L’art. 366 cod. proc. civ., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di “forma-contenuto” dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con ordinanza n. 23129 depositata il 17 settembre 2019
Il caso
Il ricorrente ha proposto un ricorso innanzi il Giudice di legittimità in ambito civile. La Suprema Corte lo dichiara inammissibile in quanto esso, per come redatto, si discosta dal “modello legale” di cui all’articolo 366 c.p.c.
In particolare, secondo i Giudici di legittimità, il ricorso manca di un’esposizione dei fatti della causa che consenta alla Corte di comprendere l’oggetto della pretesa e il tenore della sentenza impugnata in coordinamento con i motivi di censura (Cass. n. 24291 del 2016; Cass. n. 22860 del 2014).
In effetti, – proseguono gli Ermellini – “l’art. 366 cod. proc. civ., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di “forma-contenuto” dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso.
Il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa
Con particolare riferimento al requisito della «esposizione sommaria dei fatti della causa» (art. 366 n. 3 cod. proc. civ.), che deve avere ad oggetto sia i fatti sostanziali che i fatti processuali necessari alla comprensione dei motivi, la Suprema Corte osserva che tale requisito è posto, nell’ambito del modello legale del ricorso, non tanto nell’interesse della controparte, quanto in funzione del sindacato che la Corte di cassazione è chiamata ad esercitare e, quindi, della verifica della fondatezza delle censure proposte.
Il requisito della esposizione dei motivi
Esiste pertanto un rapporto di complementarità tra il requisito della «esposizione sommaria dei fatti della causa» di cui n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ. e quello – che lo segue nel modello legale del ricorso – della «esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione» (n. 4 dell’art. 366 cod. proc. civ.), essendo l’esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intellegibili, da parte della Corte, i motivi di ricorso di seguito formulati.
Il “modello legale”
In altri termini, secondo il “modello legale” apprestato dall’art. 366 cod. proc. civ., la Corte di cassazione, prima di esaminare i motivi, dev’essere posta in grado, attraverso una riassuntiva esposizione dei fatti, di avere contezza sia del rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia dello sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti; valutazione – questa – che è possibile solo se chi esamina i motivi sia stato previamente posto a conoscenza della vicenda sostanziale e processuale in modo complessivo e sommario, mediante una “sintesi” dei fatti che si fondi sulla selezione dei dati rilevanti e sullo scarto di quelli inutili.
La tecnica di redazione del ricorso per cassazione in sede civile.
Perciò, il difensore chiamato a redigere il ricorso per cassazione – che, per legge, dev’essere un professionista munito di quella particolare specializzazione attestata dalla sua iscrizione nell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione – deve procedere ad elaborare autonomamente “una sintesi della vicenda fattuale e processuale”, selezionando i dati di fatto sostanziali e processuali rilevanti (domande, eccezioni, statuizioni delle sentenze di merito, motivi di gravame, questioni riproposte in appello, etc.) in funzione dei motivi di ricorso che intende formulare, in modo da consentire alla Corte di procedere poi allo scrutinio di tali motivi disponendo di un quadro chiaro e sintetico della vicenda processuale, che le consenta di cogliere agevolmente il significato delle censure, la loro ammissibilità e la loro pertinenza rispetto alle rationes decidendi della sentenza impugnata.
La Suprema Corte osserva che l’esposizione dei fatti della causa deve precedere i motivi di ricorso ed essere autonoma rispetto ad essi (cfr. Cass., Sez. 2, n. 18887 del 2017, non massimata); ciò si ricava dal significato della diversa e susseguente numerazione che, nell’ambito dell’art. 366 cod. proc. civ. e del “modello legale” di ricorso da esso configurato, è attribuita a «l’esposizione sommaria dei fatti della causa» ed a «i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme su cui si fondano», rispettivamente indicati ai numeri 3) e 4) della disposizione codicistica; e si ricava prima ancora dalla anzidetta funzione complementare e strumentale della esposizione sommaria dei fatti rispetto alla comprensione dei motivi. Deriva da ciò che la mancanza o la carenza dell’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato determina ex se l’inammissibilità del ricorso e non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, né attraverso l’esame di altri atti processuali …”(così, Cass. n. 10072 del 2018).
Ora, nel caso di specie, secondo i Giudici di Piazza Cavour, i ricorrenti hanno così ricostruito il “fatto”: “con atto di citazione notificato il 6/2/1999 gli odierni resistenti convenivano in giudizio davanti al Pretore di Lucera i ricorrenti per sentirli condannare al pagamento della parte del canone di locazione derivante dalla quota di loro proprietà di un appartamento ricevuto in eredità del defunto genitore. Con sentenza parziale il giudice di Lucera stabiliva la competenza del Tribunale, modificando altresì la domanda sul fatto che in realtà riguardava il pagamento di un indennizzo per la quota di proprietà, e non la richiesta del pagamento di una quota del canone. I convenuti formulavano riserva di appello, i cui motivi venivano formulati nell’atto inoltrato avverso la decisione di merito. La sentenza di appello ribadiva la decisione di prime cure, annullando anche la compensazione parziale delle spese”.
Per gli Ermellini, si tratta, com’è evidente, di una esposizione dei fatti del tutto insufficiente nella quale, invero, lo stesso ricorrente, senza aver compiutamente riportato né le domande né le eccezioni delle parti, ha omesso del tutto di esporre quale sia stata la decisione del giudice di primo grado, di precisare quale parte abbia proposto appello e per quali ragioni e, infine, di rappresentare quale sia stata la decisione della corte di appello poi impugnata col ricorso. In tali condizioni, alla stregua delle ragioni e dei principi di diritto dianzi evidenziati, la Corte di legittimità ha ritenuto che il ricorrente non abbia compiutamente assolto l’onere previsto dall’art. 366 n. 3 c.p.c., con la conseguenza che il ricorso viene dichiarato inammissibile.
Una breve riflessione
La decisione in epigrafe enuclea, in maniera tanto semplice quanto efficace, quale possa essere una tecnica per la redazione di un ricorso per cassazione in ambito civile.
Si tratta di interpretazione del dettato normativo che non riposa in ragioni formalistiche, bensì in una esigenza pratico-funzionale, ovverossia mettere in condizione la Suprema Corte di poter scrutinare i motivi del ricorso “disponendo di un quadro chiaro e sintetico della vicenda processuale, che le consenta di cogliere agevolmente il significato delle censure, la loro ammissibilità e la loro pertinenza rispetto alle rationes decidendi della sentenza impugnata”.
Il redattore che non seguirà tali indicazioni, si scosterà dal “modello legale” disegnato dalla legge e sarà falcidiato dalla scure dell’inammissibilità.
Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
Managing partner at clouvell (https://www.clouvell.com)