Quando la tutela contro il trattamento dei dati personali nei confronti del titolare del trattamento venga invocata nell’ambito di un rapporto di consumo, come tale soggetto all’art. 33, lett. u), del d.lgs. n. 206 del 2005, il foro previsto da tale norma prevale su quello individuato dall’art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003. Ed invero, la sopravvenienza della prima disposizione ha derogato alla seconda con riguardo alle controversie sul trattamento dei dati personali, la cui titolarità origini da rapporti di consumo, in quanto tali soggetti alle disposizioni del cd. codice del consumo.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 20304 del 9 ottobre 2015
Il caso
Con atto di citazione notificato il 27.5.2010, un consumatore conveniva in giudizio, dinanzi al Giudice di pace, un gestore di telefonia chiedendone la condanna al pagamento degli indennizzi per la mancata definizione del reclamo proposto secondo le condizioni generali di abbonamento, nonché ai risarcimento dei danni, per l’omesso inserimento del proprio nominativo negli elenchi telefonici per gli anni 2009 e 2010.
Il Giudice di pace adito rigettava l’eccezione di incompetenza per materia e per territorio proposta dalla convenuta, accogliendo nel merito la domanda proposta dall’attore.
L’appello del gestore di telefonia.
Avverso tale decisione proponeva appello il gestore di telefonia, che veniva accolto dal Tribunale.
La sentenza di appello.
Con tale pronuncia il giudice di secondo grado dichiarava l’incompetenza per materia e per territorio del Giudice di pace, affermando la competenza del Tribunale di Milano, ossia del luogo di residenza del titolare del trattamento, ai sensi dell’art. 152 del d.lgs. n. 196 dei 2003.
Il ricorso per cassazione
Per la cassazione della sentenza di appello ha, quindi, proposto ricorso il consumatore nei confronti del gestore di telefonia, affidato ad un unico motivo.
La sentenza del Tribunale che decida, in sede d’appello, esclusivamente in ordine alla competenza dei Giudice di pace deve essere impugnata esclusivamente mediante regolamento necessario di competenza.
In via pregiudiziale, rileva la Corte di legittimità che la sentenza di appello del Tribunale, oggetto di ricorso per cassazione, si è pronunciata esclusivamente sulla competenza per materia e per territorio a decidere la controversia, individuando l’ufficio giudiziario competente, ai sensi dell’art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003, nel Tribunale di Milano.
Orbene, osservano gli Ermellini, al riguardo, che la sentenza del Tribunale che decida, in sede d’appello, esclusivamente in ordine alla competenza dei Giudice di pace deve essere impugnata esclusivamente mediante regolamento necessario di competenza, ai sensi dell’art. 42 c.p.c., essendo irrilevante che avverso le decisioni del Giudice di pace, a norma dell’art. 46 c.p.c., non sia proponibile tale mezzo d’impugnazione. Ne consegue che il ricorso per cassazione, eventualmente proposto, è inammissibile (cfr. Cass. 22959/2010; Cass. 11300/2011).
La conversione del ricorso per cassazione in istanza di regolamento di competenza.
Aggiungono però i giudici di legittimità che, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, è fatta comunque salva la possibilità di conversione del ricorso per cassazione in istanza di regolamento di competenza, qualora risulti osservato il termine perentorio prescritto dall’art. 47, cc. 2, c.p.c., tenuto conto che tale mezzo va proposto nel termine di trenta giorni, che decorre dalla notificazione ad istanza di parte o dalla comunicazione da parte della cancelleria della sentenza impugnata (Cass. 18170/2004; Cass. 3077/2006; Cass. 9806/2009; Cass. 5598/2014; Cass. 9268/2015).
E poiché nel caso di specie il termine suindicato risulta ampiamente rispettato, essendo stata la sentenza impugnata (che non risulta notificata o comunicata prima della sua impugnazione) depositata in data 23.2.2012, ed essendo stato il ricorso per cassazione avverso la medesima decisione notificato in data 9.3.2012, il ricorso per cassazione viene convertito in regolamento di competenza.
Il motivo di ricorso
Con l’unico motivo di ricorso, il consumatore denuncia la violazione degli artt. 33, co. 2, lett. u) e 63 del d.lgs. n. 206 del 2005 e 152 del d.lgs. n. 196 del 2003.
In particolare, ad avviso del ricorrente, avrebbe errato il Tribunale nel dichiarare l’incompetenza per materia e per territorio del Giudice di pace, per essere competente a giudicare la controversia, ai sensi dell’art. 152 del cligs. n. 196 del 2003, il Tribunale di Milano. Deduce, invero, il consumatore, originario attore, di avere agito in giudizio per ottenere la condanna del gestore di telefonia al pagamento degli indennizzi per la mancata definizione del reclamo proposto secondo le condizioni generali di abbonamento, nonché al risarcimento dei danni, per l’omesso inserimento del proprio nominativo negli elenchi telefonici per gli anni 2009 e 2010.
Dolendosi, dunque, il ricorrente di un inadempimento contrattuale da parte del gestore di telefonia, per violazione delle condizioni generali di abbonamento, il trattamento dei dati posto a fondamento della decisione impugnata, laddove ipotizzabile, sarebbe, comunque, avvenuto nell’ambito di un rapporto di consumo, per il quale deve farsi applicazione del foro dei consumatore, previsto dall’art. 33 del d.lgs. n. 206 del 2005. E la Suprema Corte ritiene il ricorso fondato.
Il principio di diritto.
Ricordano gli Ermellini che il più recente orientamento della Corte di legittimità ha, invero, affermato che, quando la tutela contro il trattamento dei dati personali nei confronti del titolare del trattamento venga invocata nell’ambito di un rapporto di consumo, come tale soggetto all’art. 33, lett. u), del d.lgs. n. 206 del 2005, il foro previsto da tale norma prevale su quello individuato dall’art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003. Ed invero, la sopravvenienza della prima disposizione ha derogato alla seconda con riguardo alle controversie sul trattamento dei dati personali, la cui titolarità origini – come nel caso concreto – da rapporti di consumo, in quanto tali soggetti alle disposizioni del cd. codice del consumo (cfr. Cass. 21814/2009; Cass. 5705/2014, con riferimento anche al foro previsto dall’art. 10 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150).
In conseguenza di ciò, ha errato il giudice di appello, nell’affermare la competenza del Tribunale del luogo di residenza del titolare dei trattamento (Milano), ai sensi dell’art. 152 del d.lgs. n. 196/2003.
Da qui, l’accoglimento del ricorso, convertito in istanza di regolamento per competenza, e conseguente cassazione con rinvio al Tribunale di secondo grado, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna ribadisce, affermandolo, un recente principio elaborato dalla Suprema Corte a proposito del foro in materia di trattamento dei dati personali.
Come è noto, in siffatta materia il foro si determina avuto riguardo alla sede del titolare del trattamento (art.152 del d.lgs. n. 196 del 2003).
La suddetta norma è stata modificata dall’articolo 10 del decreto legislativo 1° settembre 2011 n.150, ma la nuova disposizione non ha modificato l’individuazione del giudice territorialmente competente che è rimasto il tribunale del luogo in cui ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, come definito dall’articolo 4 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n.196.
Può accadere però, come nella specie, che il trattamento dei dati avvenga all’interno di un contratto di consumo per il quale si applicano le norme del relativo codice. E il codice del consumo prevede – è notorio – che il foro coincida con la residenza del consumatore.
Ed allora, cosa accade se il consumatore agisce per la protezione dei dati personali, dati personali che però vengono invocati nell’ambito di un rapporto di consumo?
Per i giudici di legittimità, il foro del consumatore prevale su quello del codice della privacy.
In buona sostanza, la Suprema Corte non ne fa, a quanto pare, una questione di preminenza di interessi tutelati, bensì una conseguenza della successione delle leggi nel tempo. Difatti, ai sensi dell’articolo 15 delle preleggi, le leggi sono abrogate, tra l’altro, per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti. Ed è proprio il caso posto all’esame della Suprema Corte.
Comunque, successione di leggi a parte, l’interpretazione offerta dalla Suprema Corte appare più rispettosa degli interessi del consumatore il quale rimarrebbe penalizzato qualora dovesse semplicemente “difendersi” rispetto alla protezione dei dati personali che lo riguardano spogliandosi dell’abito di consumatore.
V’è anche da dire, però, che il titolare del trattamento è, in genere, il soggetto più forte rispetto al soggetto i cui dati vengono trattati. In quest’ottica, la normativa, inserita nel codice della privacy che individua il foro con la sede legale del titolare del trattamento appare, in massima parte, penalizzante per il soggetto leso.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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