Decreto Balduzzi e colpa medica: il perimetro della responsabilità penale

Download PDF

Decreto Balduzzi e colpa medica: l’indagine sulla correttezza della condotta medica potrà esulare dall’ambito segnato da accreditate direttive scientifiche. Ciò potrà senz’altro accadere quando tali direttive manchino o quando la questione di cui si discute nel processo concerna comunque un aspetto del trattamento che esuli dal tema dell’aderenza alle ridette linee guida. Inoltre, il decreto Balduzzi non può trovare applicazione alle sole ipotesi in cui il parametro è la imperizia, ma anche alle ipotesi in cui il parametro valutativo è la diligenza: dunque, la nuova normativa non si applica ai soli casi di particolare difficoltà.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione penale sez. IV – con sentenza 9 ottobre 2014 n.47289

Decreto Balduzzi e colpa medica

Decreto Balduzzi e colpa medica

Il caso affrontato dalla Suprema Corte di cassazione riguarda una ipotesi di responsabilità medica.

La Suprema Corte, dopo aver ravvisato la sussistenza di colpa a carico del sanitario, ha censurato la sentenza impugnata per quanto riguarda la ritenuta inapplicabilità della già evocata innovazione legislativa che esonera da responsabilità il terapeuta, in caso di colpa lieve, quando egli si sia attenuto ad accreditate linee guida o ad affidabili pratiche terapeutiche.

Il tema è stato già diffusamente esaminato dalla Suprema Corte (Sez. 4, Cantore, 29/01/2013, Rv. 255105).

In detta sentenza si era specificato che il sanitario è esente da responsabilità se versa in colpa lieve ma si sia attenuto alle linee guida del sapere scientifico accreditato.

Secondo la Suprema Corte “il non chiaro senso della normativa è stato esplicitato considerando, per risolverne l’apparente contraddittorietà, che potrà ben accadere che il professionista si orienti correttamente in ambito diagnostico o terapeutico, si affidi cioè alle strategie suggeritegli dal sapere scientifico consolidato, inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali e tuttavia, nel concreto farsi del trattamento, commetta qualche errore pertinente proprio all’adattamento delle direttive di massima alle evenienze ed alle peculiarità che gli si prospettano nello specifico caso clinico. In tale caso, la condotta sarà soggettivamente rimproverabile, in ambito penale, solo quando l’errore sia non lieve”.

Il sanitario è esente da responsabilità se versa in colpa lieve anche quando si sia dovuto discostare, per specifici motivi suggeriti dal caso concreto, dalle linee guida.

Difatti, sempre secondo la Suprema Corte, “potrà pure accadere che, sebbene in relazione alla patologia trattata le linee guida indichino una determinata strategia, le già evocate peculiarità dello specifico caso suggeriscano addirittura di discostarsi radicalmente dallo standard, cioè di disattendere la linea d’azione ordinaria. Una tale eventualità può essere agevolmente ipotizzata, ad esempio, in un caso in cui la presenza di patologie concomitanti imponga di tenere in conto anche i rischi connessi alle altre affezioni e di intraprendere, quindi, decisioni anche radicalmente eccentriche rispetto alla prassi ordinaria. Anche in tale ambito trova applicazione la nuova normativa”.

Pertanto, il decreto Balduzzi andrà anche applicato non solo nella ipotesi il cui il professionista inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali con riguardo ad una patologia, ma anche quando non persegua correttamente l’adeguamento delle direttive allo specifico contesto, o non scorga la necessità di disattendere del tutto le istruzioni usuali per perseguire una diversa strategia che governi efficacemente i rischi connessi al quadro d’insieme. Sempre, ovviamente, purchè versi in colpa lieve.

Dunque, “alla stregua della nuova legge, le linee guida accreditate operano come direttiva scientifica per l’esercente le professioni sanitarie; e la loro osservanza costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamento del sapere codificato alle peculiarità contingenti”.

Il decreto Balduzzi, la imperizia e la negligenza del sanitario.

La decisione citata (Cass. civ. Sez. 4, Cantore, 29/01/2013, Rv. 255105) è stata sviluppata attorno al terreno della imperizia.

Si ha imperizia quando la condotta del medico è incompatibile con quel livello minimo di cognizione tecnica, di cultura, di esperienza e di capacità professionale, che costituiscono il presupposto necessario per l’esercizio della professione medica (Cassazione penale, Sez. IV, 16.02.1987).

Con la sentenza in argomento (Cass. 47289/2014), invece, la Suprema Corte ha ritenuto che “non può tuttavia escludersi che le linee guida pongano regole rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza; come nel caso in cui siano richieste prestazioni che riguardino più la sfera della accuratezza di compiti magari non particolarmente qualificanti, che quella della adeguatezza professionale”.

Si ha negligenza quando il medico, per disattenzione o per superficialità, non rispetti quelle norme comuni di diligenza che è legittimo attendersi da persona abilitata all’esercizio della professione medica e che sono osservate dalla generalità dei medici.

Pertanto, il decreto Balduzzi non può trovare applicazione ai soli casi di particolare difficoltà.

Secondo la Suprema Corte occorre di volta in volta di:

  1. individuare la causa dell’evento,
  2. individuare il rischio che in esso si è concretizzato,
  3. comprendere se la gestione di quello specifico rischio sia governata da linee guida qualificate,
  4. verificare se il professionista si sia ad esse attenuto,
  5. accertare se, nonostante tale complessivo ossequio ai suggerimenti accreditati, vi sia stato alcun errore e,
  6. accertare, in ipotesi affermativa, se l’errore sia rimarchevole o meno;
  7. valutare se una condotta terapeutica appropriata avrebbe avuto qualche qualificata probabilità di evitare l’evento.

In particolare:

  1. andrà preliminarmente chiarito se esistano linee guida accreditate e se esse siano state nel loro complesso seguite;
  2. occorrerà verificare se il terapeuta abbia posto in essere condotta gravemente colposa che possa fondare l’addebito.

La colpa e l’accertamento del relativo grado.

La Suprema Corte ha ritenuto che “il legislatore ha evidentemente utilizzato lo strumento costituito dal modellamento della colpa che si rinviene nella tradizione penalistica italiana proprio in tema di responsabilità medica”, operando una distinzione tra colpa lieve e colpa grave, distinzione che fa riferimento alle categorie della tradizione penalistica.

Né, d’altronde, il legislatore ha voluto definire la distinzione tra colpa lieve e colpa grave.

La Corte ricorda che nemmeno l’art. 133 del codice penale, che prevede che la misura della pena debba essere commisurata anche al grado della colpa, fornisce alcuna indicazione sui criteri che debbono presiedere a tale delicata valutazione. Del resto la graduabilità della colpa si desume anche dall’art. 43 c.p. e art. 61 c.p., n. 3 che configurano la colpa cosciente come un grado particolare e non come una figura autonoma di colpa.

Quando può individuarsi la colpa lieve?

  • Secondo la Suprema Corte “poichè la colpa costituisce la violazione di un dovere obiettivo di diligenza, un primo parametro attinente al profilo oggettivo della diligenza riguarda la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare cui ci si doveva attenere”.
  • In secondo luogo, occorrerà determinare la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell’agente. Quanto più adeguato il soggetto all’osservanza della regola e quanto maggiore e fondato l’affidamento dei terzi, tanto maggiore il grado della colpa. In particolare – prosegue la Corte – il quantum di esigibilità dell’osservanza delle regole cautelari costituisce fattore importante per la graduazione della colpa.
  • Altro elemento di rilievo sul piano soggettivo è quello della motivazione della condotta. Ad esempio, un trattamento terapeutico sbrigativo e non appropriato è meno grave se compiuto per una ragione d’urgenza.
  • Infine – conclude la Corte – un profilo soggettivo è costituito dalla consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa e, quindi, dalla previsione dell’evento.

 Nel caso in cui sussistano più di uno dei precedenti fattori, il giudice deve procedere alla ponderazione comparativa (di tali fattori), secondo un criterio di equivalenza o prevalenza non dissimile da quello che viene compiuto in tema di concorso di circostanze.

 L’analisi comparativa diviene ancora più complessa quando si presenti il concorso di colpa di più agenti o della stessa vittima. In ogni caso, la valutazione della colpa non potrà mancare di considerare la complessità e difficoltà dell’atto medico o chirurgico richiesto, ma è erroneo ritenere che la normativa esoneri da responsabilità solo in caso di speciale difficoltà del compito.

 Per tali motivi la Suprema Corte annulla la decisione nella parte in cui il giudice della sentenza impugnata aveva ritenuto che il decreto Balduzzi si applichi alle sole ipotesi in cui sia in gioco la speciale difficoltà dell’ars medica.

Per leggere la motivazione integrale della sentenza della Corte di Cassazione penale sez. IV 9 ottobre 2014 n.47289 clicca qui

Per leggere un altro articolo intitolato “Responsabilità penale del medico: riforma Balduzzi e criteri interpretativi” di Daria Perrone clicca sul link

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

Download PDF