Lo squilibrio economico originario delle prestazioni non priva di causa il contratto, e quindi non ne determina la nullità, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive. Detto squilibrio può semmai rilevare ai fini della rescissione del contratto a norma dell’art. 1447 c.c. o dell’art. 1448, in considerazione dello stato di bisogno o di pericolo di alcuno dei contraenti, oppure ai fini dell’annullabilità a norma dell’art. 428 c.c. del contratto stipulato da persone incapaci.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 22567 del 4 novembre 2015
Il caso
Con la sentenza al vaglio della Suprema Corte, la Corte territoriale ribadì il rigetto della domanda proposta da due promittente venditori per l’esecuzione specifica dell’obbligo assunto da parte dei promissari acquirenti di acquistare per il prezzo di €. 990.000,00 il 45% delle quote di una soceità di cui i convenuti detenevano già il 55%.
Le sentenze di merito
Ritennero i giudici del merito che il contratto era da dichiarare nullo per difetto di causa, attesa l’abnorme sproporzione tra il valore effettivo delle quote cedute, determinato da C.T.U. in €. 168.452,00 alla data del 31 dicembre 2002, e il prezzo convenuto per la cessione, anche in considerazione del fatto che il controllo della società era già nella disponibilità degli acquirenti. Sicché – proseguono i giudici di merito – essendo tutti i contraenti evidentemente consapevoli della precaria situazione patrimoniale della società, avviata a una procedura concorsuale, doveva escludersi che i venditori fossero in buona fede, con la conseguenza che, in parziale riforma della decisione di primo grado, i promittenti venditori furono condannati alla restituzione della somma di €. 100.000,00 incassata a titolo di caparra oltre gli interessi in misura legale.
Il ricorso per cassazione
Contro la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione i promittenti venditori deducendo otto motivi d’impugnazione, cui hanno resistito con controricorso i promissari acquirenti che hanno altresì proposto ricorso incidentale affidato a due motivi, contestati con controricorso dai ricorrenti principali.
Il primo motivo di ricorso
Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono violazione e falsa applicazione degli art.1418, 1325, 1174 c.c., lamentando che i giudici del merito abbiano considerato privo di causa il contratto in ragione del solo squilibrio delle prestazioni.
Sostengono i ricorrenti che la nullità del contratto per carenza di causa si può ipotizzare solo nel caso di inesistenza in concreto di una delle prestazioni oggetto di scambio. Non è compatibile con l’ordinamento vigente il principio enunciato dalla sentenza impugnata per cui è nullo per difetto di causa un contratto nel quale vi sia sproporzione tra le prestazioni, posto che la rescissione del contratto per una sproporzione considerevole tra le prestazioni presuppone, quale condizione ulteriore dell’azione, anche l’approfittamento della stato di pericolo (art. 1447 c.c.) o di bisogno (art. 1448) di uno dei contraenti.
Infatti la giurisprudenza – proseguono i ricorrenti – ha escluso la rilevanza anche ai fini dell’annullamento di una compravendita di quote societarie finanche dell’errore sull’effettivo loro valore. E lo squilibrio tra le prestazioni rileva solo quando sia imprevedibilmente sopravvenuto alla stipulazione (art. 1467 c.c.).
Neppur può considerarsi rilevante il fatto – concludono sul punto i ricorrenti – valutato dai giudici del merito, che le quote cedute non erano necessarie a ottenere il controllo della società da parte degli acquirenti, posto che una minore utilità del contratto non può tradursi in inesistenza della prestazione. Se si assegnasse rilevanza a utilità ulteriori rispetto a quelle derivanti direttamente dalla prestazione, l’art. 1418 c.c. risulterebbe incompatibile con l’art. 41 Cost.
Il secondo motivo di ricorso
Con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono ancora violazione degli art. 1418 e 1325 c.c., lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente incluso nell’oggetto di un contratto di cessione di quote sociali il valore economico della partecipazione sociale, anziché i diritti e gli obblighi che ne derivano. Come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, sostengono i ricorrenti, il valore delle quote può infatti rilevare solo come motivo del contratto.
Il terzo motivo di ricorso
Con il terzo motivo i ricorrenti principali deducono ancora violazione e falsa applicazione degli art. 1418, 1325, 1174 c.c., lamentando che erroneamente i giudici del merito abbiano escluso la rilevanza di utilità diverse da quelle patrimoniali, mentre la prestazione contrattuale può corrispondere a un interesse anche non patrimoniale del creditore.
Il quarto e quinto motivo di ricorso
Con il quarto e il quinto motivo i ricorrenti principali deducono vizi di motivazione della decisione impugnata e violazione e falsa applicazione degli art. 1174, 2392, 2393, 2395 e, nei testi all’epoca vigenti, anche degli art. 2486 e 2409 c.c., lamentando che i giudici del merito abbiano omesso di considerare l’utilità connessa quantomeno alla disponibilità della maggioranza richiesta anche per le assemblee straordinarie, oltre che alla rimozione dei diritti di controllo dei soci di minoranza.
Il sesto motivo di ricorso
Con il sesto motivo i ricorrenti principali deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente considerato nuove le domande subordinate da essi proposte con la memoria ex art. 183 c.p.c., benché fossero del tutto corrispondenti alle domande proposte con l’originario atto di citazione e nell’udienza ex art. 183 c.p.c. previgente.
Il settimo motivo di ricorso
Con il settimo motivo i ricorrenti principali deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art.1175 c.c., lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente interpretato e perciò rigettato la domanda subordinata di risarcimento dei danni per la dedotta mancanza di buona fede dei convenuti nell’esecuzione del contratto preliminare stipulato.
L’ottavo motivo di ricorso
Con l’ottavo motivo i ricorrenti principali deducono vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito li abbiano erroneamente condannati alla restituzione della caparra con gli interessi dal giorno in cui l’avevano incassata, anziché dal giorno della domanda.
Il primo motivo del ricorso principale è fondato.
Per i giudici di piazza Cavour, il primo motivo del ricorso principale è fondato e assorbente rispetto a tutti gli altri motivi del ricorso principale, come a entrambi i motivi del ricorso incidentale, con i quali viene censurata la decisione di compensazione delle spese del giudizio.
Quando il contratto è nullo
Secondo quanto prevede l’art. 1418 comma 2 c.c., il contratto è nullo quando manchi di alcuno dei requisiti prescritti dall’art. 1325 c.c., inclusa la causa.
Lo squilibrio tra le prestazioni di un contratto non può invalidare il contratto di scambio per carenza di causa.
Secondo gli Ermellini, ammesso che possa ipotizzarsi un contratto privo di causa, piuttosto che avente una causa diversa da quella apparente (Cass., sez. III, 7 luglio 2003, n. 10684, m. 564869, Cass., sez. III, 4 novembre 2005, n. 21389, m. 585356, Cass., sez. III, 7 giugno 2006, n. 13349, m. 590714, citate nella sentenza impugnata), come ad esempio nel negotium mixtum cum donatione (Cass., sez. II, 3 novembre 2009, n. 23297, m. 610125, Cass., sez. II, 17 novembre 2010, n. 23215, m. 615548), si può escludere che lo squilibrio originario delle prestazioni possa invalidare per carenza della causa i contratti di scambio.
I precedenti sul punto
Precisano i giudici della Suprema Corte che nei rari precedenti nei quali si è attribuito rilevanza allo squilibrio originario delle prestazioni si trattava piuttosto di impossibilità giuridica di una delle prestazioni oggetto del preteso scambio: «come quando una delle parti si obblighi ad una prestazione senza che, in cambio, le venga attribuito nulla di più di quanto già le spetti per legge» (Cass., sez. II, 27 luglio 1987, n. 6492, m. 454764) o in ragione di altro vincolo contrattuale (Cass., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490, m. 592154).
La prevalenza del principio dell’autonomia negoziale.
Secondo la giurisprudenza più recente, in realtà – proseguono gli Ermellini – lo squilibrio economico originario non priva di causa il contratto, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive. Si ritiene dunque che, salvo particolari esigenze di tutela, «le parti sono i migliori giudici dei loro interessi».
Il prezzo assolutamente privo di valore ed il prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato.
Ricordano i giudici di piazza Cavour che «solo l’indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore, meramente apparente e simbolico, può determinare la nullità della vendita per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali, mentre la pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, pone solo un problema concernente l’adeguatezza e la corrispettività delle prestazioni ed afferisce, quindi, all’interpretazione della volontà dei contraenti ed all’eventuale configurabilità di una causa diversa del contratto» (Cass., sez. Il, 19 aprile 2013, n. 9640, m. 626041).
La rescissione del contratto. L’invalidità ex art. 428 c.c.
Secondo i giudici della Cassazione, lo squilibrio economico iniziale tra le prestazioni può rilevare così ai fini della rescissione del contratto a norma dell’art. 1447 c.c. o dell’art. 1448, in considerazione dello stato di bisogno o di pericolo di alcuno dei contraenti; come può rilevare ai fini dell’annullabilità a norma dell’art. 428 c.c. del contratto stipulato da persone incapaci.
Lo squilibrio iniziale delle prestazioni non determina di per sé la nullità del contratto.
Precisano i giudici di legittimità che in linea di principio lo squilibrio iniziale delle prestazioni non determina di per sé la nullità del contratto.
Inoltre, contrariamente a quanto pure si è ipotizzato in passato (Cass., sez. I, 20 novembre 1992, n. 12401, m. 479641), la giurisprudenza più recente ha ben chiarito che occorre distinguere non solo tra negozio a titolo gratuito e negozio a titolo oneroso, ma anche tra gratuità e liberalità (Cass., sez. I, 5 dicembre 1998, n. 12325, m. 521419).
L’assenza di corrispettivo
In particolare – precisano gli Ermellini – l’assenza di corrispettivo, se è sufficiente a caratterizzare i negozi a titolo gratuito (così distinguendoli da quelli a titolo oneroso), non basta invece a individuare i caratteri della donazione, per la cui sussistenza sono necessari, oltre all’incremento del patrimonio altrui, la concorrenza di un elemento soggettivo (lo spirito di liberalità) consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, e di un elemento di carattere obbiettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione (Cass., sez. I, 12 marzo 2008, n. 6739, m. 602560, Cass., sez. I, 24 giugno 2015, n. 13087, m. 635732).
Si può dunque avere un negozio che – concludono i giudici di piazza Cavour – benché gratuito, non è manifestazione di liberalità. Ma l’assenza del corrispettivo, che connota di gratuità il negozio, non ne comporta per ciò solo la nullità, come dimostra ad esempio l’esperienza dei rapporti negoziali tra società collegate (Cass., sez. I, 11 marzo 1996, n. 2001, m. 496284, Cass. sez. I, 24 febbraio 2004, n. 3615, m. 570426, Cass., sez. I, 14 ottobre 2010, n. 21250, m. 614301).
E poiché nel caso in esame l’accertamento del notevole squilibrio tra le prestazioni delle parti non può giustificare di per sé la nullità del contratto, la sentenza impugnata viene cassata con rinvio alla Corte territoriale in diversa composizione, perché, adeguandosi agli enunciati principi di diritto, si pronunci sugli ulteriori profili della controversia.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna offre diversi interessanti spunti di riflessione perché affronta il tema della nullità del contratto per difetto di causa a cagione della assenza o della sproporzione tra le prestazioni nei contratti di scambio.
Difatti, il punto di partenza era costituito dalle sentenze di merito che, a fronte di un accertato squilibrio tra le prestazioni, aveva ritenuto nullo il contratto per carenza di causa.
I giudici della cassazione, per illustrare e chiarire la problematica, evidenziano come la assenza del corrispettivo, che connota di gratuità il negozio, non ne comporta per ciò solo la nullità.
Da ciò ne consegue che la previsione di un corrispettivo anche notevolmente diverso rispetto al valore della controprestazione non è sufficiente per privare di causa il contratto. Difatti, i rimedi per ovviare ad una “ingiustizia” sono codificati e racchiusi principalmente nelle previsioni di cui agli articoli 1447, 1448 e 428 codice civile.
In tale ottica viene in primo luogo in rilievo la autonomia delle parti che sono “i migliori giudici di sé stessi”.
L’interpretazione della Suprema Corte appare coerente con la ratio della disciplina delle ipotesi di nullità del contratto. E poiché la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice, la detta interpretazione evita indebite limitazioni dell’autonomia negoziale al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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