«In tema di assicurazione, la circostanza che un ente (nella specie, una Direzione didattica) stipuli una polizza a copertura della responsabilità civile per danni dei quali esso stipulante non può, per legge, essere chiamato a rispondere (per esserlo, nella specie, unicamente il Ministero per fatto dei suoi dipendenti), impone al giudice del merito, che abbia già utilizzato i fondamentali canoni ermeneutici, una scelta interpretativa che, nel dubbio, tenga conto del sussidiario criterio di cui all’art. 1367 c.c. (cd. interpretazione utile), che, compatibilmente con la volontà delle parti, tenda ad attribuire al contratto (anche con l’eventuale riferimento alla disposizione dell’art. 1891 c.c.) un qualche effetto, anziché negarglielo affatto».
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza civile – con sentenza n. 3275 del 19 febbraio 2016
Il caso
Il giudizio trae origine dall’infortunio subito da una piccola alunna mentre si trovava nei bagni della scuola elementare. I genitori agirono in giudizio per il risarcimento dei danni nei confronti del Ministero dell’Istruzione e del dirigente scolastico.
Il Tribunale condannò il solo Ministero, in solido con la compagnia di Assicurazioni, da questo chiamata in garanzia sulla base del contratto di assicurazione per la responsabilità civile stipulato dalla Direzione Didattica.
La Corte di Appello ha confermato la condanna del Ministero ma ha dichiarato inammissibile la domanda di manleva da esso proposta nei confronti della compagnia di assicurazione, condannando i danneggiati a restituire quanto ricevuto da quest’ultima.
Avverso tale sentenza ricorre il M.I.U.R. sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricorso la compagnia di assicurazioni.
Il motivo del ricorso per cassazione
Con unico motivo viene denunziata «violazione e falsa applicazione degli artt. 81 c.p.c. e 61 della L. 11.7.1980 n. 312, dell’art. 1891 c.c. e dell’art. 1367 c. c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.».
Il M.I.U.R. censura il capo della sentenza impugnata con cui è stata dichiarata inammissibile la propria domanda di garanzia nei confronti della compagnia di assicurazione fondata su contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato dalla locale Direzione Didattica.
La corte di merito ha escluso che il Ministero fosse soggetto assicurato e ne ha dedotto che avesse fatto valere in proprio nome un diritto altrui, in violazione dell’art. 81 c.p.c..
La tesi della amministrazione ricorrente
Assume invece l’amministrazione ricorrente:
- a) che il personale della scuola è in rapporto organico (non con i singoli istituti, pur se dotati di personalità giuridica, che costituiscono comunque organi dello Stato inseriti nella relativa organizzazione, ma) con l’Amministrazione della Pubblica Istruzione, la quale risponde nei confronti dei terzi per i danni arrecati dal personale stesso nell’esercizio delle sue funzioni (ai sensi dell’art. 61 della legge 11 luglio 1980 n. 312);
- b) che il contratto di assicurazione stipulato dalla Direzione Didattica indica l’Amministrazione Scolastica come contraente e beneficiario e individua l’oggetto dell’assicurazione proprio nel “fatto” degli alunni e degli insegnanti di tutte le scuole elementari del circolo, onde esso va quindi qualificato come contratto per conto altrui, ai sensi dell’art. 1891 c.c.;
- c) che a tale conclusione avrebbe dovuto giungersi quanto meno in via interpretativa, ai sensi dell’art. 1367 c.c., poiché, interpretato come aveva fatto la corte di merito, il contratto non avrebbe avuto alcun effetto e probabilmente sarebbe stato addirittura privo di causa;
- d) che, di conseguenza, la domanda di manleva era stata correttamente proposta in proprio nome e nel proprio interesse, nel rispetto dell’art. 81 c.p.c..
La replica della società resistente
La società resistente replica sostenendo che la fattispecie di cui all’art. 1891 c.c., peraltro invocata dal Ministero per la prima volta proprio nel presente giudizio di legittimità, presuppone che il consenso delle parti si sia formato anche in merito alla circostanza che il titolare dell’interesse assicurato fosse soggetto diverso dal contraente, il che nella specie era stato correttamente escluso dalla corte di merito, atteso che nel contratto per cui è causa contraente e assicurato risultavano essere il medesimo soggetto, e cioè la Direzione Didattica.
La questione di diritto da risolvere – secondo gli Ermellini – riguarda la corretta applicazione delle disposizioni di legge sull’interpretazione dei contratti, in relazione alla polizza di assicurazione della responsabilità civile stipulata dalla Direzione Didattica (organo dell’amministrazione scolastica dotato di personalità giuridica autonoma), a copertura dei “fatti” illeciti addebitabili ad alunni ed insegnanti delle scuole dell’intero circolo.
La tesi della Corte di merito
La corte di merito ha ritenuto la polizza diretta a coprire esclusivamente la responsabilità propria dell’organo contraente (Direzione Didattica), non essendo in essa espressamente indicato trattarsi di assicurazione per conto altrui o di chi spetta, ai sensi dell’art. 1891 c.c.. È stata quindi esclusa la legittimazione del M.I.U.R., non indicato come contraente o beneficiario dell’assicurazione, a farne valere in giudizio i relativi diritti.
Il Ministero sostiene che in tal modo sarebbe stata violata la disposizione di cui all’art. 1367 c.c. che prescrive il canone interpretativo legale della conservazione del contratto in quanto, se non interpretato come stipulato per conto altrui, ai sensi dell’art. 1891 c.c., il contratto di assicurazione in questione non avrebbe alcun effetto e sarebbe addirittura privo di causa.
Per la Suprema Corte la censura è fondata.
Per la Corte regolatrice, è principio consolidato quello per cui, nell’ambito dell’amministrazione statale scolastica, legittimato passivo per le azioni di responsabilità derivanti da condotte di alunni e insegnanti poste in essere durante l’orario scolastico è unicamente il Ministero, e non i circoli didattici o i singoli istituti, in quanto questi ultimi, pur avendo autonoma personalità giuridica, restano organi della suddetta amministrazione, e l’autonomia gestionale e amministrativa di cui dispongono non impedisce di riferire a questa, nel suo complesso, e dunque al M.I.U.R., gli effetti dei loro atti, sia sotto il profilo del rapporto di servizio del personale che sotto quello della responsabilità per i fatti illeciti imputabili al personale stesso.
Infatti, come è stato chiarito in diversi precedenti della Suprema Corte, «la figura dell’organo con personalità giuridica, qui ricorrente, implica che lo stesso abbia legittimazione di diritto sostanziale e processuale in relazione alla titolarità di rapporti giuridici, ma che resti tuttavia soggetto, proprio in ragione della sua natura di organo, alle direttive e ai controlli dell’amministrazione di appartenenza», al che consegue che « … le istituzioni scolastiche (D.P.R. n. 275 del 1999, art. 14), … … agiscono in veste di organi statali e non di soggetti distinti dallo Stato» nonché «l’ulteriore corollario che, essendo riferibili direttamente al Ministero gli atti posti in essere dal menzionato personale, nelle controversie relative agli illeciti ascrivibili a culpa in vigilando dello stesso, legittimato passivo è il Ministero e non l’Istituto» (così, in motivazione, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19158 del 6 novembre 2012, massimata come segue: «l’attribuzione agli istituti scolastici ed ai circoli didattici di personalità giuridica, disposta dal D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275, ha conferito loro autonomia gestionale ed amministrativa, ma non li ha privati della qualità di organi dello Stato; ne consegue che del danno patito da un allievo per difetto di vigilanza durante l’orario scolastico continua tuttora a rispondere, ai sensi degli art. 28 Cost. e 2049 c.c., il Ministero dell’Istruzione»; nella specie è stata esclusa la legittimazione passiva dell’istituto scolastico, pur avente autonoma personalità giuridica, in una azione di responsabilità per l’infortunio subito da un alunno durante l’ora di educazione fisica; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 9752 del 10 maggio 2005, secondo la quale «anche dopo l’estensione della personalità giuridica, per effetto della legge delega n. 59 del 1997 e dei successivi provvedimenti di attuazione, ai circoli didattici, alle scuole medie e agli istituti di istruzione secondaria, il personale docente degli istituti statali di istruzione superiore – nella specie, un liceo scientifico – che costituiscono organi dello Stato muniti di personalità giuridica ed inseriti nell’organizzazione statale – si trova in rapporto organico con l’Amministrazione della Pubblica Istruzione dello Stato e non con i singoli istituti, che sono dotati di mera autonomia amministrativa; pertanto, essendo riferibili direttamente al Ministero della Pubblica Istruzione e non ai singoli istituti gli atti, anche illeciti, posti in essere dal menzionato personale, sussiste la legittimazione passiva del Ministero nelle controversie relative agli illeciti ascrivibili a “culpa in vigilando” del personale docente, mentre difetta la legittimazione passiva dell’istituto»; sostanzialmente nel medesimo senso: Sez. 3, Sentenza n. 10042 del 29 aprile 2006; Sez. 3, Sentenza n. 2839 dell’Il febbraio 2005; Sez. 3, Sentenza n. 27246 del 14 novembre 2008; Sez. L, Sentenza n. 6372 del 21 marzo 2011).
L’interpretazione del contratto di assicurazione
Secondo i giudici di legittimità, nell’interpretare tale contratto, la corte di merito si è limitata a rilevare, sulla base della sua formale intestazione e del suo letterale contenuto, che l’organo indicato come contraente e beneficiario dell’assicurazione era la Direzione Didattica e ne ha dedotto che si trattava di assicurazione diretta e non per conto altrui o di chi spetta, escludendo che i relativi diritti potessero essere esercitati dal M.I.U.R., e cioè dal soggetto ritenuto responsabile e condannato per fatti imputabili al suddetto personale.
Ma – proseguono gli Ermellini – in tale situazione si poneva evidentemente un oggettivo dubbio interpretativo. Se, pervero, per i fatti garantiti dall’assicurazione, di regola, la Direzione Didattica non può mai essere chiamata e rispondere, in quanto è il Ministero l’unico soggetto legittimato passivamente per le relative azioni risarcitorie (come riconosciuto nella stessa sentenza impugnata), il contratto di assicurazione fatto valere in giudizio – a meno che non sussistessero elementi tali da portare a ritenere che esso fosse stato effettivamente stipulato ad esclusiva copertura di eventuali diverse e specifiche responsabilità effettivamente gravanti sull’organo stipulante, benché derivanti dal fatto del personale o degli alunni – si sarebbe rivelato del tutto privo di effetti, e addirittura privo di rischio assicurato, e dunque avrebbe fatto difetto la sua stessa causa negoziale, con conseguente nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c. (da rilevare e dichiarare eventualmente anche di ufficio ai sensi dell’art. 1421 c.c.).
La regola sancita dall’articolo 1367 c.c.
La regola sancita dall’art. 1367 c.c., però, impone all’interprete, prima di giungere ad una siffatta conclusione, una ulteriore operazione ermeneutica, sancendo che «nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno» (principio della conservazione del contratto o dell’interpretazione utile).
Secondo la più accreditata ricostruzione teorica e le specificazioni datene dalla Corte di legittimità, il canone interpretativo in questione va inteso nel senso che nei casi dubbi, tra più possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una (o più) di esse, evitando di adottare una soluzione che renda l’atto improduttivo di effetti (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24866 dell’8 ottobre 2008). Il principio cioè – prosegue la Corte regolatrice – non consente di svolgere una esegesi sostitutiva della volontà delle parti, che va pur sempre rispettata, anche se ciò comporti la dichiarazione della nullità del contratto, ove ne ricorrano gli estremi (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 28357 del 22 dicembre 2011; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30 marzo 2007; Sez. 1, Sentenza n. 19994 del 7 ottobre 2004), né di attribuire sempre all’atto un significato tale da assicurarne la più estesa applicazione (soprattutto se l’interpretazione più ampia sia esclusa dall’applicazione dei prioritari criteri di ermeneutica posti dal codice civile), ma rende possibile privilegiare quella che consente all’atto di assumere qualche effetto.
Per i giudici di piazza Cavour, la corte di appello, nell’interpretare il contratto per cui è causa, non ha applicato il suddetto canone ermeneutico legale. Valutando tutte le circostanze del caso, avrebbe infatti dovuto accertare se la ricostruzione dell’effettiva volontà dei contraenti consentiva l’interpretazione utile del contratto, onde evitare l’inconveniente della sua assoluta improduttività di effetti. Avrebbe dovuto cioè verificare: a) se – interpretato come assicurazione stipulata esclusivamente in favore dell’organo contraente – il contratto per cui è causa potesse avere qualche effetto o fosse destinato non averne alcuno, dichiarandone eventualmente in tal caso anche la nullità per difetto di causa, ai sensi degli artt. 1418 e 1421 c.c., sussistendone gli estremi; b) se invece eventualmente qualche effetto esso avrebbe potuto avere ove interpretato come assicurazione per conto altrui o di chi spetta, ai sensi dell’art. 1891 c.c.; c) se tale ultima interpretazione fosse compatibile con la volontà contrattuale delle parti.
In tal caso – concludono i giudici di legittimità – avrebbe dovuto senz’altro privilegiare quest’ultima interpretazione. La suddetta verifica non è stata effettuata, essendosi la corte di appello limitata a rilevare che il contratto, secondo una interpretazione meramente letterale, era stato stipulato dalla Direzione Didattica e non prevedeva espressamente il Ministero quale soggetto assicurato.
Da qui la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello territoriale, in diversa composizione, perché rivaluti la domanda di manleva proposta dal M.I.U.R. nei confronti della compagnia di assicurazione, conformandosi al seguente principio di diritto:
Il principio di diritto
«In tema di assicurazione, la circostanza che un ente (nella specie, una Direzione didattica) stipuli una polizza a copertura della responsabilità civile per danni dei quali esso stipulante non può, per legge, essere chiamato a rispondere (per esserlo, nella specie, unicamente il Ministero per fatto dei suoi dipendenti), impone al giudice del merito, che abbia già utilizzato i fondamentali canoni ermeneutici, una scelta interpretativa che, nel dubbio, tenga conto del sussidiario criterio di cui all’art. 1367 c.c. (cd. interpretazione utile), che, compatibilmente con la volontà delle parti, tenda ad attribuire al contratto (anche con l’eventuale riferimento alla disposizione dell’art. 1891 c.c.) un qualche effetto, anziché negarglielo affatto».
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna riveste notevole interesse anche perché interviene in una materia di altrettanto interesse pratico.
Attraverso il richiamo all’articolo 1367 del codice civile, la Suprema Corte è riuscita a garantire la operatività di una polizza assicurativa stipulata da una direzione didattica per la responsabilità civile che, nella opposta interpretazione fornita dalla Corte territoriale, avrebbe finito per non trovare mai applicazione ed, anzi, sarebbe stata nulla per assenza di causa negoziale.
Certo – sottolineano i giudici di piazza Cavour – la regola di cui all’articolo 1367 codice civile non può avere una funzione sostitutiva degli altri criteri ermeneutici, ma quando, come nella specie, l’interpretazione del contratto è dubbio, il ricorso a tale regola interpretativa non solo è legittima ma è doverosa.
Del resto, l’interpretazione fornita è in linea con la autonomia gestionale delle direzioni didattiche ma, al contempo, salvaguardia il rapporto di immedesimazione organica di queste ultime con il Ministero, unico soggetto legittimato passivo al risarcimento dei danni subiti dagli alunni.
La opposta interpretazione priverebbe di efficacia il contratto di assicurazione e rimarrebbe privo di causa il versamento del premio posto che, come dimostrato dalla Suprema Corte, il soggetto contraente e garantito non potrebbe essere mai chiamato a rispondere dei danni.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)