ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
BANCA (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv. (Omissis);
– controricorrente
avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento n. __/14 del __________2014.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2015 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;
sentito l’Avv.(Omissis).
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 27 giugno 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
«Con ricorso in data 21 marzo 2012, la Banca (Omissis), proponeva opposizione avverso l’ordinanza n. __, emessa dal Garante per la protezione dei dati personali in data 9 febbraio 2012, notificata il 27 febbraio 2012, con cui era stato ad essa ingiunto il pagamento della somma di euro 100.000 per avere trattato dati personali senza fornire idonea informativa agli interessati.
Si costituiva il Garante per la protezione dei dati personali, resistendo.
Con sentenza in data 23 gennaio 2014, l’adito Tribunale di Agrigento ha dichiarato priva di giuridica efficacia l’ordinanza impugnata, avendo riscontrato il superamento del termine per la decisione dell’iter sanzionatorio.
Premesso che l’art. 18 della legge n. 689 del 1981 non fissa alcun termine per la decisione dell’autorità amministrativa sul ricorso del trasgressore, ma che un termine per la decisione risulta fissato dalla legge n. 241 del 1990, il Tribunale è pervenuto alla conclusione che il silenzio della P.A. protrattosi nella vicenda per due anni, violando l’obbligo legale di cui all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 ed il diritto soggettivo del privato alla definizione tempestiva del procedimento, ha determinato la consumazione del potere della P.A. di adottare il provvedimento sanzionatorio.
Per la cassazione della sentenza del Tribunale il Garante ha proposto ricorso, con atto notificato il 29 luglio 2014, sulla base di tre motivi.
L’intimata Banca (Omissis) ha resistito con controricorso.
Il primo mezzo denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, lamentando il vizio di extrapetizione, per avere il Tribunale dichiarato la giuridica inefficacia dell’ordinanza-ingiunzione per una ragione non dedotta dall’opponente.
Il motivo appare fondato.
Per costante orientamento (V., tra le tante, Cass., Sez. lav., 16 aprile 2010, n. 9178), il giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento di somma di denaro a titolo di sanzione amministrativa è strutturato, nelle sue linee generali, in conformità al modello del giudizio civile ordinario e risponde agli inerenti principi, in particolare della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d’ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all’iniziativa di parte, nonché ai limiti della modificazione della causa petendi, che, in tale giudizio, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione. Ne consegue che il giudice, salve le ipotesi di inesistenza, non ha il potere di rilevare ragioni di invalidità del provvedimento opposto o del procedimento che l’ha preceduto non dedotte nell’atto di opposizione, nemmeno sotto il profilo della disapplicazione del provvedimento stesso.
Nella specie, dalla lettura del ricorso introduttivo emerge per tabulas che la Banca opponente ha dedotto vari motivi di doglianza sull’omessa informativa all’interessato in relazione alla raccolta di dati personali effettuata attraverso il sistema di videosorveglianza installato presso la filiale di (Omissis); sull’omessa informativa all’interessato in relazione alla raccolta di dati personali effettuata attraverso il sistema di rilevazione biometrica associata ad immagini, installato presso la filiale di (Omissis); sull’omessa notificazione del trattamento per avere omesso di notificare i trattamenti di dati personali -, ma non ha prospettato il vizio ritenuto sussistente dal Tribunale, ossia il superamento del termine per la decisione dell’iter sanzionatorio.
L’esame degli altri motivi di opposizione resta, ad avviso del relatore, assorbito, stante il carattere preliminare del ravvisato vizio di adozione dell’ordinanza ingiunzione ed avendo lo stesso giudice a quo ritenuto irrilevante l’esame della sussistenza o meno dell’infrazione (pur avendo “brevemente osservato come l’opposto cui incombeva il relativo onere non abbia fornito supporto probatorio alcuno alle proprie affermazioni e ciò con particolare riferimento alla sussistenza dell’asserita violazione”).
Il ricorso può essere avviato alla trattazione in camera di consiglio, per esservi accolto».
Letta la memoria di parte controricorrente.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra;
che non sono accoglibili le eccezioni preliminari di improcedibilità sollevate dal controricorrente con la memoria illustrativa;
che – quanto alla dedotta tardività del deposito del ricorso, avvenuto il 17 settembre 2014 a fronte di una notifica dell’atto di impugnazione perfezionatasi il 29 luglio 2014 – va osservato che è bensì vero che le controversie previste dall’art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003 sono regolate dal rito del lavoro (ex art. 10 del d.lgs. 1°settembre 2011, n. 150), ma da ciò non discende l’inapplicabilità della sospensione feriale dei termini, avendo questa Corte (Sez. III, 13 maggio 2010, n. 11607; Sez. III, 22 dicembre 2011, n. 28291) enunciato il principio secondo cui l’art. 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, stabilendo che la sospensione dei termini processuali dal 1° agosto al 15 settembre non si applica, tra le altre, alle controversie previste dall’art. 429 cod. proc. civ. (sostituito dall’art. 409 per effetto dell’art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533), si riferisce alle controversie individuali di lavoro e non, invece, a tutte le controversie che sono regolate dal rito del lavoro, facendo tale norma richiamo alla natura della causa e non al rito da cui essa è disciplinata;
che pertanto va escluso che, nelle controversie, regolate dal rito del lavoro, in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, il termine di venti giorni per il deposito in cancelleria del ricorso per cassazione, stabilito dall’art. 369 cod. proc. civ., sia sottratto alla regola generale della sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale;
che del pari infondata è, per le stesse ragioni, l’eccezione di tardività del deposito della richiesta di trasmissione del fascicolo alla cancelleria della Corte di cassazione, risultando per tabulas che in data 17 settembre 2014, quindi nel rispetto del prescritto termine di venti giorni (maggiorato della sospensione nel periodo feriale), decorrente dal 29 luglio 2014, l’Avvocatura erariale ha depositato l’istanza ex art. 369 cod. proc. civ.;
che, pertanto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata;
che la causa deve essere rinviata al Tribunale di Agrigento, in persona di diverso magistrato;
che il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, al Tribunale di Agrigento, in persona di diverso magistrato.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione