sua comunicazione, tramite la spedizione delle ricette, alla Azienda Sanitaria, in quanto la stessa legge e l’accordo nazionale citati prestabiliscono esaustivamente il contenuto della : convenzione in questione (Cass. civ., Sez. I, 12.05.1995, n. 5181), sicché ben difficilmente può affermarsi che le regole contenute nell’Accordo nazionale o regionale non abbiano natura negoziale, mentre occorre verificare la validità di tali accordi ai sensi dell’art. 7 D. Lgs. 231/2002. Alcuni interpreti hanno sostenuto che il suddetto sistema convenzionale si sottrarrebbe alla valutazione di grave iniquità dell’accordo di cui all’art. 7 D. Lgs, 231/2002 poiché esso regola in maniera del tutto specifica ed autonoma l’intera materia relativa al ristoro spettante al creditore in caso di ritardato adempimento da parte dell’azienda sanitaria delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’erogazione dei medicinali agli assistiti e, in particolare, non si potrebbe ritenere che l’accordo collettivo abbia come scopo quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva, atteso che il meccanismo dell’anticipazione annuale determinerebbe un riequilibrio della situazione in favore del creditore e concorrerebbe, comunque, ad evitare l’iniquità (T.A.R. Lazio sez. III, 12 febbraio 2004 n.1362).
Un secondo orientamento
Senonchè altri interpreti, muovendo dall’innegabile rilievo che il saggio di interessi previsto dall’articolo 5 D. Lgs.231/2002 è più favorevole al creditore rispetto all’interesse legale, hanno ritenuto, in modo convincente e pienamente condivisibile che, ai fini della valutazione di grave iniquità dell’accordo non sia decisivo che in aggiunta alla previsione di un differimento, in effetti circoscritto, del pagamento, venga riconosciuta la corresponsione di un acconto sui rimborsi, dovendosi tenere conto che tale anticipazione è destinata allo scomputo dalla sorte capitale finale e non è quindi assimilabile agli accessori che maturano a causa della mora, né ha alcun attinenza alla responsabilità da ritardo; inoltre la sua entità prescinde da quella del credito, essendo agganciata ai corrispettivi dovuto dal S.S.N. a fronte delle ricette spedite nell’anno precedente.
La previsione di un tasso non superiore alla misura legale e l’impossibilità di riconoscere l’automatica maturazione degli interessi a carico dell’ente debitore appaiono allora, obiettivamente penalizzanti per i farmacisti, collocando sul concessionario i costi aggiuntivi necessari all’accesso a fonti di finanziamento dell’attività di impresa destinati a compensare la mancata percezione del rimborso e determinando una posizione di vantaggio per la Pubblica Amministrazione rispetto a quanto avviene nelle altre operazioni di scambio anche nel medesimo settore, vantaggio che non appare giustificato da ragioni oggettive né adeguatamente compensato dalla misura dell’anticipazione e che appare sintomatico di un abuso di posizione dominante, che costituisce il nucleo essenziale dei concetto di grave iniquità dell’accordo (Trib. Nocera Inferiore, Sez. II, 23.12.2006).
Il problema della iniquità dell’accordo: un primo orientamento.
Quanto al secondo profilo prima richiamato, alcuni interpreti hanno sostenuto che la norma che prescrive la nullità dell’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento in caso di grave iniquità non possa applicarsi ai rapporti di credito scaturenti tanto dalla convezione farmaceutica nazionale approvata con DPR 371/1998 che dallo stesso Accordo integrativo regionale reso esecutivo col Decreto Assessoriale del 1.12.2000, in quanto la nuova disciplina si riferisce esclusivamente ai contratti conclusi dopo l’8 agosto 2002.
Un secondo orientamento
In senso opposto si è, però, osservato che, in difetto di una espressa convenzione individuale, da considerarsi quale titolo del rapporto tra il farmacista e la Azienda Sanitaria, la pretesa di pagamento deve riferirsi alla singola richiesta di rimborso e al comportamento attuativo ad opera del farmacista, che perfezionano un’autonoma convenzione per facta concludentia che non può che farsi ricadere ratione temporis nella disciplina del D. Lgs. 231/2002.
Sotto altro profilo è stato, poi, evidenziato che le prestazioni del farmacista sono caratterizzate dalla esecuzione di un contratto di durata che, in quanto tale, rende autonoma l’esecuzione nel tempo delle diverse prestazioni, con la conseguente possibilità per le prestazioni successive all’8 agosto 2002, dì essere regolate dalle disposizioni sopravvenute.
Occorre distinguere l’accordo dal rapporto giuridico che ne consegue.
Nei contratti di durata o ad esecuzione differita, infatti, occorre distinguere l’accordo da cui deriva il regolamento negoziale il quale si esaurisce, con la stipulazione dei patti che le parti hanno inteso concordare, dal rapporto giuridico che ne consegue il quale rileva in sede di esecuzione del contratto. I due momenti è cioè la stipulazione dell’accordo e la. esecuzione del rapporto risultano distinti sotto il profilo temporale in quanto l’uno si esaurisce con la stipulazione, l’altro, invece, si pone in una prospettiva temporale successiva e continuativa rispetto all’accordo, come tale sottoposta a possibili mutamenti giuridici ed economici.
Le conclusioni cui giunge il Tribunale.
Dopo tale disamina, ritiene il Tribunale che queste ultime argomentazioni siano pienamente condivisibili e pertanto il farmacista e il titolare di laboratorio di analisi hanno diritto alla corresponsione degli interessi, da parte dell’Azienda Sanitaria, nella misura stabilita dal D. Lgs. 231/2002.
Una breve riflessione
La decisione sopra riportata delinea in maniera chiara ed inequivoca una interpretazione non solo corretta dal punto di vista logico e giuridico, ma addirittura favorevole a quella che, nel rapporto contrattuale in essere, risulta essere la parte più debole.
Le più datate interpretazioni giurisprudenziali che negavano il riconoscimento degli interessi ex D. Lgs. 231/2002 apparivano legate ad un concetto di “privilegio” nei confronti della Pubblica Amministrazione. La distinzione tra obbligazioni querabels e portables ne costituisce un chiaro esempio.
La sentenza in rassegna mostra dunque coraggio nel dettare un principio che sembra (solo apparentemente) andare contro la Finanza Pubblica. In realtà, l’interpretazione fornita dai giudici ha il merito di aver colto l’essenza della normativa comunitaria dalla quale è scaturito il D.Lgs. 231/2002, la cui finalità è quella di disincentivare l’inadempimento delle obbligazioni per le conseguenze negative che (l’inadempimento) determina sulla economica pubblica. Non ammettere la operatività di tale nuova disciplina nei rapporti tra Azienda Sanitaria e strutture accreditate o convenzionate significherebbe tradire lo spirito della legge.
Stesso discorso può farsi a proposito della decorrenza dei contratti. Secondo il Tribunale, la circostanza che il contratto iniziale tra la struttura e l’Azienda Sanitaria sia stato stipulato in data anteriore al 2002 non osta alla applicabilità della nuova disciplina a tutte le prestazioni successive, trattandosi di contratti di durata o ad esecuzione differita.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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