La domanda “ultratardiva” può essere presentata allorchè il creditore «prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile», ma non è prevista la decorrenza di alcun nuovo termine annuale allorché sia cessata la causa di giustificazione del ritardo del creditore. In ogni caso, se è onere del creditore istante giustificare il ritardo, non potrebbe bastare una giustificazione che non comprenda tutto il ritardo: se quest’ultimo è giustificato dall’ignoranza dell’apertura del fallimento dovuta alla mancanza dell’avviso di cui all’art. 92 legge fallim., una volta che tale ignoranza sia venuta meno, grazie al ricevimento dell’avviso tardivo, l’ulteriore ritardo dovrà logicamente trovare giustificazione in altre ragioni, tra le quali rientra certamente quella derivante dall’esigenza di disporre del tempo necessario per valutare l’opportunità di proporre l’istanza di ammissione al passivo e poi di presentarla. Non è possibile indicare in astratto quale sia il tempo necessario per la valutazione e la presentazione dell’istanza ultratardiva da parte del creditore, dovendo siffatto accertamento essere effettuato in concreto in base alle particolarità di ciascun caso, secondo un criterio di ragionevolezza la cui applicazione è rimessa al giudice.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 23975 del 24 novembre 2015
Il caso
Il Tribunale di Treviso ha respinto l’opposizione proposta da un Istituto di credito avverso la declaratoria d’inammissibilità della propria domanda “ultratardiva” (ai sensi dell’art. 101, ult. comma, ult. parte, legge fallim.) di ammissione al passivo del fallimento di una società.
Ha ritenuto, infatti, che, pur avendo la banca ricevuto l’avviso dell’apertura della procedura fallimentare, ai sensi dell’art. 92 legge fallim., soltanto il 3 gennaio 2012, allorché era già scaduto il termine annuale di cui all’art. 101, primo comma, della stessa legge, aveva tuttavia poi atteso più di 9 mesi e mezzo per la presentazione dell’istanza di ammissione al passivo, effettuata soltanto il 22 ottobre 2012, e non aveva dato alcuna giustificazione di questo ulteriore ritardo, tenuto conto che il legislatore ha valutato che novanta giorni siano un tempo ragionevole per presentare la domanda tempestiva (arg. ex art. 16, nn. 4 e 5, legge fallim.).
La banca ha proposto ricorso per cassazione articolando un solo motivo di censura illustrato anche con memoria. Il curatore fallimentare intimato non ha svolto difese.
Il motivo del ricorso per cassazione.
Con l’unico motivo di ricorso l’Istituto di credito denuncia violazione degli artt. 92, 101 e 112 legge fallita. Il ricorrente sostiene che il termine limite di dodici o diciotto mesi previsto dal primo comma dell’art. 101, cit., per la presentazione delle istanze d’insinuazione tardive, ha come presupposto l’avvenuta tempestiva comunicazione di cui all’art. 92, «decorrendo necessariamente dal ricevimento di una siffatta comunicazione».
La limitazione, affermata dal Tribunale, a soli novanta giorni del termine per presentare la domanda una volta ricevuto l’avviso violerebbe, altresì, l’art. 112 legge fallim., che prevede, per la presentazione delle istanze ultratardive giustificate, il solo limite del completamento del riparto dell’attivo, e in ogni caso sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., «attesa la disparità di trattamento in tale modo introdotta tra creditori non tempestivi».
Per la Suprema Corte il motivo non merita accoglimento.
Sostengono gli Ermellini che è errato affermare che il termine di dodici (o sino a diciotto) mesi di cui al primo coma – richiamato dall’ultimo – dell’art. 101 legge fallim. decorra dalla data di ricevimento dell’avviso di cui all’art. 92, perché invece il comma in questione esplicitamente fissa tale decorrenza dalla data del deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.
Che, poi, possa ritenersi dipendente da causa non imputabile al creditore, ai sensi dell’ultimo comma, ultima parte, dell’art. 101, il ritardo dovuto all’ignoranza dell’apertura del fallimento per l’omissione del relativo avviso da parte del curatore, è affermazione condivisibile e condivisa da vari precedenti della Corte di legittimità (cfr. Cass. 4310/2012, e Cass. 9322/2013; Cass. 4735/1979 e Cass. 11969/1999, in base al quale l’incolpevolezza del ritardo dell’insinuazione rilevava ai soli fini delle spese, ai sensi degli artt. 101, comma quarto, e 112). Ma da tale affermazione non può ricavarsi – proseguono gli Ermellini -, a mo’ di corollario, la giustificazione di qualsiasi ritardo dell’insinuazione anche allorché l’avviso non già sia stato omesso, ma sia solo tardato a sua volta, o quantomeno la giustificazione del ritardo non superiore a un anno dal ricevimento dell’avviso, come sostiene la ricorrente.
Tale giustificazione – chiariscono i giudici di legittimità – non è una conseguenza logica necessaria della giustificazione del ritardo da totale omissione dell’avviso, ma dovrebbe trovare fondamento in ulteriori considerazioni, che non è dato però rinvenire.
Difatti, secondo i giudici di piazza Cavour – l’ultimo comma, ultima parte, dell’art. 101 legge fallim. si limita a consentire la presentazione dell’istanza “ultratardiva” da parte del creditore allorché quest’ultimo «prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile», e non prevede la decorrenza di alcun nuovo termine annuale allorché sia cessata la causa di giustificazione del ritardo del creditore, come presuppone la ricorrente.
Inoltre, se è onere del creditore istante giustificare il ritardo, non potrebbe bastare una giustificazione che non comprenda tutto il ritardo: se quest’ultimo è giustificato dall’ignoranza dell’apertura del fallimento dovuta alla mancanza dell’avviso di cui all’art. 92 legge fallim., come nell’ipotesi sottoposta all’esame della Suprema Corte, una volta che tale ignoranza sia venuta meno, grazie al ricevimento dell’avviso tardivo, l’ulteriore ritardo dovrà logicamente trovare giustificazione in altre ragioni. Tra le quali rientra certamente quella derivante dall’esigenza di disporre del tempo necessario per valutare l’opportunità di proporre l’istanza di ammissione al passivo e poi di presentarla; ma pretendere che il creditore disponga comunque di un altro anno, o diverso periodo di tempo, per provvedervi, a prescindere da un effettivo impedimento a una più sollecita presentazione della domanda, significherebbe tradire la lettera e il senso della norma che richiede la giustificazione del ritardo.
Il tempo necessario per la presentazione della ultratardiva va valutato in concreto caso per caso.
Né è possibile indicare – continuano gli Ermellini – in astratto quale sia il tempo necessario per la valutazione e la presentazione, di cui si è appena detto, da parte del creditore. E’ questo, infatti, un apprezzamento che non può effettuarsi se non in concreto, in base alle particolarità di ciascun caso, secondo un criterio di ragionevolezza la cui applicazione è rimessa al giudice (in tal senso va dunque rettificata la motivazione in diritto del decreto impugnato, che indica in astratto il termine di novanta giorni). L’inevitabile elasticità di tale criterio non costituisce seria controindicazione, rientrando l’applicazione di norme elastiche o standard valutativi nell’ordinario svolgimento della funzione giurisdizionale. Del resto, con riguardo al tema in esame, è lo stesso legislatore a dimostrare, prevedendo appunto la derogabilità del termine in presenza di cause di non imputabilità genericamente indicate, di posporre le esigenze di certezza a quelle di aderenza alla particolarità del caso concreto.
L’interpretazione fornita dalla Corte Suprema non viola il principio di uguaglianza
Tantomeno la tesi sostenuta – concludono i giudici di legittimità – viola il principio costituzionale di uguaglianza, come denunciato dal ricorrente sul presupposto che ad alcuni creditori – quelli tempestivamente avvisati dal curatore – sarebbe concesso un tempo più lungo per presentare la domanda tardiva, rispetto a coloro cui l’avviso sia fatto con ritardo. Così ragionando, infatti, si trascura di considerare che secondo la legge il termine decorre per tutti i creditori dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e che le vicende dell’avviso della pendenza della procedura fallimentare rilevano soltanto ai fini e nei limiti della giustificazione del superamento di tale termine; tenuto conto, peraltro, che la notorietà della dichiarazione del fallimento non è affidata al solo avviso in questione, ma anche a una specifica pubblicità, quale l’annotazione nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 17, commi secondo e terzo, legge fallimentare. Da qui il rigetto del ricorso
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna detta un principio di notevole interesse in materia fallimentare a proposito delle ultratardive.
Invero, può accadere che un creditore della società fallita non venga avvisato tempestivamente della sussistenza della procedura. Verificandosi tale situazione, quando scade il termine per la presentazione della ultratardiva?
Il principio espresso sul punto dalla sentenza in rassegna è chiaro: non vi è un termine, ma è onere del creditore istante giustificare il ritardo. Ritardo che dovrà logicamente trovare giustificazione in altre ragioni, tra le quali rientra certamente quella derivante dall’esigenza di disporre del tempo necessario per valutare l’opportunità di proporre l’istanza di ammissione al passivo e poi di presentarla.
In mancanza di valida giustificazione, l’ultratardiva rischia di essere dichiarata inammissibile, come avvenuto nella specie.
In disparte, non può non evidenziarsi come, apertasi la procedura fallimentare, vi siano dei termini ristretti per l’esercizio di facoltà e di diritti in capo ai creditori. Termini ristretti giustificati dalla natura della procedura ma che nei fatti mal si conciliano con i tempi (lunghi) di definizione delle procedure fallimentari.
Intanto, se è pur vero che la dichiarazione di fallimento viene annotata nel registro delle imprese, tale forma di pubblicità non consente una sicura conoscibilità in capo a tutti i creditori.
Inoltre, il termine di tre mesi ritenuto congruo per la presentazione della ultratardiva mal si concilia con il più lungo termine previsto per l’esercizio dei diritti – in via generale- nelle forme ordinarie.
Se poi si considera che:
- il creditore, se non viene avvisato, non ha un termine certo che lo possa garantire da una eventuale pronunzia di inammissibilità della ultratardiva;
- il creditore che ha un giudizio pendente in primo grado, giudizio interrotto per il fallimento della controparte, deve riproporre la domanda innanzi il giudice fallimentare;
- il creditore che è parte in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo durante il quale interviene il fallimento dell’ingiunto, deve, anche in tale ipotesi, riproporre la domanda in sede fallimentare e, qualora in forza del decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, abbia iscritto ipoteca, perde la garanzia (in assenza della dichiarazione di esecutorietà sul decreto ingiuntivo)
si può concludere che (almeno questa è la sensazione) le norme in ambito fallimentare tutelino più il fallito (e gli organi della procedura) che i creditori.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell (www.clouvell.com)