Lo ha stabilito la suprema Corte di Cassazione, sez. VI civile con sentenza 4 marzo 2015, n. 4437
Il caso
Un soggetto proponeva ricorso alla Corte di appello al fine di ottenere il riconoscimento di un indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in relazione all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55, in relaziona alla eccessiva durata di un processo amministrativo.
La Corte di appello dichiarava inammissibile il ricorso in quanto la domanda riguardava non l’intera durata del giudizio, bensì solo la frazione relativa ad un grado (e precisamente al grado di appello). E difatti, solo in tale grado di era verificato lo sforamento del termine, mentre nessun sforamento si era verificato in primo grado.
Da qui il ricorso per cassazione
Il ricorrente si duole delle violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 legge n. 89/01 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83/12 convertito in legge n. 134/12) e dell’art. 112 c.p.c. in quanto nel ricorso introduttivo egli avrebbe specificato che la fase relativa al primo grado non aveva comportato alcuno sforamento del termine di durata ragionevole indicando la relativa durata Lo sforamento era avvenuto solo per la fase di appello, e pertanto esso ricorrente solo relativamente a tale fase aveva articolato la relativa domanda. E ciò sul presupposto che “rientra nella disponibilità della parte limitare la propria domanda al solo grado che abbia avuto una durata eccedente il limite di ragionevolezza, fermo restando che compete al giudice considerare la complessiva durata del giudizio, in tutti i gradi e le fasi in cui questo si sia articolato, al fine di valutare la fondatezza della domanda, senza che ciò implichi una divergenza tra il chiesto e il pronunciato”.
Secondo la Suprema Corte il motivo è fondato in quanto “in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, pur essendo possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest’ultimo sia stato articolato in vari gradi e fasi, agli effetti dell’apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, occorre avere riguardo all’intero svolgimento del processo medesimo, dall’introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva dell’unico processo da considerare nella sua complessiva articolazione”.
Cosa non può fare il ricorrente…
La parte che chiede l’indennizzo non può limitare la propria domanda ad una sola fase o grado del giudizio, optando per quello nell’ambito del quale si sia prodotta una protrazione oltre il limite della ragionevolezza (così e per tutte, Cass. n. 14786/13). E quindi non può frazionare la domanda quante volte tale opzione sia diretta a falsare il giudizio finalizzato all’applicazione della legge c.d. Pinto, cioè ad impedire che la durata più che ragionevole di un grado possa compensare quella eccedente di un altro.
… e cosa può fare il ricorrente
Secondo la Suprema Corte, una volta che la parte abbia fornito tutti gli elementi utili alla valutazione della durata dell’intero giudizio, potrà poi ridurre la propria pretesa, potendo, per converso il giudice effettuare una valutazione complessiva della durata del giudizio, poiché il divieto di pronunciarsi ultra o extra petita gli impedisce soltanto di porre a base della decisione fatti non allegati.
In conclusione
In tema di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo la parte attrice può disporre del quantum della domanda, ma non dell’allegazione dei fatti storico-normativi che ne condizionano l’ammissibilità, nel senso che tali fatti essa non può selezionare e tacere a suo piacimento senza incorrere nella relativa sanzione. La parte, pertanto, ha l’onere di precisare l’intera durata del giudizio presupposto, inclusi i gradi e le fasi di durata conforme agli standand di ragionevolezza. Assolto che sia tale onere, il giudice deve procedere alla valutazione unitaria della durata del processo, anche se nel formulare la domanda la parte si sia precipuamente riferita ai soli segmenti processuali in cui, a suo avviso, sarebbe stato superato il limite di durata ragionevole.
E poiché, nella specie, il ricorrente aveva indicato anche la durata del primo grado di giudizio, ha posto il Giudice nelle condizioni di poter valutare compiutamente se vi fosse stato uno sforamento o meno. Viceversa, secondo la Corte Suprema, la Corte territoriale, “supponendosi erroneamente vincolata per effetto della formulazione della domanda a valutare la sola durata del grado d’appello, ha tratto l’altrettanto errata conclusione che la domanda fosse stata strumentalmente frazionata in violazione dei principi più volte enunciati da questa Corte”.
Per questi motivi, la Corte cassa con rinvio ad altra sezione della Corte la quale dovrà attenersi al seguente
Principio di diritto
“Anche in tema di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo la parte attrice può disporre del quantum della domanda, ma non dell’allegazione dei fatti storico-normativi che ne condizionano l’ammissibilità, nel senso che tali fatti essa non può selezionare e tacere a suo piacimento senza incorrere nella relativa sanzione. La parte, pertanto, ha l’onere di precisare l’intera durata del giudizio presupposto, inclusi i gradi e le fasi di durata conforme agli standand di ragionevolezza. Assolto che sia tale onere, il giudice deve procedere alla valutazione unitaria della durata del processo, anche se nel formulare la domanda la parte si sia precipuamente riferita ai soli segmenti processuali in cui, a suo avviso, sarebbe stato superato il limite di durata ragionevole“.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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