In relazione alla domanda di risarcimento del danno basata sulla responsabilità del datore di lavoro derivante dall’inadempimento degli obblighi, inerenti al rapporto di lavoro, di tutela delle condizioni di lavoro del dipendente (art. 2087 cod. civ.), si applica la prescrizione decennale.
In siffatta ipotesi, qualora le somme vengano corrisposte in ritardo, spetta al lavoratore anche il danno da ritardo che può essere calcolato dal giudice mediante il ricorso alle presunzioni, ovverossia presumendo che il lavoratore avrebbe utilizzato le somme riconosciutigli “al pari di qualsiasi risparmiatore, avvalendosi delle forme di investimento normalmente usate da simile soggetto economico, traendo frutti ed in parte utilizzandoli (calcolando quindi il pregiudizio causatogli dal mancato godimento dell’equivalente monetario)”.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione lavoro – con sentenza n. 19838 del 5 ottobre 2015.
Il caso
La Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Sulmona con cui, accertata la responsabilità di un datore di lavoro ex art 2087 cc in ordine all’infortunio sul lavoro occorso ad un lavoratore, gli eredi del datore di lavoro venivano condannati a pagare al lavoratore € 52.592,09 per danno biologico e morale.
La Corte di merito, ritenuto che l’art. 2087 cc configurava una responsabilità contrattuale, rigettava l’eccezione di prescrizione quinquennale dovendo trovare applicazione la prescrizione decennale. Affermava, inoltre, la correttezza della sentenza impugnata circa la ricostruzione delle modalità dell’infortunio e la responsabilità del datore di lavoro.
In relazione all’entità dei danni, la Corte territoriale richiamato le conclusioni del CTU e, considerata la riduzione della capacità lavorativa generica indennizzata dall’Inail, poneva a carico del datore due terzi del danno biologico accertato dal CTU.
Infine la Corte di merito confermava la sentenza del Tribunale nella parte in cui riconosceva gli interessi e la rivalutazione sulle somme liquidate al lavoratore.
Da qui il ricorso per cassazione degli eredi del datore di lavoro
I motivi di ricorso
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art 2947 cc e 2087 cc. Ribadiscono la fondatezza dell’eccezione di prescrizione quinquennale.
Per i giudici di legittimità, il motivo è infondato non essendo censurabile la decisione della Corte territoriale circa l’applicabilità della prescrizione decennale all’azione proposta in base all’art. 2087 cc di accertamento della responsabilità del datare di lavoro per i danni riportati dal lavoratore a seguito di infortunio sul lavoro.
La prescrizione del diritto al risarcimento dei danni derivante da infortunio sul lavoro è decennale.
I giudici di piazza Cavour ricordano che in relazione alla domanda di risarcimento del danno basata sulla responsabilità del datore di lavoro derivante dall’inadempimento degli obblighi, inerenti al rapporto di lavoro, di tutela delle condizioni di lavoro del dipendente (art. 2087 cod. civ.), si applica la prescrizione decennale (cfr., ad esempio, Cass. n. 19022/2007 , n 7272/2011, n 10414/2013). E non vi è motivo per discostarsi da tale principio.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso
Con il secondo ed il terzo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione. Deducono che il lavoratore non aveva provato le modalità del sinistro e la responsabilità del datore di lavoro, né la Corte aveva valutato le testimonianze dei testi (secondo motivo) nonché la determinazione del danno basata su un accertamento tecnico insoddisfacente, che avrebbe dovuto essere ripetuto in appello, e sull’automatica applicazione delle tabelle utilizzate in alcuni uffici giudiziari senza alcuna personalizzazione (terzo motivo).
I motivi vengono dichiarati inammissibili per violazione dell’art 366 bis cpc.
Ricordano i giudici della Suprema Corte che in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass SSUU n 20603/2007)
E poiché nella specie – proseguono gli Ermellini – i ricorrenti hanno omesso di indicare il fatto controverso in ordine al quale la sentenza non risulta adeguatamente motivata o del tutto carente di motivazione, i motivi vengono dichiarati inammissibili.
Il quarto motivo di ricorso
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 2056,1223,1226 e 1227 cc. Censurano la mancata allegazione e prova del danno da ritardo non risultato accertato nemmeno in base a presunzioni semplici o, ricorrendo all’equità. Anche tale motivo viene ritenuto infondato.
In tema di danno da ritardo, è ammesso il ricorso alle presunzioni.
I giudici di piazza Cavour evidenziano come il ricorso alle presunzioni in tema di liquidazione del danno da ritardo sia pacificamente ammesso dalla giurisprudenza di legittimità fin dalla fondamentale sentenza delle SSUU n 1712/1995.
Un esempio pratico di presunzioni in tema di danno da ritardo.
Nella specie – concludono i giudici di legittimità – la Corte territoriale ha presunto che il lavoratore avrebbe utilizzato le somme riconosciutigli “al pari di qualsiasi risparmiatore, avvalendosi delle forme di investimento normalmente usate da simile soggetto economico, traendo frutti ed in parte utilizzandoli (calcolando quindi il pregiudizio causatogli dal mancato godimento dell’equivalente monetario)”. E poiché tali argomentazioni della Corte (di merito) non hanno formato oggetto di specifiche censure, il motivo viene dichiarato inammissibile.
Una breve riflessione.
La sentenza in rassegna contiene due importanti principi in materia di lavoro, uno dei quali però (danno da ritardo) è di origine più specificamente civilistica.
Quanto al profilo della prescrizione, non vi è dubbio che in materia di lavoro i crediti aventi natura retributiva soggiacciono alla prescrizione quinquennale.
Con riferimento, però, al danno da infortunio derivante da violazione degli obblighi incombenti sul datore di lavoro ex art. 2087 c.c., la prescrizione non è quinquennale ma decennale.
Sul punto, si evidenzia che è anche di dieci anni il termine per far valere diritti relativi al passaggio di qualifica ed al risarcimento del danno contrattuale, ivi compreso il diritto al risarcimento del danno per omesso versamento contributivo totale o parziale.
Come si può notare, l’affermazione della prescrizione decennale (in luogo di quella quinquennale) tende a tutelare maggiormente il lavoratore.
Discorso a parte riguarda la questione del danno da ritardo.
La Suprema Corte ci insegna non solo che esso vada riconosciuto pacificamente, ma che la prova possa essere raggiunta anche mediante il ricorso a presunzioni.
Il danno da ritardo, in siffatto modo, non solo tende a tutelare il danneggiato cercando di farlo reintegrare appieno della diminuzione patrimoniale patita, ma tende soprattutto a scoraggiare gli inadempienti.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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