Deposito di atti in cancelleria mediante spedizione in plico raccomandato

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L’invio a mezzo posta dell’atto processuale destinato alla cancelleria – al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione – realizza un deposito dell’atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non deve necessariamente essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un nuncius, può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.: in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell’atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione.

Lo ha stabilito la Suprema Corte Suprema di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 12509 del 17 giugno 2015

Deposito di atti in cancelleria mediante spedizione in plico raccomandato

Deposito di atti in cancelleria mediante spedizione in plico raccomandato

Il caso

Il Giudice di pace di Bella, accogliendo la domanda proposta da un messo comunale, ha condannato il Ministero dell’interno a pagare alla attrice la somma di Euro 1.092,75 oltre interessi legali, a titolo di rimborso spese per l’attività dallo stesso espletata, in qualità proprio di messo comunale, per la notifica dei certificati elettorali in occasione delle elezioni per il Parlamento europeo del 13.6.1999.

Il giudice di pace ha ritenuto non rituale, in quanto effettuata a mezzo posta, la costituzione in giudizio del Ministero convenuto, dichiarato contumace. Il Ministero dell’interno ha proposto appello ed il Tribunale di Potenza ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello in considerazione del fatto che la sentenza impugnata doveva ritenersi resa secondo equità, in relazione al valore della domanda non superiore a Euro 1.100,00, e quindi non appellabile.

In particolare, a questa conclusione, il giudice è pervenuto dopo avere rilevato che doveva ritenersi irrituale e giuridicamente inesistente la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, dato che, come era documentato in atti, la comparsa di costituzione era stata trasmessa alla cancelleria a mezzo posta, senza che potesse attribuirsi rilievo all’apposizione da parte del cancelliere dell’attestazione “depositato” invece che dell’attestazione, più fedelmente descrittiva della realtà, “pervenuto in cancelleria”.

Sempre secondo il Tribunale di Potenza, una diversa interpretazione sarebbe in radicale contrasto con l’art. 319 c.p.c. (che utilizza il termine “deposito” e non quello di “consegna”) e con il più generale principio relativo al deposito degli atti processuali e che, inoltre, una diversa conclusione non sarebbe giustificata dalle sentenze della Corte costituzionale 520 del 2002 e 98 del 2004, che hanno introdotto nell’ordinamento la possibilità di una costituzione in giudizio a mezzo posta con riferimento al giudizio tributario e a quello di opposizione a sanzioni amministrative, in ragione delle specifiche peculiarità di tali giudizi.

Difatti, secondo il Tribunale, la previsione da parte del codice di una specifica forma per la costituzione in giudizio renderebbe inapplicabile il principio di libertà di forma e la circostanza che la forma, nella specie adottata, fuoriusciva del tutto dallo schema procedimentale di legge avrebbe reso inapplicabili i limiti alla dichiarabilità della nullità posti dagli artt. 156 e 157 c.p.c..

Di conseguenza la domanda riconvenzionale, contenuta nella comparsa di costituzione, doveva essere considerata tamquam non esset e ininfluente ai fini del valore della controversia.

Da qui il ricorso per cassazione.

Il Ministero ha premesso che con la comparsa di costituzione in giudizio, inviata a mezzo posta a causa dell’elevato numero dei procedimenti incardinati, esso aveva tra l’altro proposto domanda riconvenzionale, diretta a conseguire un accertamento con efficacia di giudicato in merito alla non spettanza del diritto al rimborso spese per le notificazioni dei certificati elettorali effettuate dall’attore su richiesta del Ministero dell’interno, durante l’intero rapporto di lavoro alle dipendenze del Comune (e ha aggiunto che il giudice di pace avrebbe dichiarato l’inammissibilità della domanda riconvenzionale per difetto di connessione con quella principale).

I motivi di ricorso

Con il primo motivo di ricorso il Ministero denuncia l’erronea declaratoria di inesistenza della propria costituzione in giudizio in primo grado e della riconvenzionale in tale sede proposta, con violazione dell’art. 24 Cost., degli artt. 156 e 157 c.p.c., art. 161 c.p.c., comma 2, e art. 319 c.p.c., censurando la statuizione del Tribunale sulla contumacia del Ministero nel primo grado di giudizio.

In detto motivo, il Ministero sostiene che, contro la lettura dell’art. 319 c.p.c. offerta dal giudice di appello, militerebbero argomentazioni letterali e sistematiche:

Il principio di libertà delle forme.

Per il Ministero, dal principio di libertà delle forme deriverebbe che tutte le forme degli atti del processo sono previste non per la realizzazione di un fine proprio ed autonomo, ma allo scopo del raggiungimento di un certo risultato, con la conseguenza che l’eventuale inosservanza della prescrizione formale sarebbe irrilevante se l’atto viziato raggiunge ugualmente lo scopo cui era destinato. E che, ancora, l’art. 319 c.p.c prevede il deposito degli atti in cancelleria ma non ne specificherebbe il quomodo (in particolare non sarebbe richiesto il contatto interpersonale tra depositante e cancelliere e del resto il ricorso al mezzo postale non pregiudicherebbe le esigenze di controllo e semmai risponderebbe a ragioni di maggiore certezza, tanto da essere utilizzato per le notificazioni). Infine, la necessità del rispetto dell’art. 24 Cost. avrebbe indotto la Corte costituzionale ad ammettere la costituzione in giudizio a mezzo posta, peraltro prevista anche nel giudizio di cassazione, mentre il giudice a quo l’avrebbe qualificata addirittura come inesistente.

Gli elementi valorizzati dalla Corte Costituzionale.

La Corte costituzionale avrebbe valorizzato una serie di elementi oggettivi (come la circostanza che lo strumento postale è largamente usato dalla parte pubblica, specie per le comunicazioni e notificazioni), i quali travalicano i confini del processo tributario e si collegano con le esigenze di celerità, semplificazione e certezza dell’attività amministrativa (L. n. 241 del 1990, art. l); inoltre, è tipica del processo telematico l’impersonalità dell’atto di deposito e che, a norma dell’art. 4 della L. n. 422 del 1999, di ratifica ed esecuzione della convenzione relativa alla notifica degli atti negli stati membri dell’Unione europea la «trasmissione degli atti può essere effettuata con qualsiasi mezzo»; che, del resto, poiché il deposito degli atti sarebbe privo di qualsiasi contenuto volitivo, in mancanza di specifiche esigenze dovrebbe essere irrilevante il soggetto che materialmente proceda alla consegna, come ritenuto dalla Corte costituzionale, e non potrebbe negarsi che, come osservato dalla giurisprudenza, nei processi davanti ai giudici di pace vigerebbe la massima libertà di forme per la costituzione in giudizio (diversamente che nel rito del lavoro); che dovrebbe poi darsi rilievo all’intervenuto raggiungimento dello scopo, avendo il cancelliere ricevuto il fascicolo e avendo valutato regolare il suo contenuto e il suo deposito.

Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte.

Per i giudici di piazza Cavour, circa gli effetti di una costituzione in giudizio effettuata mediante l’invio in cancelleria dell’atto difensivo a mezzo del servizio postale, l’invio a mezzo posta dell’atto processuale destinato alla cancelleria – al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione – realizza un deposito dell’atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non deve necessariamente essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un nunclus, può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.: in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell’atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione.  Da qui, l’accoglimento del ricorso.

Una breve riflessione.

La sentenza in argomento riveste una notevolissima importanza in quanto colma una evidente lacuna normativa, sia pure con i limiti conseguenti, per l’appunto, alla assenza di una specifica disciplina.

Difatti, sembra davvero paradossale che nei procedimenti in materia di sanzioni amministrative, nei procedimenti tributari e nei procedimenti dinanzi alla Corte di cassazione (civile) sia possibile costituirsi mediante la spedizione di un plico raccomandato, ed invece ciò non sia previsto in relazione ai depositi avanti le altre autorità giudiziarie.

In un’era in cui si parla di notifiche telematiche ed in cui la gran parte delle notifiche vengono effettuate a mezzo del servizio postale, sembra davvero anacronistico che innanzi una qualunque autorità giudiziaria diversa dalle tre soprarichiamate debba esserci un contatto diretto o, e si preferisce, fisico, tra il depositante ed il cancelliere.

E la Suprema Corte ha avvertito tale problema, tanto da fornire una interpretazione per così dire “adeguatrice”.

Certo, il problema resto in quanto, come precisano gli stessi giudici di legittimità, pur se il deposito può avvenire a mezzo posta, esso si considererà effettuato nella data in cui il plico è pervenuto alla cancelleria e non nel diverso ed antecedente termine in cui il plico è stato spedito.

Notazione non di poco conto se si considera che, quasi sempre, le costituzioni vengono effettuate a ridosso dei termini per il deposito e, pertanto, difficilmente di tale sistema se ne serviranno gli avvocati, anche perché non viene garantito un termine di consegna certo.

Resta da chiedersi come mai non sia intervenuto il legislatore a colmare tale gap. Basterebbe una norma che estenda l’applicabilità, a tutti i tipi di giudizio, di un sistema già previsto, come sopra detto, per i giudizi in materia di sanzioni amministrativi, giudizi tributari ed innanzi la Suprema Corte di Cassazione.

Basterebbe una norma che preveda che il deposito si consideri perfezionato alla data di spedizione del plico raccomandato per evitare lunghe code nelle cancellerie del giudice di pace (non essendo ancora previsto ivi il deposito telematico).

Sembra veramente incredibile che il deposito innanzi la Corte di cassazione possa avvenire a mezzo posta, in materia civile, mentre debba avvenire personalmente in materia penale.

O ancora che i depositi innanzi le autorità giudiziarie amministrative debbano avvenire personalmente ad opera del depositante che deve incontrare fisicamente il cancelliere.

Dunque, una eterogeneità di discipline che crea disorientamento e perplessità. Uno spreco di risorse che potrebbe essere evitato con la introduzione di una sola norma che generalizzi la possibilità di deposito di atti giudiziari tramite posta.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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