In tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare la presunzione di responsabilità che ex art. 2048 cod. civ., che grava sull’insegnante per il fatto illecito dell’allievo, non è sufficiente la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale, commisurate all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto, dovendo la sorveglianza dei minori essere tanto più efficace e continuativa in quanto si tratti di fanciulli in tenera età; non costituiscono idonee misure organizzative, in relazione allo stato dei luoghi, connotato dalla presenza di un manufatto suscettibile di ostacolare la piena e totale visibilità dello spazio da controllare, la mera presenza delle insegnanti in loco, se non dislocate in prossimità del manufatto in questione, e l’avere le medesime impartito agli alunni la generica raccomandazione “di non correre troppo durante la ricreazione”, se non accompagnata dall’adozione di interventi corretti immediati, diretti a prevenire e ad evitare il verificarsi di eventi dannosi.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 9337 del 9 maggio 2016
Il caso
Con atto di citazione ritualmente notificato, due genitori convenivano in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace, un Istituto scolastico chiedendone la condanna al risarcimento del danno subito dalla figlia minore che all’epoca frequentava la prima elementare nel medesimo istituto, in conseguenza di un evento lesivo verificatosi all’interno del plesso scolastico. Mentre la minore si trovava, durante la ricreazione, nel cortile della scuola, veniva, infatti, investita da un ragazzo di quarta elementare che, sbucando di corsa, inseguito da un altro ragazzo di quinta, da dietro un muretto, la travolgeva. La minore, per effetto dell’urto, cadeva in terra battendo la testa e riportando lesioni personali.
La sentenza di primo grado
Il giudice adito accoglieva la domanda, condannando la convenuta al risarcimento dei danni in favore degli attori, quantificati in € 1.000,00, oltre alle spese processuali.
La sentenza di appello
Avverso tale decisione proponeva appello l’Istituto scolastico, che veniva accolto dal Tribunale di Balzano il quale riteneva che l’amministrazione scolastica avesse fornito la prova liberatoria, ai sensi dell’art. 2048, comma 3 cod. civ., in ordine all’imprevedibilità dell’evento lesivo per cui è causa ed alla concreta adozione, da parte della scuola appellante, di misure organizzative e disciplinari idonee a prevenire l’insorgenza di situazioni di pericolo per l’incolumità degli allievi.
Il ricorso per cassazione
Per la cassazione di tale decisione hanno proposto, quindi, ricorso i due genitori, nella loro qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore, nei confronti dell’Istituto scolastico, affidato a due motivi.
I motivi di ricorso
Con i due motivi di ricorso i due genitori denunciano la falsa applicazione dell’art. 2048 cod. civ., nonché l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
Si dolgono i ricorrenti, sotto il profilo della violazione dell’art. 2048 cod. civ. e del vizio di motivazione, del fatto che il giudice di appello abbia erroneamente ritenuto raggiunta la prova liberatoria a carico dell’amministrazione scolastica, prevista dal comma 3 dell’articolo citato, sotto il duplice profilo della inevitabilità dell’evento lesivo, per sua imprevedibilità, e dell’adozione delle misure organizzative idonee a prevenire il verificarsi di una situazione di pericolo. Assumono, invero, gli istanti che la sorveglianza esercitata dalle insegnanti non sarebbe stata adeguata, in relazione al luogo (cortile interno alla scuola connotato dalla presenza di un muretto), al momento (ricreazione) nel quale l’incidente ebbe a verificarsi, nonché alla diversa fascia di età degli alunni appartenenti alle diverse classi che si trovavano insieme nel medesimo cortile.
La Suprema Corte ritiene le doglianze fondate.
Premettono i giudici di piazza Cavour che la minore, che nell’anno scolastico 2004/2005 frequentava la prima elementare, mentre si trovava insieme ad altri alunni appartenenti a quattro classi diverse, tre delle quali – come si evince dallo stesso controricorso dell’Amministrazione scolastica erano quarte e quinte elementare, veniva investita da un ragazzino che, inseguito da un compagno, sbucava correndo da dietro un muretto situato nel cortile interno nel quale si stava svolgendo la ricreazione. La minore veniva travolta e cadeva battendo il capo a terra, riportando lesioni.
L’articolo 2048 codice civile
Tale essendo la dinamica dei fatti – proseguono gli Ermellini – non può revocarsi in dubbio che la fattispecie in esame debba essere inquadrata nel disposto dell’art. 2048 cod. civ. trattandosi di danno cagionato ad un terzo dal fatto illecito dell’allievo (Cass.S.U. 9346/2002).
La prova liberatoria
Orbene, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, in tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare la presunzione di responsabilità che, ex art. 2048 cod. civ., grava sull’insegnante per il fatto illecito dell’allievo, non è sufficiente la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo, dopo l’inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale (cfr., ex plurimis, Cass. 916/1999; 2657/2003; 9542/2009; 23202/2015). Tali misure vanno, peraltro, commisurate – proseguono i giudici di piazza Cavour – all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto, essendo del tutto evidente che la sorveglianza dei minori dovrà essere tanto più efficace e continuativa in quanto si tratti di fanciulli in tenera età (Cass. 6937/1993; 12424/1998; 2272/2005).
Le critiche alla sentenza di appello
A giudizio della Corte di cassazione non può ritenersi che l’impugnata sentenza abbia fatto corretta applicazione dei suesposti principi di diritto. L’impianto motivazionale della decisione non sembra – proseguono i giudici di legittimità – invero, convincente laddove, dopo avere ritenuto del tutto prevedibile e “normale” che, nel corso della ricreazione, i ragazzi possano giocare rincorrendosi, ha poi considerato sufficiente il mero fatto della presenza in loco delle insegnanti (una per classe), nonché la circostanza – emersa dalle testimonianze assunte – che queste avessero più volte raccomandato agli alunni “di non correre troppo”.
La decisione di appello avrebbe, inoltre, valorizzato, del pari in maniera non convincente, ai fini di pervenire alla conclusione che l’evento dannoso non poteva essere impedito dalle insegnanti, ai sensi dell’art. 2048, comma 3, cod. civ., la circostanza in sé, costituita dal fatto che l’incidente si fosse verificato “in modo improvviso e repentino, tale da non poter essere in alcun modo previsto e dunque materialmente impedito”, senza porla in alcun modo in relazione alle altre circostanze emerse dagli atti processuali.
A parere dei giudici di piazza Cavour, siffatto modus operandi del giudice di seconde cure – per quanto concerne la pretesa imprevedibilità ed inevitabilità dell’evento – non gli ha, peraltro, consentito di dare il giusto rilievo, ai fini dell’accertamento della sussistenza di una adeguata prova liberatoria da parte della scuola, al fatto, pure riportato dallo stesso giudicante, che il ragazzo investitore (appartenente alla classe IV A) era sbucato correndo velocemente, inseguito da un altro ragazzo di quinta, da dietro un muretto ubicato nel cortile nel quale si stava svolgendo la ricreazione. Tale circostanza – proseguono gli Ermellini – evidenzia, invero, senza ombra di dubbio, che – nonostante la presenza delle insegnanti e di un’operatrice scolastica – la situazione all’interno del cortile della scuola era tutt’altro che sotto controllo. Ed è evidente che, in presenza di un volgere di eventi di tal fatta, il rischio che qualcuno dei bambini – soprattutto se più piccolo e fragile, come gli alunni di prima – potesse restare travolto dai più grandi, costituiva un fatto tutt’altro che imprevedibile.
La necessità di misure organizzate e disciplinari
Aggiungono gli Ermellini che non può ritenersi, poi, sul piano delle misure disciplinari ed organizzative adottate dall’istituto scolastico, che costituisca misura idonea ad evitare eventi pregiudizievoli la raccomandazione – che, stando all’impugnata sentenza, le insegnanti avrebbero più volte rivolta agli allievi – “di non correre troppo” durante la ricreazione. Non può revocarsi in dubbio, infatti, che tale generica esortazione, non poteva che essere intesa – e i giudici della Cassazione evidenziano che così è accaduto in concreto – dagli alunni come equivalente ad un’autorizzazione a correre comunque, ma senza eccedere, conferita agli stessi a priori, a prescindere dallo stato dei luoghi e dalla presenza anche di bambini di classi inferiori, notoriamente più deboli e delicati.
Di fatto, poi, si era finiti col rimettere agli stessi allievi l’individuazione dei limiti di detta autorizzazione, non essendo stata fatta rispettare da nessuno degli adulti presenti la raccomandazione “di non correre troppo”, mediante l’adozione di immediati ed opportuni interventi correttivi della condotta indisciplinata degli alunni. Il che – proseguono i giudici di piazza Cavour – appare, nella specie, ancor più grave, ove si tenga conto del fatto che la presenza, all’interno del cortile, di un muretto che non consentiva una completa visuale alle persone addette al controllo degli allievi, avrebbe dovuto indurre queste ultime ad una maggiore e più completa vigilanza, estesa anche alla zona posteriore al suddetto manufatto, ovvero ad imporre ai ragazzi di astenersi dal giocare correndo, per non rischiare di fare del male a sé stessi ed agli allievi più piccoli. Le misure organizzative e disciplinari adottate non possono, pertanto, considerarsi – sulla base degli stessi accertamenti di fatto operati dal giudice di appello – idonee ad assicurare l’insorgenza di una situazione di pericolo, tenuto conto, anche e soprattutto, del fatto che, insieme a ben tre classi di alunni più grandi (quarta e quinta elementare), vi era anche una sola classe di alunni di prima elementare ai quali andava, di conseguenza, assicurata – nel corso della ricreazione, nella quale gli studenti sono notoriamente più liberi e la possibilità che si verifichino fatti lesivi è, di conseguenza, certamente maggiore – una protezione più intensa ed efficace, stante la compresenza nello stesso cortile di allievi di età più elevata. Ed è certamente significativo del riconoscimento dell’insufficienza delle misure disciplinari adottate in precedenza, puntualizzano gli Ermellini, il fatto che – come affermato dalla stessa sentenza impugnata – l’anno successivo all’incidente occorso ai danni della minore la scuola provvedeva a dividere gli alunni, durante la ricreazione, per fasce di età, evitando che i più piccoli si trovassero a contatto con gli allievi i più grandi.
In conclusione, alla stregua delle osservazioni che precedono, la Suprema Corte ritiene che il censurato impianto motivazionale dell’impugnata sentenza non consenta di affermare che, nel caso concreto, l’accertamento della imprevedibilità ed inevitabilità del fatto, operato dal giudice di appello, sia conforme al dettato dell’art. 2048, comma 3, cod. civ., la cui violazione è stata, del pari, denunciata dai ricorrenti.
Da qui l’accoglimento del ricorso con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio al Tribunale in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, motivando adeguatamente in ordine alla questione costituente oggetto delle censure accolte, ed attenendosi ai seguenti
principi di diritto: “in tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare la presunzione di responsabilità che ex art. 2048 cod. civ., che grava sull’insegnante per il fatto illecito dell’allievo, non è sufficiente la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale, commisurate all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto, dovendo la sorveglianza dei minori essere tanto più efficace e continuativa in quanto si tratti di fanciulli in tenera età; non costituiscono idonee misure organizzative, in relazione allo stato dei luoghi, connotato dalla presenza di un manufatto suscettibile di ostacolare la piena e totale visibilità dello spazio da controllare, la mera presenza delle insegnanti in loco, se non dislocate in prossimità del manufatto in questione, e l’avere le medesime impartito agli alunni la generica raccomandazione “di non correre troppo durante la ricreazione”, se non accompagnata dall’adozione di interventi corretti immediati, diretti a prevenire e ad evitare il verificarsi di eventi dannosi”.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna riprende, affermandoli, principi già consolidati in tema di responsabilità ex art. 2048 codice civile. In sentenza, l’enfasi viene data alla necessità di misure organizzative e preventive. Solo la dimostrazione della preventiva adozione di tali misure è idonea ad integrare la prova liberatoria.
In uno scenario come quello oggetto del procedimento in esame, dunque, gli insegnanti non hanno fornito la prova di non aver potuto impedire il fatto.
I giudici di piazza Cavour ammoniscono gli insegnanti e, più in generale, l’Istituzione scolastica, invitandoli a porre in essere misure preventive ed organizzative idonee ad evitare il verificarsi di episodi come quelli che hanno avuto come protagonista una bambina della classe prima. E, soprattutto, gli Ermellini esortano gli insegnanti ad adottare sanzioni disciplinari soprattutto quando le “raccomandazioni” verbali rimangono prive di effetto.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)