L’affermazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione presuppone, ancor prima dell’accertamento di un comportamento doloso o colposo della stessa, la configurabilità di un’attività provvedimentale illegittima, fonte di una lesione dei diritti soggettivi o degli interessi legittimi dei soggetti coinvolti, il cui riscontro, rappresentando logicamente un prius rispetto a quello della violazione delle regole cui deve ispirarsi l’azione amministrativa nei rapporti con il cittadino, rende superflua, in caso di esito negativo, ogni valutazione in ordine all’inosservanza dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, così come dei principi di legge ordinaria in punto di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza dell’attività amministrativa o dei principi generali dell’ordinamento in tema di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con ordinanza n. 21169 depositata il 24 agosto 2018
Il caso
Due contribuenti convennero in giudizio il Ministero delle finanze e l’Agenzia delle entrate, per sentirli condannare al risarcimento dei danni cagionati dalla violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e buon andamento della pubblica amministrazione nella gestione dei procedimenti amministrativi e del contenzioso tributario scaturiti dagl’illeciti commessi a loro danno dal proprio commercialista, ed accertati dal Pretore di Verona con sentenza penale definitiva.
Premesso che il predetto professionista, della cui opera si erano avvalsi per la predisposizione delle dichiarazioni dei redditi e delle dichiarazioni IVA, si era sottratto all’adempimento dei propri obblighi professionali, appropriandosi indebitamente degl’importi consegnatigli affinché li versasse all’Erario, esposero che, a causa di tali comportamenti, essi erano andati incontro a complesse vicende tributarie, sfociate in un lungo contenzioso e talvolta in procedimenti penali, alimentati dal moltiplicarsi di contestazioni fiscali rivelatesi infondate, richieste di documentazione, impedimenti burocratici e prassi interpretative non coerenti, nonché dal rifiuto dell’Amministrazione di pervenire ad una definizione unitaria della vicenda e di sgravarli delle sanzioni e degl’interessi.
Si costituirono il Ministero e l’Agenzia, e resistettero alla domanda, chiedendone il rigetto per prescrizione e genericità.
Il giudizio di primo grado
In esito al giudizio di primo grado, il Tribunale dichiarò il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria in ordine alle domande di restituzione di versamenti tributari, la prescrizione di quelle derivanti da fatti anteriori al quinquennio, rigettò la domanda di risarcimento del danno patrimoniale ed accolse quella di risarcimento del danno non patrimoniale, condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 15.000,00, oltre interessi, in favore di ciascuno degli attori.
Il giudizio di appello.
L’impugnazione proposta dal Ministero e dall’Agenzia è stata accolta dalla Corte d’Appello, che ha rigettato il gravame incidentale degli attori e la domanda dagli stessi proposta. A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto generico e comunque infondato l’assunto degli attori, secondo cui vi sarebbe stato un inammissibile accanimento degli uffici tributari nei loro confronti, non essendo state individuate esattamente le condotte ritenute illecite, non essendo emersi specifici atti o comportamenti contrari a norme di legge, regolamentari o istruzioni, e non potendosi ravvisare condotte colpose nelle prassi applicative difformi o mutevoli riscontrate presso i vari uffici in relazione alle contestazioni doverosamente mosse agli attori. Ha ritenuto altresì irrilevanti, in assenza di comportamenti antigiuridici dell’Amministrazione, le indicazioni evasive, altalenanti e poco sollecite fornite dagli uffici ed il ritardo degli stessi nell’avviare ed istruire le procedure di contestazione e recupero, nonché nel provvedere sulle istanze di rimborso, e non decisiva l’indicazione di comportamenti non improntati alle finalità di semplificazione ed al principio dell’affidamento e della buona fede, previsti dagli artt. 6 e 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212. Precisato che gli attori avevano potuto far valere le loro ragioni nelle sedi giurisdizionali proprie, ha escluso che potessero addebitarsi all’Amministrazione le conseguenze esistenziali provocate dall’accavallarsi di contestazioni, procedimenti, istanze e decisioni, comunque determinati da accertate omissioni tributarie, ritenendo inapplicabile anche l’art. 97 Cost., il quale assicura tutela costituzionale al principio di legalità dell’azione amministrativa, ma non risulta idoneo a fondare pretese risarcitorie correlate a comportamenti di cui non sia stata dimostrata la natura illecita e colposa.
Da qui il ricorso per cassazione da parte dei contribuenti.
I motivi di ricorso
Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver escluso l’illiceità del comportamento dell’Amministrazione, senza tenere conto del notevole arco temporale in cui si è dipanata la vicenda, dell’omessa valutazione delle loro offerte di bonario componimento, della moltiplicazione delle contestazioni e della riluttanza dell’Amministrazione a prendere in esame unitariamente la loro situazione. Aggiungono che le condotte ascritte all’Amministrazione sono state tutte acclarate, essendo emersi la contraddittorietà delle prassi relative alla sospensione degli interessi e delle sanzioni, l’avvenuta effettuazione dei controlli in prossimità della scadenza dei termini, il ritardo nei rimborsi dovuti. Affermano infine che, nell’escludere l’imputabilità alla Amministrazione delle conseguenze esistenziali provocate dall’accavallarsi di contestazioni, procedimenti, istanze e decisioni, la sentenza impugnata non ha tenuto conto degli accertamenti compiuti dal c.t.u. e delle deposizioni rese dai testi escussi.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e degli artt. 5, primo e quarto comma, e 10, primo, secondo e terzo comma, della legge n. 212 del 2000, sostenendo che, nell’escludere l’applicabilità del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione, la sentenza impugnata non ha considerato che la violazione dello stesso comporta l’antigiuridicità della condotta dell’Amministrazione, trattandosi di norma precettiva, dalla quale discendono diritti soggettivi perfetti dei privati. Aggiungono che, nel ritenere irrilevante la contrarietà del comportamento dell’Amministrazione alle finalità di semplificazione ed al principio dell’affidamento e della buona fede, la Corte di merito ha omesso di rilevare che le norme violate attribuiscono diritti soggettivi perfetti al contribuente, ponendo a carico dell’Amministrazione obblighi d’informazione, impulso e collaborazione.
La Suprema Corte ritiene entrambi i motivi infondati.
Secondo gli Ermellini, l’esclusione della responsabilità dell’Amministrazione per i danni lamentati dai ricorrenti trova infatti giustificazione, nell’ambito del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, nell’osservazione che, al di là della generica denuncia dell’inosservanza dei canoni di semplificazione e tutela dell’affidamento riconducibili al principio costituzionale di buon andamento della Pubblica Amministrazione, i ricorrenti non erano stati in grado d’individuare condotte antigiuridiche specificamente ascrivibili a colpa degli uffici finanziari, ma si erano limitati ad insistere sul comportamento «eccessivamente burocratico ed irragionevole» degli stessi, evidenziando il ritardo nelle contestazioni effettuate, l’evasività delle indicazioni fornite, la mutevolezza degli orientamenti di volta in volta adottati, la lentezza nell’avvio e nell’istruzione delle procedure e l’inerzia nell’effettuazione dei rimborsi, senza tener conto della doverosità delle iniziative intraprese dall’Amministrazione, riguardanti omissioni tributarie accertate e ricollegabili, in ultima analisi, a condotte illecite di terzi, segnatamente del commercialista al quale i ricorrenti si erano affidati per la gestione dei loro adempimenti fiscali.
L’orientamento al quale aderisce la Suprema Corte
Secondo i giudici di piazza Cavour, tale percorso logico trova conforto nell’ormai consolidato orientamento della Corte di legittimità in tema di risarcimento dei danni per illegittimo esercizio della funzione pubblica, secondo cui l’affermazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione presuppone, ancor prima dell’accertamento di un comportamento doloso o colposo della stessa, la configurabilità di un’attività provvedimentale illegittima, fonte di una lesione dei diritti soggettivi o degli interessi legittimi dei soggetti coinvolti, il cui riscontro, rappresentando logicamente un prius rispetto a quello della violazione delle regole cui deve ispirarsi l’azione amministrativa nei rapporti con il cittadino, rende superflua, in caso di esito negativo, ogni valutazione in ordine all’inosservanza dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, così come dei principi di legge ordinaria in punto di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza dell’attività amministrativa o dei principi generali dell’ordinamento in tema di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza (cfr. Cass., Sez. lav., 22/11/2017, n. 27800; Cass., Sez. III, 31/ 10/2014, n. 23170; Cass., Sez. VI, 15/03/2012, n. 4172).
Perché la Corte Suprema rigetta il ricorso
Per i giudici di piazza Cavour, il predetto presupposto nella specie è rimasto totalmente indimostrato, in quanto, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, i ricorrenti hanno dedotto soltanto genericamente l’illegittimità degli atti posti in essere dall’Amministrazione finanziaria, essendosi limitati a sostenere di aver vittoriosamente impugnato alcuni provvedimenti e cartelle esattoriali relativi a sanzioni, senza indicarli neppure in sede di legittimità, ed avendo per altro verso riconosciuto l’effettiva sussistenza delle omissioni tributarie loro contestate, la cui riconducibilità al comportamento illecito di terzi non avrebbe potuto in alcun modo inficiare la legittimità degli atti di accertamento.
In definitiva, per gli Ermellini, non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, dato atto di quanto precede, ha ritenuto ininfluenti l’inerzia, le inefficienze, i ritardi e le contraddizioni che avevano caratterizzato la condotta degli uffici finanziari nella gestione delle pratiche riguardanti i ricorrenti, con la conseguente esclusione della responsabilità dell’Amministrazione per le conseguenze di natura esistenziale provocate dal ripetersi delle contestazioni e dal moltiplicarsi degli adempimenti.
Gli articoli 6 e 10 dello Statuto del contribuente
Né – conclude la Suprema Corte – appare conferente il richiamo dei ricorrenti agli artt. 6 e 10 della legge n. 212 del 2000, i quali, nel disporre che i rapporti tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria devono essere improntati a canoni di collaborazione e buona fede, pongono a carico dell’Amministrazione doveri di semplificazione, informazione e cooperazione istruttoria aventi carattere meramente strumentale, in quanto volti ad agevolare, anche al di fuori dell’ambito processuale, l’esercizio del diritto di difesa da parte del destinatario della pretesa tributaria, tutelando inoltre, mediante l’esenzione da sanzioni e interessi, l’affidamento dallo stesso legittimamente riposto in prassi, orientamenti o interpretazioni della medesima Amministrazione, senza però attribuirgli un autonomo diritto alla celerità e all’efficienza dell’azione amministrativa, la cui lesione possa costituire il fondamento di un’azione risarcitoria, indipendentemente dall’illegittimo esercizio delle potestà spettanti all’Amministrazione finanziaria.
Da qui il rigetto del ricorso.
Una breve riflessione
L’interpretazione alla quale aderisce la sentenza in rassegna, anche se formalmente corretta ed ineccepibile, si presta tuttavia ad interpretazioni a sfavore del privato ed a favore della Pubblica Amministrazione, legittimandone la nascita e la sussistenza di possibili situazioni di inefficienza.
Difatti, affermare che la responsabilità della Pubblica Amministrazione presuppone, ancor prima dell’accertamento di un comportamento doloso o colposo della stessa, la configurabilità di un’attività provvedimentale illegittima, fonte di una lesione dei diritti soggettivi o degli interessi legittimi dei soggetti coinvolti, significa “scriminare”, in alcune ipotesi, la inosservanza dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione. In mancanza di un provvedimento illegittimo, la loro violazione non costituirebbe fonte di responsabilità.
Allorchè la Suprema Corte afferma che il privato non gode di un “autonomo diritto alla celerità e all’efficienza dell’azione amministrativa, la cui lesione possa costituire il fondamento di un’azione risarcitoria, indipendentemente dall’illegittimo esercizio delle potestà spettanti all’Amministrazione finanziaria” è una formula che potrebbe pure prestarsi ad “abusi” da parte della Pubblica Amministrazione.
Difatti, vi sono delle aree in cui è difficile individuare una “attività provvedimentale illegittima” pur essendo indubbio che, nei medesimi casi, la Pubblica Amministrazione, violando i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, abbia cagionato un danno al privato. Danno, che, in ossequio al dedotto orientamento, potrebbe non essere risarcito.
E ciò è successo nel caso in esame, laddove la Suprema Corte ritiene esente da censure il ragionamento della Corte territoriale che “ha ritenuto ininfluenti l’inerzia, le inefficienze, i ritardi e le contraddizioni che avevano caratterizzato la condotta degli uffici finanziari nella gestione delle pratiche riguardanti i ricorrenti”.
Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
Managing partner at clouvell (www.clouvell.com)