SENTENZA
Sul ricorso proposto da (imputato Omissis) avverso la sentenza 10/10/2013 della Corte d’appello di Cagliari, sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Fulvio Baldi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 10/10/2013, la Corte di appello di Cagliari confermava la sentenza del Tribunale di Cagliari, in data 6/10/2011, che aveva condannato (imputato Omissis) alla pena di mesi sei di reclusione ed €. 150,00 di multa per i reati di detenzione per la vendita di prodotti con marchi falsi e ricettazione degli stessi.
La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti ed equa la pena inflitta.
Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando quattro motivi di gravame con i quali deduce:
3.1 Violazione di norme processuali dolendosi che i giudici non potevano trarre elementi di prova in ordine alla confondibilità del marchio attraverso l’avvenuta esibizione del corpo di reato in sede d’appello, in quanto avrebbero dovuto procedere a perizia.
3.2 Violazione di norme processuali in relazione all’art. 195 cod. proc. pen., contestando l’assunzione del brigadiere (Omissis) in qualità di testimone;
3.3 Violazione della legge penale in relazione all’art. 485 cod. pen., invocando l’ipotesi del falso grossolano;
3.4 Inosservanza della legge penale in relazione agli artt. 163 e 168 cod. pen., dolendosi della revoca della sospensione condizionale della pena in presenza di due certificati del casellario e sulla base di un certificato del casellario giudiziario che non riportava correttamente il nominativo e le generalità dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.
Per quanto riguarda il primo motivo, le censure sono inammissibili in quanto l’esibizione del corpo di reato in udienza è attività istruttoria insuscettibile di censura alcuna.
Ugualmente inammissibili sono il secondo motivo in punto di legittimità dell’escussione del teste (Omissis) ed il terzo motivo in punto di falso grossolano in quanto fondati su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerarsi non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificítà conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
Per quanto riguarda il quarto motivo, la doglianza è inammissibile per aspecificità, non avendo il ricorrente allegato alcun elemento per contestare quanto documentato dal secondo certificato del casellario giudiziario, dal quale risulta che il prevenuto aveva già ottenuto per due volte la sospensione condizionale della pena (sentenza Corte d’appello di Cagliari del 7/2/2008; sentenza del Gip del Tribunale di La Spezia del 22/12/2010)
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, l’ 8 ottobre 2015
Il Consigliere estensore
Il Presidente