Esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto e riduzione del prezzo

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Proposte cumulativamente e contestualmente una domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di vendita, ai sensi dell’art. 2932 c.c., e una domanda di riduzione del prezzo per vizi della res, l’offerta del prezzo prevista dal secondo comma della norma citata deve ritenersi non necessaria ove il pagamento, quale che risulti il prezzo ancora dovuto all’esito dell’accertamento sull’esistenza dei vizi della cosa venduta, non sia esigibile prima della conclusione del contratto definitivo.

Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 3855 del 26 febbraio 2016

Esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto e riduzione del prezzo

Esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto e riduzione del prezzo

Il caso

Con separati atti di citazione, dei promissari acquirenti evocavano dinanzi al Tribunale una Cooperativa per ottenere il trasferimento coatto dei rispettivi immobili ex art. 2932 c.c., previa riduzione del prezzo stante la scoperta di ‘gravosi e preoccupanti vincoli’ gravanti sui due appartamenti.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della cooperativa convenuta, il giudice adito, previa riunione dei giudizi, accoglieva solo un capo della domanda di uno dei promissari acquirenti relativa alla riduzione del prezzo per i lavori eseguiti dal medesimo (promissario acquirente) in luogo della promittente venditrice, rigettata ogni altra pretesa.

L’appello

In virtù di rituale appello interposto dagli originari attori, i quali lamentavano — fra l’altro – l’esistenza di “una nutrita serie di oneri e vincoli”, con corrispondenti diritti costituiti a favore della residua proprietà di una Banca” non meglio specificati, la Corte di appello, nella resistenza della cooperativa, la quale proponeva anche appello incidentale, rigettava entrambi i gravami.

La motivazione della decisione di appello

A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale affermava che correttamente era stata disattesa la pretesa di riduzione del prezzo stante la palese indeterminatezza delle domande e la ipoteticità delle fonti di pregiudizio, comuni alla gran parte degli edifici dei centri urbani ad alta densità commerciale (quali insegne luminose, presenza di ufficio bancario nell’edificio). Né veniva ritenuta fonte di pregiudizio di per sé il previsto diritto della banca di installare canne fumarie o di aspirazione, attraversanti parti condominiali, rientrando nel generale diritto di ciascun condomino di servirsi della cosa comune; del pari pretestuosa doveva essere ritenuta la doglianza relativa all’esistenza di antenne sul tetto in favore della medesima banca, fatta salva la verifica in diversa sede della dannosità delle stesse alla salute. Conseguiva da quanto sopra che non poteva trovare accoglimento – secondo la Corte territoriale – neanche la domanda formulata ai sensi dell’art. 2932 c.c., costituendone presupposto la riduzione del prezzo, per non essere stata offerta l’esecuzione della controprestazione contrattualmente posta a carico dei promissari acquirenti, ma una differente.

Da qui il ricorso per cassazione.

Per quel che qui rileva, tralasciando i primi tre motivi del ricorso per cassazione, con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c., anche per vizio di motivazione, in relazione all’accertamento dei presupposti per l’emissione della sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto non concluso, sotto il profilo del requisito dell’offerta della controprestazione da parte del promissario acquirente. In sintesi, i ricorrenti si dolgono che la corte di merito abbia ritenuto che l’ammissibilità e la fondatezza, in genere, della domanda ex art. 2932 c.c. sarebbe ravvisabile solo se la parte attrice offre l’adempimento della propria obbligazione negli stessi termini stabiliti nel contratto rimasto ineseguito.

Il motivo deduce la questione di diritto se il promissario acquirente, proposta congiuntamente l’azione costitutiva ex art. 2932 c.c. diretta all’emissione della sentenza che stia in luogo del consenso negoziale mancato, e quella di riduzione del prezzo per vizi della cosa promessa in vendita, debba fare offerta (o meno) del pagamento dell’intero prezzo.

La Suprema Corte ritiene il motivo fondato.

Secondo gli Ermellini, in materia di contratto preliminare di vendita, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di occuparsi della questione anzi detta, affermando sia la proponibilità cumulativa e contestuale dell’azione costitutiva e di quella di riduzione del prezzo, sia la non necessità, ove il pagamento del prezzo debba seguire o essere coevo alla stipula del contratto definitivo, della relativa offerta quale condizione dell’azione ex art. 2932 c.c..

Ed infatti – prosegue la Corte regolatrice – la condizione di identità della cosa oggetto del trasferimento con quella prevista nel preliminare non va intesa nel senso di una rigorosa corrispondenza, ma nel senso che deve essere rispettata l’esigenza che il bene da trasferire non sia oggettivamente diverso, per struttura e funzione, da quello considerato e promesso; pertanto, in presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull’effettiva utilizzabilità del bene ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell’art. 2932 c.c., chiedendo cumulativamente e contestualmente l’eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo (Cass. n. 1562 del 2010; Cass. n. 16236 del 2003; Cass. n. 10291 del 2002; Cass. n. 4895 del 1993 e Cass. n. 9991 del 1994, quest’ultima difforme solo per quanto concerne l’alternativa azione di esatto adempimento mercè l’eliminazione delle difformità).

Ed ancora – proseguono i giudici di piazza Cavour – il contraente che chieda l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata è tenuto all’adempimento della prestazione corrispettiva o all’offerta della medesima – che può essere costituita da una seria manifestazione della volontà di eseguirla, senza che sia necessaria una offerta reale – solo se tale prestazione sia esigibile al momento della domanda giudiziale, mentre, quando essa, per accordo delle parti, debba essere effettuata contestualmente alla stipula dell’atto definitivo, o comunque successivamente, la sentenza costitutiva degli effetti di questo contratto, promesso e non concluso, deve essere pronunciata indipendentemente da qualsiasi offerta, ed il pagamento del prezzo (o della parte residua) va imposto dal giudice quale condizione per il verificarsi del richiesto effetto traslativo della proprietà del bene derivante dalla sentenza medesima (Cass. n. 59 del 2002; Cass. n. 144 del 1993; Cass. n. 2103 del 1990 e Cass. n. 2154 del 1987, la quale ultima estende il medesimo dictum anche all’ipotesi in cui il prezzo di vendita “non sia comunque allo stato liquidabile”).

L’errore in cui cadono i giudici di appello

A detta degli Ermellini, nella sentenza impugnata i giudici hanno ritenuto l’insussistenza del presupposto per la domanda di trasferimento coattivo di un bene, ossia l’esecuzione o l’offerta rituale della controprestazione rappresentata dal prezzo, per essere “contraddetto dall’assunto principale che il prezzo dovuto non sarebbe quello risultante dal contratto preliminare”.

Tale decisione – proseguono i giudici di piazza Cavour – incorre nella lamentata violazione di legge per essere il ragionamento svolto nella sentenza impugnata manifestamente paralogico. Infatti, la Corte fiorentina, non ha affermato nè che il pagamento del prezzo fosse esigibile prima della stipula del definitivo, nè che non fosse proponibile in aggiunta alla domanda di c.d. sentenza/contratto quella di riduzione del corrispettivo della vendita, ed anzi ha ritenuto implicitamente ammissibile tale ultima azione. Ciò non di meno – proseguono gli Ermellini – la Corte d’appello ha concluso nel senso che l’emissione della sentenza produttiva degli effetti del contratto fosse impedita “di fatto” dalla mancata offerta di un prezzo incondizionato e per intero del saldo, non dipendente, cioè, da una sua riduzione per i vizi della cosa.

I giudici di piazza Cavour ricordano che innanzitutto che gli impedimenti di fatto sono per loro natura meta- processuali, di talché essi all’interno del processo reagiscono sempre de iure, e non de facto; inoltre, postulata come ammissibile un’azione ex art. 2932 c.c. coordinata con un’actio quanti minoris, la prima non può essere ostacolata dalla circostanza che la seconda, rendendo incerto il prezzo ancora dovuto, impedisca l’offerta così come prescritta dal comma 2 dell’articolo citato. Il cortocircuito logico in cui è incorso il ragionamento della Corte toscana appare dunque evidente.

Il principio di diritto

Da qui l’accoglimento del ricorso, in parte qua, la conseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello che, nel decidere la controversia, si atterrà al seguente principio di diritto: “proposte cumulativamente e contestualmente una domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di vendita, ai sensi dell’art. 2932 c.c., e una domanda di riduzione del prezzo per vizi della res, l’offerta del prezzo prevista dal secondo comma della norma citata deve ritenersi non necessaria ove il pagamento, quale che risulti il prezzo ancora dovuto all’esito dell’accertamento sull’esistenza dei vizi della cosa venduta, non sia esigibile prima della conclusione del contratto definitivo“.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna affronta (e risolve) una problematica assai frequente in tema di promessa di vendita di un immobile.

Succede spesso, infatti, che il promissario acquirente di un immobile lamenti la esistenza di vizi che non configurano una vendita aliud pro alio, ma legittimano solo la richiesta di una riduzione del prezzo. Al contempo, il promissario acquirente intende ottenere una sentenza ex art. 2932 del codice civile.

Il nodo gordiano della vicenda è costituito proprio dalla necessità (o meno) di offrire il prezzo pattuito col contratto preliminare.

Ciò acquista rilievo in quanto, a mente dell’articolo 2932 – secondo comma – codice civile, “se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile”.

E nella specie, la Corte territoriale aveva rigettato la domanda ex art. 2932 c.c. “costituendone presupposto la riduzione del prezzo, per non essere stata offerta l’esecuzione della controprestazione contrattualmente posta a carico dei promissari acquirenti, ma una differente”.

Ed è proprio su questo punto che interviene la decisione della Suprema Corte in rassegna secondo cui, invece, l’offerta del prezzo prevista dal secondo comma dell’art. 2932 c.c. deve ritenersi non necessaria ove il pagamento, quale che risulti il prezzo ancora dovuto all’esito dell’accertamento sull’esistenza dei vizi della cosa venduta, non sia esigibile prima della conclusione del contratto definitivo.

E difatti, da un punto di vista logico, una volta ammessa la proponibilità di entrambe le domande, sarebbe davvero illogico condizionare il trasferimento giudiziale dell’immobile all’offerta del prezzo come da preliminare e, quindi, ancor prima ed a prescindere dall’accertamento sulla sussistenza e/o quantificazione dei lamentati vizi.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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