Corte Suprema di Cassazione – sezione seconda civile – sentenza n. 3855 del 26 febbraio 2016

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati atti di citazione, entrambi notificati il 30 marzo 2000, (promissari acquirenti Omissis), da una parte, e (promissario acquirente Omissis), dall’altro, evocavano dinanzi al Tribunale di Firenze — Sezione distaccata di Pontassieve la COOPERATIVA (Omissis) per ottenere il trasferimento coatto dei rispettivi immobili ex art. 2932 c.c., previa riduzione del prezzo stante la scoperta di ‘gravosi e preoccupanti vincoli’ gravanti sui due appartamenti.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della cooperativa convenuta, il giudice adito, previa riunione dei giudizi, accoglieva solo un capo della domanda del (promissario acquirente OMISSIS) relativa alla riduzione del prezzo per i lavori eseguiti dal promissario acquirente in luogo della promittente venditrice, rigettata ogni altra pretesa.

In virtù di rituale appello interposto dagli originari attori, i quali lamentavano — fra l’altro – l’esistenza di “una nutrita serie di oneri e vincoli, con corrispondenti diritti costituiti a favore della residua proprietà della Banca (Omissis)” non meglio specificati, la Corte di appello di Firenze, nella resistenza della COOPERATIVA, la quale proponeva anche appello incidentale, rigettava entrambi i gravami.

A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale affermava che correttamente era stata disattesa la pretesa di riduzione del prezzo stante la palese indeterminatezza delle domande e la ipoteticità delle fonti di pregiudizio, comuni alla gran parte degli edifici dei centri urbani ad alta densità commerciale (quali insegne luminose, presenza di ufficio bancario nell’edificio). Né veniva ritenuta fonte di pregiudizio di per sé il previsto diritto della banca di installare canne fumarie o di aspirazione, attraversanti parti condominiali, rientrando nel generale diritto di ciascun condomino di servirsi della cosa comune; del pari pretestuosa doveva essere ritenuta la doglianza relativa all’esistenza di antenne sul tetto in favore della medesima banca, fatta salva la verifica in diversa sede della dannosità delle stesse alla salute. Conseguiva da quanto sopra che non poteva trovare accoglimento neanche la domanda formulata ai sensi dell’art. 2932 c.c., costituendone presupposto la riduzione del prezzo, per non essere stata offerta l’esecuzione della controprestazione contrattualmente posta a carico dei promissari acquirenti, ma una differente.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Firenze hanno proposto ricorso per cassazione gli originari attori, sulla base di quattro motivi, al quale hanno resistito sia la COOPERATIVA sia il Fallimento della stessa, con separati controricorsi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla (Omissis) s.r.l. in concordato preventivo per non essere stata regolarmente evocata nel giudizio, notificato il ricorso a soggetto diverso, la (Omissis) s.r.l., oltre che al Fallimento della Cooperativa, dalla quale con atto pubblico del 30.5.2007, prima della dichiarazione di fallimento, aveva acquistato i beni de quibus.

L’eccezione è infondata.

Occorre premettere che dagli atti processuali, in particolare dallo stesso controricorso del Fallimento (v. pag. 7), emerge che gli immobili per cui è controversia sono stati dalla Cooperativa (Omissis) trasferiti alla (Omissis) s.r.l. (ora in concordato preventivo) con atto notarile del 30.5.2007 e dunque prima del fallimento della originaria proprietaria. In proposito occorre considerare che l’art. 72, comma 4, L. Fall. conferisce al curatore la facoltà di sciogliersi dal contratto, a condizione che la cosa venduta non sia passata nella proprietà del compratore o di un terzo, condizione che nella specie non ricorre per quanto sopra esposto.

Tanto chiarito, il Collegio ritiene a tal punto di dover ricordare che per consolidato orientamento di questa Corte l’avente causa, con un contratto di vendita da colui che, in un precedente preliminare, si sia reso a sua volta promittente venditore dell’immobile edificato, ha interesse ad intervenire nella causa di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto per inadempimento del preliminare introdotta dai promissari acquirenti dell’edificio erigendo per sostenere le ragioni del proprio dante causa, onde evitare che l’accoglimento della domanda pregiudichi l’effetto traslativo divisato con il secondo contratto; ma – poiché si tratta di un intervento adesivo dipendente (cfr. Cass. n. 1128 del 1993; Cass. n. 13000 del 2001; Cass. Sez. Un. n. 23299 del 2011) – i poteri processuali del terzo sono limitati dall’ambito delle domande e delle eccezioni già svolte dall’adiuvato, essendo la sua posizione tutelata nei termini di cui all’art. 111 c.p.c..

Inoltre si osserva che la notificazione dell’atto di citazione ha lo scopo di rendere edotto il destinatario del processo in modo da consentigli il tempestivo esercizio del diritto di difesa; lo scopo della notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio intanto può ritenersi raggiunto in quanto la parte, nonostante la nullità della notificazione, si sia tempestivamente costituita cosi mostrando di avere avuta la conoscenza legale del processo e di essere stata in grado di apprestare la propria difesa, senza incorrere in decadenze o preclusioni (art. 156 c.p.c.).

Orbene nella specie – alla luce di tali deduzioni — non può che ritenersi sanata dalla costituzione della (Omissis) ogni eventuale irregolarità nella evocazione in giudizio della stessa.

Passando al merito del ricorso, con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 101, comma 2, della Cost. e degli artt. 113 e 115 c.p.c. in relazione alle fonti di valutazione ed ai criteri posti a base della decisione impugnata, per avere la corte distrettuale ritenuto l’esistenza del diritto di terzi all’installazione di targhe ed insegne fondandolo su una inammissibile ‘scienza privata’ del giudice, inteso in senso lato.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Torna utile sottolineare che delle nozioni di comune esperienza, intese come proposizioni di ordine generale tratte dalla reiterata osservazione dei fatti, il giudice è certamente facultato ad avvalersi come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l’argomentazione di tipo presuntivo. Del pari la definizione di notorietà desumibile dall’art. 115 comma 2 c.p.c. si impone come criterio legale di giustificazione del giudizio di fatto, in quanto è destinata a individuare le premesse di fatto che possono assumersi per vere anche in mancanza di prova. Ne consegue che sia il disconoscimento sia il riconoscimento di un fatto come notorio può essere censurato solo per vizio di motivazione, ove dipenda dall’erronea determinazione dei criteri di notorietà. Deve escludersi invece che possa essere comunque sindacato nel giudizio di legittimità l’erroneo giudizio sulla notorietà che, non dipendendo dall’utilizzazione di criteri impropri, non sia desumibile dalla motivazione.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa corte, «il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio, a meno che non sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, è sottratto al sindacato di legittimità» (Cass. n. 5978 del 2002; Cass. n. 22271 del 2004; Cass. n. 11701 del 1998; Cass. n. 169 del 1996). Si ritiene, in particolare, che il «giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda» (Cass. n. 13073 del 2004; Cass. n. 5493 del 2004; Cass. n. 12112 del 2003; Cass. n. 9263 del 2002; Cass. n. 5826 del 2001; Cass. n. 5809 del 2001; Cass. n. 8481 del 1999; Cass. n. 7822 del 1998).

Ed è quanto avvenuto nel caso in esame in cui i giudici del merito, premesso che la presenza delle insegne fosse ben nota ai ricorrenti anche per la presa visione del fabbricato prima della conclusione del contratto preliminare, allorchè l’istituto di credito, originario unico proprietario dell’intero edificio, già occupava i locali posti al primo piano, hanno plausibilmente desunto la notorietà della situazione quanto alla apposizione di targhe e di eventuali antenne dalla proprietà comune dell’edificio, alla luce della preuso del fabbricato e della disciplina in materia di diritto condominiale. E questo giudizio non è sindacabile con il ricorso per cassazione.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2644 c.c., oltre a vizio di motivazione, in relazione alla natura reale con diritto di seguito e comunque degli effetti a favore e contro gli aventi causa, dei vincoli e degli oneri gravanti, come diritti precostituiti, in forza del titolo di provenienza, le unità immobiliari oggetto delle promesse di vendita, anche in forza della trascrizione. In altri termini, ad avviso dei ricorrenti, la corte di merito non avrebbe tenuto conto dei risvolti di realità dei vincoli posti dalla originaria proprietaria dell’intero fabbricato, la BNA, con il contratto di vendita stipulato con la (Omissis) a r.l.. Sintomatico dell’erroneo inquadramento sarebbe il richiamo non pertinente alla disciplina dell’art. 1102 c.c., superato e vanificato dal titolo.

Con il terzo motivo i ricorrenti insistono nella denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., oltre che di vizio di motivazione, in relazione al disvalore derivante dal notorio disagio nella popolazione, e dunque nel novero dei potenziali successivi acquirenti, a fronte dell’installazione, ovvero della potenziale installazione di antenne ripetitrici dei segnali di telefonia mobile, come tali a prescindere dalla certezza o no di un danno alla salute. I ricorrenti assumono di non avere denunciato un danno alla salute, ma la incidenza delle antenne, soprattutto in considerazione dei numerosi gestori del servizio di telefonia mobile, sul valore a ribasso delle unità immobiliari de quibus, antenne di ripetizione dei segnali di telefonia mobile neanche presi in esame dal giudice distrettuale.

I motivi, anche per come risultano formulati, in quanto privi di una compiuta delimitazione delle censure tra l’uno e l’altro, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono privi di pregio.

Va premesso che la Corte di merito ha inquadrato l’azione proposta dagli attori nell’ambito della fattispecie prevista e disciplinata dall’art. 1489 c.c., la quale sancisce la responsabilità del venditore se la cosa venduta è gravata da oneri o diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento, se essi non sono stati indicati in contratto ed il compratore non ne era a conoscenza, precisando che in tal caso il compratore può agire per la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo “secondo la disposizione di cui all’art. 1480”.

In tema di vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi (art. 1489 c.c.), l’apparenza degli oneri e dei diritti è equiparata, ai fini dell’esclusione della responsabilità del venditore, alla conoscenza effettiva, a condizione, tuttavia, che essa risponda a quei requisiti di precisione, univocità e chiarezza che soli possono porre l’acquirente in grado di tener conto della vera situazione dell’immobile. È altresì nozione acquisita in dottrina e giurisprudenza che l’apparenza menzionata nella norma in esame è sinonimo di facile riconoscibilità. Segnatamente, per i diritti personali di garanzia, basta a rendere apparente il diritto ogni indizio che lo renda facilmente riconoscibile da un uomo di media diligenza.

Premessi questi principi, osserva il Collegio come, con un accertamento di fatto, sul quale la corte distrettuale si è fin troppo diffusa, risulta adeguatamente motivata la valutazione di merito relativa alla insussistenza dei vincoli denunciati. La Corte ha, infatti, esposto le ragioni che militano per la indeterminatezza delle proposte domande stante la ipoteticità delle fonti di pregiudizio, tenuto conto della ubicazione dell’immobile e della preesistenza (già all’atto della conclusione del preliminare) di un ufficio bancario nell’edificio, oltre ad avere sottolineato — quanto ai diritti vantati sul fabbricato dall’istituto di credito – l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1102 c.c. quanto alla utilizzabilità della cosa comune, che non è stata ritenuta contraria — tale non essendo — alla specifica previsione contenuta nella vendita stipulata fra la Cooperativa e la B.N.A..

La motivazione è assolutamente condivisibile, dovendosi ribadire che la prova deve consistere nell’esistenza del diritto altrui owero in un pregiudizio e non in una mera situazione di fatto in astratto corrispondente ad esso per assicurare una inderogabile garanzia in favore dell’acquirente (v. Cass. n. 29367 del 2011), per cui correttamente la Corte di merito ha negato la garanzia in discorso, in difetto delle condizioni che la rendono applicabile.

Del resto con le censure in questione si sollecita un riesame del giudizio sull’inadempimento senza, peraltro, censurare specificamente la “ratio decidendi” dei giudici di merito.

Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c., anche per vizio di motivazione, in relazione all’accertamento dei presupposti per l’emissione della sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto non concluso, sotto il profilo del requisito dell’offerta della controprestazione da parte del promissario acquirente. In sintesi, i ricorrenti si dolgono che la corte di merito abbia ritenuto che l’ammissibilità e la fondatezza, in genere, della domanda ex art. 2932 c.c. sarebbe ravvisabile solo se la parte attrice offre l’adempimento della propria obbligazione negli stessi termini stabiliti nel contratto rimasto ineseguito.

Il motivo deduce la questione di diritto se il promissario acquirente, proposta congiuntamente l’azione costitutiva ex art. 2932 c.c. diretta all’emissione della sentenza che stia in luogo del consenso negoziale mancato, e quella di riduzione del prezzo per vizi della cosa promessa in vendita, debba fare offerta (o meno) del pagamento dell’intero prezzo.

E tali profili sono fondati, nei termini che seguono.

In materia di contratto preliminare di vendita, la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di occuparsi della questione anzi detta, affermando sia la proponibilità cumulativa e contestuale dell’azione costitutiva e di quella di riduzione del prezzo, sia la non necessità, ove il pagamento del prezzo debba seguire o essere coevo alla stipula del contratto definitivo, della relativa offerta quale condizione dell’azione ex art. 2932 c.c..

Ed infatti, la condizione di identità della cosa oggetto del trasferimento con quella prevista nel preliminare non va intesa nel senso di una rigorosa corrispondenza, ma nel senso che deve essere rispettata l’esigenza che il bene da trasferire non sia oggettivamente diverso, per struttura e funzione, da quello considerato e promesso; pertanto, in presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull’effettiva utilizzabilità del bene ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell’art. 2932 c.c., chiedendo cumulativamente e contestualmente l’eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo (Cass. n. 1562 del 2010; Cass. n. 16236 del 2003; Cass. n. 10291 del 2002; Cass. n. 4895 del 1993 e Cass. n. 9991 del 1994, quest’ultima difforme solo per quanto concerne l’alternativa azione di esatto adempimento mercè l’eliminazione delle difformità).

Ed ancora, il contraente che chieda l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata è tenuto all’adempimento della prestazione corrispettiva o all’offerta della medesima – che può essere costituita da una seria manifestazione della volontà di eseguirla, senza che sia necessaria una offerta reale – solo se tale prestazione sia esigibile al momento della domanda giudiziale, mentre, quando essa, per accordo delle parti, debba essere effettuata contestualmente alla stipula dell’atto definitivo, o comunque successivamente, la sentenza costitutiva degli effetti di questo contratto, promesso e non concluso, deve essere pronunciata indipendentemente da qualsiasi offerta, ed il pagamento del prezzo (o della parte residua) va imposto dal giudice quale condizione per il verificarsi del richiesto effetto traslativo della proprietà del bene derivante dalla sentenza medesima (Cass. n. 59 del 2002; Cass. n. 144 del 1993; Cass. n. 2103 del 1990 e Cass. n. 2154 del 1987, la quale ultima estende il medesimo dictum anche all’ipotesi in cui il prezzo di vendita “non sia comunque allo stato liquidabile”).

Nella sentenza impugnata i giudici d’appello hanno ritenuto l’insussistenza del presupposto per la domanda di trasferimento coattivo di un bene, ossia l’esecuzione o l’offerta rituale della controprestazione rappresentata dal prezzo, per essere “contraddetto dall’assunto principale che il prezzo dovuto non sarebbe quello risultante dal contratto preliminare”.

Tale decisione incorre nella lamentata violazione di legge per essere il ragionamento svolto nella sentenza impugnata manifestamente paralogico. Infatti, la Corte fiorentina, non ha affermato nè che il pagamento del prezzo fosse esigibile prima della stipula del definitivo, nè che non fosse proponibile in aggiunta alla domanda di c.d. sentenza/contratto quella di riduzione del corrispettivo della vendita, ed anzi ha ritenuto implicitamente ammissibile tale ultima azione. Ciò non di meno, la Corte d’appello ha concluso nel senso che l’emissione della sentenza produttiva degli effetti del contratto fosse impedita “di fatto” dalla mancata offerta di un prezzo incondizionato e per intero del saldo, non dipendente, cioè, da una sua riduzione per i vizi della cosa. In disparte che gli impedimenti di fatto sono per loro natura meta- processuali, di talché essi all’interno del processo reagiscono sempre de iure, e non de facto; ciò a parte, va detto che, postulata come ammissibile un’azione ex art. 2932 c.c. coordinata con un’actio quanti minoris, la prima non può essere ostacolata dalla circostanza che la seconda, rendendo incerto il prezzo ancora dovuto, impedisca l’offerta così come prescritta dal comma 2 dell’articolo citato. Il cortocircuito logico in cui è incorso il ragionamento della Corte toscana appare dunque evidente.

Conclusivamente, nei limiti anzi detti il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, che nel decidere la controversia si atterrà al seguente principio di diritto: “proposte cumulativamente e contestualmente una domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di vendita, ai sensi dell’art. 2932 c.c., e una domanda di riduzione del prezzo per vizi della res, l’offerta del prezzo prevista dal secondo comma della norma citata deve ritenersi non necessaria ove il pagamento, quale che risulti il prezzo ancora dovuto all’esito dell’accertamento sull’esistenza dei vizi della cosa venduta, non sia esigibile prima della conclusione del contratto definitivo”.

Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3 il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta i primi tre motivi di ricorso, accolto il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia a diversa Sezione della Corte di Appello di Firenze, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 20 ottobre 2015.

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