Correzione e revocazione della sentenza di cassazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. si basano sul comune presupposto di un errore, rispettivamente, materiale o di calcolo ovvero di percezione del fatto, nei limiti in cui questo è conoscibile dalla Corte stessa. Errore nell’un caso di tipo redazionale, che non incide sul contenuto concettuale della decisione, ma si concretizza in una divergenza fra l’ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica; nell’altro cagionato da una vista che, a sua volta, produce l’affermazione o la negazione, contraria al vero, di elementi decisivi per risolvere una data questione. In entrambi i casi, tuttavia, l’errore è ascrivibile in maniera diretta ed esclusiva alla Corte di cassazione, restandone del tutto estranea la parte. Qualora, viceversa, l’errore denunciato risieda nello stesso ricorso per cassazione, e solo di riflesso si è propagato alla sentenza, inducendo in essa una falsa rappresentazione che non avrebbe potuto verificarsi altrimenti, ne deriva che, non diversamente dalla critica all’interpretazione di un motivo o di un qualsivoglia altro atto processuale, detta censura allega verso la sentenza impugnata un vizio di valutazione che non è né ostativo né percettivo, ma di esclusiva natura logica, e come tale esso si colloca al di fuori dello schema dell’art. 391-bis c.p.c.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 21703 del 26 ottobre 2015
Il caso
Una signora proponeva ricorso per revocazione o per correzione, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., contro una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, con la quale, tra l’altro, era stato respinto il ricorso proposto avverso il decreto emesso dalla Corte d’appello, adita dalla medesima ricorrente e da altri ai sensi della legge n. 89/01.
La suddetta sentenza respingeva il ricorso della ricorrente rilevando che il suo nominativo non figurava tra quelli dei soggetti ricorrenti nell’ambito del giudizio presupposto.
I motivi del ricorso
A sostegno del ricorso per revocazione/correzione, la ricorrente deduce la circostanza che nel ricorso ordinario per cassazione contro il decreto della Corte territoriale il nome della ricorrente era stato trascritto sotto altro nome per mero errore materiale. Lo dimostrerebbe – prosegue la ricorrente – il fatto che
- a) il codice fiscale riportato nel ricorso corrispondeva a quello della ricorrente;
- b) nel corpo di tale atto era correttamente riportato il suo nominativo;
- c) la procura speciale ad esso allegata confermava la corretta indicazione dei dati anagrafici della ricorrente.
Nel merito della domanda, deduceva che le ragioni che avevano condotto all’accoglimento del ricorso per cassazione proposto da altra ricorrente del giudizio presupposto erano comuni alla posizione della ricorrente, quale vedova del proprio coniuge, non essendo stata specificamente contestata la qualità di erede spesa nel procedimento ex lege n. 89/01. Il ricorso viene ritenuto infondato.
L’errore materiale, l’errore di valutazione e l’errore revocatorio delle sentenze civili emesse dalla Suprema Corte.
Ricordano i giudici di piazza Cavour che in tema di impugnazioni civili, mentre l’errore del giudice che si estrinseca nell’erronea manifestazione della volontà — di tipo ostativo — è rimediabile in sede di correzione, l’errore vizio rileva o come errore di valutazione (o vizio logico), denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5, c.p.c., ovvero come errore revocatorio, consistente, ove commesso dalla Corte di Cassazione, nell’erronea percezione degli atti di causa (e in particolare nella supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita), sempre che l’evento su cui cade l’errore non abbia costituito un punto controverso in ordine al quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunziato (artt. 391-bis e 395, primo comma n. 4, c.p.c.) (Cass. n. 7647/05).
Il principio di diritto
Correzione e revocazione della sentenza di cassazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. – proseguono gli Ermellini – si basano, dunque, sul comune presupposto di un errore, rispettivamente, materiale o di calcolo ovvero di percezione del fatto, nei limiti in cui questo è conoscibile dalla Corte stessa. Errore nell’un caso di tipo redazionale, che non incide sul contenuto concettuale della decisione, ma si concretizza in una divergenza fra l’ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica (ed allora si dà correzione: cfr. Cass. n. 17977/05); nell’altro cagionato da una vista che, a sua volta, produce l’affermazione o la negazione, contraria al vero, di elementi decisivi per risolvere una data questione (nel qual caso è esperibile il rimedio della revocazione: cfr. Cass. n. 3494/13).
In entrambi i casi, tuttavia – sempre a giudizio della Suprema Corte – l’errore è ascrivibile in maniera diretta ed esclusiva alla Corte di cassazione, restandone del tutto estranea la parte.
Nella fattispecie, invece – proseguono gli Ermellini – l’errore denunciato risiede nello stesso ricorso per cassazione, e solo di riflesso si è propagato alla sentenza, inducendo in essa una falsa rappresentazione (lo scambio di cognome) che non avrebbe potuto verificarsi altrimenti.
Nell’articolo 391-bis cpc non vi è spazio per l’errore valutativo.
Le osservazioni svolte nel ricorso ex art. 391-bis c.p.c. tendono allora a dimostrare – a parere dei giudici di legittimità – sia la natura materiale dell’errore commesso dalla difesa della ricorrente, sia la possibilità che la Suprema Corte ne scoprisse l’esistenza attraverso il raffronto di diversi elementi processuali. Ne deriva – concludono i giudici di piazza Cavour – che, non diversamente dalla critica all’interpretazione di un motivo o di un qualsivoglia altro atto processuale, anche dette censure allegano verso la sentenza impugnata un vizio di valutazione che non è né ostativo né percettivo, ma di esclusiva natura logica. E come tale esso si colloca al di fuori dello schema dell’art. 391-bis c.p.c. sopra delineato. Ne segue il rigetto del ricorso.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna offre interessanti spunti di riflessione in quanto si sofferma, contemporaneamente, sugli errori di tipo materiale, revocatorio e valutativo.
Nel ricordare che nell’articolo 391-bis c.p.c. non vi è spazio per tale ultimo tipo di errore, la Suprema Corte evidenzia che qualora l’errore, pur di tipo materiale, sia stato commesso non dalla Corte ma dalla stessa parte ricorrente, e, solo indirettamente, abbia interessato la sentenza, la richiesta di correzione allega un vizio di valutazione che, non essendo né ostativo né percettivo, non può trovare asilo nella richiamata disposizione dell’articolo 391-bis c.p.c.
Come dire che se la Corte ha errato perché indotta in errore dallo stesso ricorrente, non vi è spazio alcuno per azionare la procedura ex art. 391-bis c.p.c. né sotto il profilo della correzione dell’errore materiale, né sotto il diverso profilo dell’errore revocatorio.
La doglianza rientrerebbe, tutt’al più, astrattamente, nel motivo ex art. 360, primo comma n. 5, c.p.c.. Ma la doglianza sarebbe comunque inammissibile ove proposta avverso le sentenze emesse dalla Suprema Corte, non essendo previsto un simile rimedio.
L’interpretazione fornita dalla Suprema Corte, apparentemente rigorosa ma logicamente e giuridicamente corretta, tende ad evitare che una diversa e meno rigorosa interpretazione possa indurre la parte soccombente, sfruttando la disposizione ex art. 391-bis c.p.c., a chiedere la correzione di errori materiali da cui è affetta la sentenza ma che essa stessa ha provocato.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)