Corte Suprema di Cassazione – sezione seconda civile – sentenza n. 23932 del 24 novembre 2015

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Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso depositato il 26 maggio 2011, (ricorrenti Omissis) hanno proposto – insieme a (Omissis) – domanda di equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per il danno subito in ragione della irragionevole durata di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale essi – marito e figlio della creditrice opposta, (Omissis) – erano stati chiamati in causa, rimanendo contumaci, sia in primo grado, dinanzi al Tribunale di Frosinone, sia in appello, dinanzi alla Corte d’appello di Roma.

Nella resistenza del Ministero della giustizia, la Corte d’appello di Perugia, con decreto in data 11 settembre 2013, ha rigettato la domanda dei (ricorrenti Omissis), mentre ha accolto, in parte, la domanda dell'(Omissis), condannando il Ministero al pagamento, in favore della stessa, della somma di euro 2.187,50, oltre accessori.

Per quanto qui rileva, e con riferimento alla posizione dei (ricorrenti Omissis), la Corte d’appello ha rilevato che, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ha diritto all’indennizzo solo la parte che, avendo attivamente partecipato al processo in quanto costituita, può aver subito quel patema d’animo o quella sofferenza psichica causata dal superamento del limite ragionevole di durata, non anche il contumace, il quale ha consapevolmente scelto di non costituirsi in giudizio e, quindi, sostanzialmente, di disinteressarsi dello stesso.

2. – Per la cassazione del decreto della Corte d’appello i (ricorrenti Omissis) hanno proposto ricorso, con atto notificato all’Avvocatura distrettuale il 17 marzo 2014, sulla base di un motivo.

Con ordinanza resa all’udienza del 4 dicembre 2014, questa Corte ha disposto il rinnovo della notifica del ricorso all’Avvocatura generale.

I ricorrenti vi hanno provveduto notificando il ricorso in data 24 dicembre 2014.

Il Ministero della giustizia si è quindi costituito con controricorso.

Considerato in diritto

l. – Con l’unico mezzo (violazione e falsa applicazione del principio di ragionevole durata del processo, ex art. 6, par. l, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001), i ricorrenti si dolgono che la Corte d’appello abbia rigettato la domanda di equa riparazione, motivandola sulla base della sola circostanza che gli stessi sono rimasti contumaci nel giudizio presupposto. I ricorrenti invocano l’applicazione della sentenza a Sezioni Unite 14 gennaio 2014, n. 585, emessa a definitiva composizione del contrasto di pronunce verificatosi in relazione alla sussistenza del diritto del contumace a vedersi riconosciuto l’indennizzo per equa riparazione ai sensi della legge n. 89 del 2001.

2. – Il motivo è fondato.

In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, hanno diritto all’indennizzo tutte le parti coinvolte nel procedimento giurisdizionale, ivi compresa la parte rimasta contumace, nei cui confronti – non assumendo rilievo né l’esito della causa, né le ragioni della scelta di non costituirsi – la decisione è comunque destinata ad esplicare i suoi effetti e a cagionare, nel caso di ritardo eccessivo nella definizione del giudizio, un disagio psicologico, fermo restando che la contumacia costituisce comportamento idoneo ad influire – implicando od escludendo specifiche attività processuali – sui tempi del procedimento e, pertanto, è valutabile agli effetti dell’art. 2, comma 2, della legge n. 89 del 2001 (Cass., Sez. Un., 14 gennaio 2014, n. 585).

3. – Non possono essere prese in considerazione in questa sede le ragioni di “inammissibilità” fatte valere dall’Avvocatura generale dello Stato in sede di controricorso, discendenti dalla dedotta peculiarità del giudizio presupposto (avente ad oggetto l’opposizione di tre decreti afferenti al rapporto tra (Omissis) e (Omissis)) e dalla posizione ricoperta dai (ricorrenti Omissis) nell’ambito del giudizio presupposto (chiamati in causa), nonché dalla natura meramente formale del giudizio di appello (conclusosi con una sentenza di rito in ragione della tardività dell’impugnazione svolta dal (Omissis) e dalla mancata prova della violazione dell’irragionevole durata del processo presupposto.

Si tratta, infatti, di profili ulteriori e diversi rispetto alla questione oggetto del ricorso per cassazione in relazione alla ratio decidendi che sostiene il decreto impugnato, profili sui quali dovrà pronunciare il giudice del rinvio, una volta attenutosi al principio secondo cui anche il contumace può subire quel disagio psicologico, che normalmente risentono le parti a causa del ritardo eccessivo con cui viene definito il processo che le riguarda, giacché la mancata costituzione in giudizio può eventualmente influire sull’an o sul quantum dell’equa riparazione, ma non costituisce di per sé motivo per escludere senz’altro il relativo diritto.

4. – Il ricorso è accolto.

Il decreto impugnato deve pertanto essere cassato, nella parte in cui ha provveduto sulla domanda dei (ricorrenti Omissis), con rinvio ad altro giudice, che si designa nella Corte d’appello di Perugia in diversa composizione, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 12 novembre 2015

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