Incapacità a testimoniare del terzo trasportato

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Chi è privo della capacità di testimoniare perché titolare di un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio nel quale deve rendere la testimonianza, in qualsiasi veste, non esclusa quella di interventore adesivo, non riacquista tale capacità per l’intervento di una fattispecie estintiva del diritto quale la transazione o la prescrizione, in quanto l’incapacità a testimoniare deve essere valutata prescindendo da vicende che costituiscono un posterius rispetto alla configurabilità dell’interesse a partecipare al giudizio che la determina, con la conseguenza che la fattispecie estintiva eventualmente opponibile non può impedire la partecipazione al giudizio del titolare del diritto che ne è colpito e non può renderlo carente dell’interesse previsto dall’art. 246 c.p.c. come causa di incapacità a testimoniare.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza civile – con sentenza n. 19258 del 29 settembre 2015

Incapacità a testimoniare del terzo trasportato

Incapacità a testimoniare del terzo trasportato

Il caso

Con atto di citazione notificato il 31 ottobre 2003, una danneggiata conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale dì Trieste, la responsabile del danno e l’Assicurazioni Generali S.p.a., al fine di sentir accertare l’esclusiva responsabilità della società nella causazione del sinistro stradale occorso il 20 settembre 1996, sulla Strada Statale n.7, Località Porsaro Agro di Miglionico e, di conseguenza, sentir condannare le convenute in solido al risarcimento dei danni subiti.

Quale mezzo al fine, chiedeva, altresì, l’ammissione della prova testimoniale di un teste, persona trasportata e danneggiata.

Si costituivano entrambe le convenute che contestavano la domanda attrice e, in via istruttoria, eccepivano l’incapacità del teste indicato dalla danneggiata.

La sentenza di primo grado.

Il Tribunale di Trieste, con sentenza del 12 marzo 2009, accoglieva l’eccezione di parte convenuta e riteneva sussistente l’incapacità a testimoniare del teste, trasportato dall’attrice sull’auto al momento del sinistro e che aveva chiesto il risarcimento del danno con atti di messa in mora, e, conseguentemente, riteneva nulla la deposizione testimoniale già resa dal predetto testimone; accoglieva parzialmente la domanda attrice, accertando un concorso di colpa dei conducenti nella causazione del sinistro stradale e liquidando, in favore dell’attrice, i danni subiti nella misura del 50%, con compensazione tra le parti delle spese di lite.

Le doglianze contenute nell’atto di appello

Avverso la suddetta sentenza la danneggiata proponeva gravame, lamentando l’erronea decisione del giudice di prime cure nell’annullare (recte dichiarare nulla) la deposizione dell’unico teste oculare dell’incidente stradale in questione e chiedendo la declaratoria dell’esclusiva responsabilità della società convenuta, con condanna delle appellate al pagamento, a titolo di risarcimento danni, del residuo importo di € 219.960,69, già detratti gli importi percepiti a titolo di acconto.

Si costituivano le società convenute chiedendo il rigetto del gravame.

La sentenza di appello

La Corte di appello di Trieste, con sentenza del 19 giugno 2012, rigettava l’appello proposto dalla danneggiata e dichiarava compensate tra le parti le spese processuali del secondo grado di giudizio.

Avverso l’anzidetta sentenza la danneggiata ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria e articolato in quattordici motivi, cui ha resistito con controricorso l’Assicurazioni Generali S.p.a, mentre l’altra intimata non ha svolto, in sede di legittimità, attività difensiva.

I motivi del ricorso per cassazione.

La ricorrente formula tredici motivi con i quali denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., motivi che attengono, prevalentemente, alla sussistenza o meno della capacità a testimoniare del teste. E tutti e tredici i motivi vengono ritenuti infondati.

Per i giudici di piazza Cavour, va disattesa la censura della ricorrente secondo cui erroneamente la Corte di appello avrebbe accolto l’eccezione delle convenute in ordine all’incapacità a testimoniare del predetto teste, pur in assenza della richiesta di revoca dell’ordinanza ammissiva della prova.

La riproposizione dell’eccezione in sede di precisazione delle conclusioni contiene, implicitamente, l’istanza di revoca della ordinanza ammissiva.

Se é pur vero – affermano i giudici di legittimità – che la Suprema Corte ha più volte affermato il principio secondo cui, qualora il giudice abbia respinto con ordinanza l’eccezione di incapacità a testimoniare tempestivamente sollevata, essa deve essere nuovamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, chiedendo la revoca del provvedimento emesso, e, in caso contrario, l’eccezione deve intendersi rinunciata e la sentenza di merito non può essere impugnata per carenza di motivazione sul punto (Cass. 7 febbraio 2003, n. 1840; Cass. 10 aprile 2012, n. 5643), tuttavia, la Corte di merito non si é discostata da tale principio, avendo correttamente e argomentatamente ritenuto che la puntuale deduzione di cui al verbale di udienza del 7 febbraio 2003, riportata testualmente nella sentenza impugnata e con cui le società convenute hanno precisato le loro richieste istruttorie, “sia tale da esplicitare, inequivocamente ed adeguatamente, la permanente e non rinunciata volontà di eccepire la ritualità della testimonianza erroneamente ammessa e di opporsi, conseguentemente e logicamente, a che il contenuto di essa venisse probatoriamente utilizzato (del tutto superflua, in tale ottica, risultando dunque una specifica richiesta di revoca dell’originaria ordinanza di ammissione, concettualmente coessenziale alla così ribadita eccezione)”, in tal modo, in sostanza, ritenendo, del tutto condivisibilmente, che l’eccezione così riproposta sia comprensiva di una, sia pure implicita ma insita, richiesta di revoca dell’ordinanza in parola.

Il giudizio sulla capacità a testimoniare involge apprezzamenti di fatto.

Va anzitutto evidenziato che il giudizio sulla capacità a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c., sull’attendibilità dei testi e sulla rilevanza delle deposizioni involge apprezzamenti di fatto, ed è conseguentemente rimesso al giudice del merito, il quale è tenuto ad indicare in modo congruo e logico le ragioni del proprio convincimento in ordine al contenuto di tali deposizioni e alla qualità di chi le ha rese (Cass. 15 marzo 2004, n. 5232).

L’incapacità a testimoniare va valutata ex ante.

Inoltre, la Suprema Corte ricorda che chi è privo della capacità di testimoniare perché titolare di un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio nel quale deve rendere la testimonianza, in qualsiasi veste, non esclusa quella di interventore adesivo, non riacquista tale capacità per l’intervento di una fattispecie estintiva del diritto quale la transazione o la prescrizione, in quanto l’incapacità a testimoniare deve essere valutata prescindendo da vicende che costituiscono un posterius rispetto alla configurabilità dell’interesse a partecipare al giudizio che la determina, con la conseguenza che la fattispecie estintiva eventualmente opponibile non può impedire la partecipazione al giudizio del titolare del diritto che ne è colpito e non può renderlo carente dell’interesse previsto dall’art. 246 c.p.c. come causa di incapacità a testimoniare (Cass. 1° giugno 1974, n. 1580; Cass. 23 ottobre 2002, n. 14963; Cass. 21 luglio 2004, n. 13585; Cass. 28 luglio 2011, n. 16499).

Il teste coinvolto nell’incidente stradale è sempre incapace a testimoniare.

Gli Ermellini ricordano che ancora che la vittima di un sinistro stradale è incapace ex art. 246 c.p.c. a deporre nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altra persona danneggiata in conseguenza del medesimo sinistro, a nulla rilevando né che il testimone abbia dichiarato di rinunciare al risarcimento, né che il relativo credito si sia prescritto (Cass. 28 settembre 2012, n. 16541).

La capacità a testimoniare e la valutazione sull’attendibilità del teste.

Infine, i giudici di legittimità evidenziano che la capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza in un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), una volta che abbia ritenuto sussistente la capacità a testimoniare del teste o se l’incapacità del teste non sia stata eccepita o sia stata dedotta tardivamente.

Di contra, nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, la testimonianza del teste non é stata utilizzata per la ritenuta incapacità a testimoniare dello stesso. Da qui il rigetto del ricorso.

Una breve riflessione

Da un punto di vista statistico, moltissimi sono gli incidenti stradali in cui non vi sono testimoni se non gli stessi soggetti trasportati e quindi, quasi sempre, danneggiati dal sinistro.

Diguisachè, la necessità di indicare quali testi tali soggetti implica la soluzione della questione che è stata oggetto della decisione della Suprema Corte in rassegna.

Si pone dunque il problema della incapacità a testimoniare del terzo trasportato.

Da un lato la tesi della danneggiata secondo cui, nella specie, non ricorre una ipotesi di incapacità a testimoniare, ex art. 246 c.p.c., per difetto di interesse concreto ed attuale del teste (la cui domanda di risarcimento sarebbe prescritta); dall’altra la tesi del danneggiante e della sua compagnia di assicurazioni, secondo cui, viceversa, la incapacità a testimoniare sussisterebbe anche nella ipotesi in cui il credito potenzialmente vantato dal teste siasi comunque prescritto o non possa più esser azionato.

E la Corte di cassazione (in conformità alla pronuncia della Corte territoriale) predilige tale ultima tesi, richiamando, in proposito, un precedente orientamento giurisprudenziale, per così dire, specifico.

In base a tale principio, la valutazione della incapacità a testimoniare del teste ex art. 246 c.p.c. non può essere fatta a posteriori, ma deve, viceversa, essere effettuata ex ante, avuto riguardo alla posizione del teste ed a prescindere se sia intervenuta una transazione ovvero il suo credito risulti prescritto. Di conseguenza, la fattispecie estintiva eventualmente opponibile non può impedire la partecipazione al giudizio del titolare del diritto che ne è colpito e non può renderlo carente dell’interesse previsto dall’art. 246 c.p.c. come causa di incapacità a testimoniare.

In conclusione, il teste, se incapace a testimoniare, lo sarà sempre, rimanendo esclusa qualsiasi causa “riabilitativa”.

Un principio che appare aderente al dettato normativo ed idoneo ad eliminare situazioni di incertezza processuale e sostanziale atteso che, il più delle volte, i motivi ostativi non sono noti alla parte che propone l’eccezione di incapacità del teste.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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