I FATTI
Nel 2004 (attori Omissis) convenivano in giudizio (proprietario del mezzo Omissis) e la sua compagnia assicuratrice per la r.c.a, Lloyd Adriatico s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni tutti subiti a causa dell’incidente stradale a seguito del quale perdeva la vita (danneggiato Omissis), rispettivamente padre e figlio delle attrici, per esclusiva responsabilità di (conducente del mezzo Omissis), che aveva parcheggiato un autocarro, di proprietà di (proprietario del mezzo Omissis), lungo una strada statale in luogo ove la sosta non era consentita, tralasciando di segnalarne la sosta ed occupando in parte col veicolo la sede stradale, cosicché il (danneggiato Omissis), che sopraggiungeva al termine di un sorpasso, trovando la corsia di marcia parzialmente occupata dall’autocarro, non riusciva ad evitare l’impatto con esso.
Il Tribunale di Trieste, nel 2008, preliminarmente dichiarava la carenza di legittimazione attiva della (madre del danneggiato Omissis) e nel merito accoglieva in parte la domanda delle altre attrici, riconoscendo il concorso colposo della vittima nella misura del 75%, e condannando i convenuti risarcire alle figlie del (danneggiato Omissis) il danno non patrimoniale da esse sostenuto, per la percentuale del 25 % di loro competenza nella misura di 20.000,00 euro ciascuna.
La Corte d’Appello di Trieste, con la sentenza n.351\2011 depositata il 18 luglio 2011, qui impugnata, rigettava sia l’appello principale delle odierne ricorrenti che l’appello incidentale della compagnia di assicurazioni.
Le (attrici Omissis) propongono ricorso per la cassazione della predetta sentenza, articolato in sei motivi.
Resiste la Allianz s.p.a., conferitaria dell’azienda di LLoyd Adriatico s.p.a., con controricorso contenente ricorso incidentale articolato in due motivi.
Il (proprietario del mezzo Omissis), intimato, non ha svolto attività difensiva.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale
Il ricorso principale è caratterizzato da una tecnica redazionale ai limiti dell’inammissibilità, in quanto sembra non avere piena contezza dell’effettiva tipologia delle diverse e tassative ipotesi di ricorso per cassazione, riconducendo più volte il vizio di motivazione all’ipotesi di cui all’art. 360, primo comma n. 4, e la violazione di legge all’ipotesi di cui all’art. 360, primo comma n. 5.
Volendo superare tale profilo per passare all’esame del merito delle questioni prospettate, il ricorso non merita accoglimento.
Con il primo motivo di ricorso le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (vizio di ultrapetizione e inosservanza del principio di mancata contestazione), nonché la insufficienza e incoerenza della motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c., in relazione alla violazione dell’art. 167 c.p.c. e 115 primo comma sia nella originaria formulazione che a seguito della modifica operata dalla legge n. 69 del 2009 in base alla quale il giudice deve porre a base della decisione oltre alle prove proposte dalle parti e dal P.M. anche i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita.
Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono l’omesso esame su un fatto decisivo già oggetto di previa discussione fra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione agli artt. 1123, 1126, 2056, 2059 e 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. nonché la insufficienza e incoerenza della motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.
I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto attengono entrambi alla declaratoria di carenza di legittimazione attiva in capo alla (madre del danneggiato Omissis), che ha agito in giudizio assumendo di essere la madre del defunto (Omissis), rilevata dal giudice di prime cure sulla base della carenza di prova della legittimazione attiva con pronuncia confermata in appello, senza che mai la parte convenuta l’avesse contestata, in violazione quindi ad avviso delle ricorrenti del principio di non contestazione.
Essi sono infondati.
La questione sottesa ai due motivi di ricorso è quella del rapporto tra il principio di non contestazione e la rilevabilità d’ufficio di talune questioni.
Il principio di non contestazione opera rispetto ai fatti costitutivi del diritto dell’attore, che ove non contestati non necessitano di prova, ma non fa venir meno il potere del giudice di verificare anche d’ufficio alcuni presupposti processuali, quali la legittimazione ad agire della parte. I limiti ai quali va incontro il principio di non contestazione sono da un lato la disponibilità del diritto, dall’altro la rilevabilità d’ufficio di alcune questioni, che risponde ad un sovraordinato interesse generale.
Come già chiarito da questa Corte (da ultimo, Cass. n. 8969 del 2015) , il principio di non contestazione (posto dapprima dall’art. 416, comma 3, come sostituito dalla L. n. 533 del 1973 sul rito del lavoro, poi dall’art. 167 c.p.c., comma 1, novellato dalla L. n. 353 del 1990, e infine dall’art. 115, comma 1, come modificato dalla L. n. 69 del 2009) mira a selezionare i fatti pacifici e a separarli da quelli controversi, per i quali soltanto si pone l’esigenza dell’istruzione probatoria; e ad escludere, all’atto della decisione, l’applicabilità della regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., nei casi in cui il fatto costitutivo della domanda, benché non provato, sia da ritenersi implicitamente pacifico.
Tale principio opera in un ambito non solo soggettivamente ma anche oggettivamente dominato dalla disponibilità delle parti, nel senso che sono suscettibili di non contestazione soltanto i fatti storici la cui ricostruzione ex post richieda il dispendio dell’attività probatoria, la quale a sua volta è normalmente rimessa alle parti.
Esso si attenua drasticamente nell’ambito delle questioni rilevabili d’ufficio.
Pertanto, la questione della legittimazione attiva e passiva, attenendo al contraddittorio e dovendo essere verificata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo col solo limite della formazione del giudicato interno (giurisprudenza di questa Corte del tutto ferma al riguardo: cfr. ex pluribus, Cass. S.U. n. 1912 del 2012), come sfugge alla disponibilità delle parti così si sottrae all’operatività del principio di non contestazione.
Legittimamente quindi la Corte ha ritenuto di farsi carico della verifica della condizione di madre del (danneggiato Omissis) in capo alla (madre del danneggiato Omissis) anche se non tempestivamente contestata.
Peraltro essa sarebbe stata da questa ben agevolmente documentabile con la produzione di un qualsiasi documento amministrativo indicante la composizione del gruppo familiare, come precisa condivisibilmente la corte, che ha ritenuto inidonea allo scopo, una volta sollevata la questione, l’unica documentazione indicata dalla parte ricorrente, che era non un suo documento di identità ma un verbale della Procura in cui la (madre del danneggiato Omissis) veniva indicata peraltro non come madre del defunto ma solo tra i prossimi congiunti.
Anche il secondo motivo, contenente censure relative alla motivazione sempre sul punto della legittimazione attiva della (madre del danneggiato Omissis), è infondato apparendo prive di una logica convincente le stesse affermazioni delle ricorrenti :
– quanto alla dedotta, omessa considerazione del fatto che nel verbale di consulenza tecnica della Procura della Repubblica del tribunale di Siracusa la (madre del danneggiato Omissis) veniva qualificata come prossima congiunta (circostanza questa invero presa in considerazione dalla corte d’appello e ritenuta inidonea a provare in capo alla ricorrente la qualità di madre del defunto): in realtà, nessuna omissione è ascrivibile alla corte d’appello che nella sua motivazione in fatto sulle prove recate a sostegno della legittimazione attiva ha giudicato inidoneo l’unico documento prodotto dalla (madre del danneggiato Omissis): un documento privo di qualsiasi valore certificativo in cui si dava solo atto che la (sedicente madre del danneggiato Omissis) si era presentata al P.M. qualificandosi come prossima congiunta del defunto, che quindi nulla aggiunge sotto il profilo della prova della effettiva sussistenza della relazione parentale di madre;
– quanto all’omessa considerazione del fatto che, chiesto il risarcimento dei danni come parente del defunto, qualora la qualità di parente emerga da atti del giudizio rimarrebbe irrilevante, ai fini della legittimazione (ma non poi della concreta liquidazione del danno) l’individuazione dell’esatto grado di parentela: questa considerazione è inidonea a privare di coerenza la motivazione atteso che la (madre del danneggiato Omissis) non ha agito come parente prossimo (nel qual caso si sarebbe discusso, caso mai, di indeterminatezza della domanda, perché non ad ogni parente spetta un risarcimento in conseguenza della morte di un congiunto) ma ha agito come madre, e la prova di quella specifica relazione parentale doveva fornire ove richiesta.
Il controricorrente rileva sul punto anche la presenza di un vizio di autosufficienza atteso che l’unico documento dal quale la (madre del danneggiato Omissis) farebbe discendere la prova della sua legittimazione attiva non è stato neppure ritrascritto.
Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 primo comma c.c., 2054 c.c. e 41 c.p., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ovvero l’errata lettura della norma che disciplina il concorso di cause, nonché la insufficienza ed incoerenza della motivazione ai sensi dell’art. 360 n.4 c.p.c..
Esse criticano l’applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. sulla base della quale la corte d’appello ha ritenuto che il comportamento del defunto (Omissis), che procedeva a velocità di poco superiore al limite massimo in quel luogo consentito avesse avuto una rilevanza causale nel provocare l’incidente, ad anzi una rilevanza causale preponderante (al (danneggiato Omissis) è stata attribuita dalla corte d’appello la responsabilità dell’incidente nella percentuale del 75 %) senza considerare che in caso di fattori causali concorrenti a provocare il danno possono essere considerati tali solo quelli che, da soli, sarebbero stati idonei a provocare il danno stesso, in base al principio dell’equivalenza causale.
Sostengono che se il camionista non avesse parcheggiato invadendo in parte la semicarreggiata di percorrenza del (danneggiato Omissis) l’incidente non si sarebbe di sicuro verificato, mentre il solo fatto di percorrere quella strada a velocità effettivamente elevata, ma di poco oltre il limite e quindi priva di una particolare pericolosità, di per sé non avrebbe con ragionevole certezza e neppure facendo riferimento al criterio probatorio del più probabile che non provocato il danno.
Il motivo è infondato.
La corte d’appello non viola il principio della equivalenza causale, in quanto (applicando l’art. 2054 c.c. in coordinamento con l’art. 41 c.p.) considera -con giudizio di fatto adeguatamente motivato- responsabile dell’incidente anche e principalmente il conducente della vettura, alla cui condotta di guida attribuisce la maggior percentuale di responsabilità nella provocazione dell’incidente, tenendo conto non soltanto della velocità della vettura ma anche della imprudente manovra da questi posta in essere, ovvero il sorpasso ad elevata velocità al rientro del quale si avvedeva improvvisamente della presenza sul lato destro della semicarreggiata dell’autocarro, che non riusciva ad evitare, considerando quindi tutte le circostanze del caso concreto.
Con il quarto motivo denunciano l’omesso esame su un fatto decisivo già oggetto di previa discussione tra le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c., in relazione agli artt. 1223,1226, 2056, 2059 e 2697 c.c., 115 e 116; insufficienza e incoerenza della motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c..
Criticano la percentuale di responsabilità attribuita al defunto sostenendo che la corte non spiegherebbe idoneamente perché gli attribuisce un così rilevante peso nella provocazione del danno, in contrasto con la motivazione che evidenzia la grave imprudenza del comportamento del camionista.
Il motivo è inammissibile, sia per la sua errata formulazione, sia perché tende ad una rivisitazione in fatto della vicenda da parte della Corte.
La motivazione come già detto è esauriente , l’attribuzione di una preponderante responsabilità al defunto si fonda non tanto sulla velocità sostenuta di questi, ma sul fatto che il (danneggiato Omissis) iniziò un sorpasso azzardato senza prima verificare se sopraggiungevano veicoli in senso contrario, per poi dover rientrare precipitosamente nella corsia di appartenenza trovandosi davanti, senza poterlo evitare, la parte posteriore del camion parcheggiato che sporgeva sulla carreggiata.
Con il quinto motivo le ricorrenti denunciano la violazione di legge (in riferimento in particolare agli artt. 61 e 116 c.p.c.) per mancata ammissione della consulenza psichiatrica (volta ad attestare il danno biologico da loro riportato a seguito dell’incidente in cui ha perso la vita il fratello) e insufficienza e incoerenza della motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. Lamentano di aver richiesto espressamente una consulenza psichiatrica e che comunque fossero tenute in conto le alterazioni psichiatriche da loro riportate a seguito dell’evento morte, di aver prodotto come base di considerazione una relazione clinica rilasciata a sei anni dall’incidente dal direttore del servizio salute mentale di Siracusa, che le aveva in cura da due anni e che indicava la situazione di ciascuna e i farmaci prescritti, e che la richiesta di c.t.u. sia stata rigettata perché ritenuta esplorativa.
Il motivo è infondato.
La corte d’appello rigetta la richiesta di c.t.u. ritenendola esplorativa deducendo motivatamente che la stessa ha solo contenuto di anamnesi: in definitiva essa ritiene che non emerga dalla consulenza alcun concreto riferimento alla circostanza che quel medico avesse personalmente accertato quanto riferiva in anamnesi in forma del tutto impersonale, ovvero che non risulti dalla relazione se lo stesso fosse effettivamente il medico curante delle sorella del (danneggiato Omissis) o se si limitasse a riferire disturbi e terapie riferite dalle ricorrenti.
Con il sesto ed ultimo motivo denunciano l’omessa motivazione su una questione di fatto controverso ex artt. 360 n. 3, 4 e 5 ed in particolare l’incongruità e la carenza della motivazione in ordine al mancato riconoscimento del danno esistenziale — edonistico e la errata valutazione del quantum del danno non patrimoniale.
Il motivo è infondato, in quanto non intacca la ratio decidendi sul punto: la corte liquida il danno non patrimoniale onnicomprensivo nella sua interezza confermando la quantificazione del giudice di primo grado, senza escluderne aprioristicamente alcuna componente e quindi non si può dire che non abbia riconosciuto loro la componente afferente a quello che era denominato danno esistenziale: è il criterio complessivo di liquidazione che porta ad un risultato finale evidentemente ritenuto insoddisfacente dalle ricorrenti ma la censura sulla omessa liquidazione di una voce di danno va rigettata perché ogni componente del danno non patrimoniale è stata presa in considerazione dalla corte di merito.
Il ricorso incidentale
Con il primo motivo di ricorso incidentale, la compagnia di assicurazioni Allianz denuncia la violazione di legge processuale, ex art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. e sostiene che la corte territoriale avrebbe del tutto omesso di prendere posizione in merito ai due motivi di appello incidentale tempestivamente proposti dalla Allianz, il primo volto a far accertare la mancanza di nesso causale tra l’evento dannoso e la condotta del (conducente del mezzo Omissis), sulla base di alcune circostanze di fatto (il lungo tratto rettilineo, la perfetta visibilità) che riducevano a zero l’incidenza causale della esistenza del camion del (conducente Omissis) parcheggiato sul lato destro della strada in modo da occupare in parte la semicarreggiata di marcia del (danneggiato Omissis), il secondo volto a far accertare l’esclusiva responsabilità del (danneggiato Omissis) anche in considerazione del fatto che questi non indossava le cinture di sicurezza.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la Allianz lamenta l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione agli artt. 41 c.p. e 172 cod. strad. , 2043, 2054, 1227 e 2056 c.c. perché non avrebbe risposto all’appello incidentale facendo solo una motivazione per relationem.
I motivi possono essere trattati congiuntamente e possono essere rigettati in quanto infondati.
La corte d’appello si è pronunciata facendo un unico giudizio sulla rilevanza concausale delle condotte (i cui contenuti sono stati sopra riportati), all’esito del quale ha ripartito le responsabilità al 75 e 25 per cento tra i due conducenti tenendo conto di tutti i fattori che ha ritenuto rilevanti.
Spese compensate in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta sia il ricorso principale che il ricorso incidentale. Spese compensate.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 22 settembre 2015
Il Consigliere estensore Il Presidente