SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 — Con atto notificato il 30.3.2004 la (società acquirente Omissis) conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Sondrio, la (società venditrice Omissis) deducendo di avere convenuto con la medesima l’acquisto di due espositori, senza però che il relativo contratto avesse mai avuto esecuzione. Precisava di aver già corrisposto alla convenuta la somma di € 5164,56, a titolo di acconto per una precedente fornitura, per cui il saldo prezzo ammontava a € 624,23.
Chiedeva dunque l’attrice la condanna della convenuta (società venditrice Omissis) all’adempimento del contratto o, in subordine, la risoluzione del contratto stesso per inadempimento della medesima convenuta, e la condanna al risarcimento dei danni che indicava in € 5.164,56.
Si costituiva la (società venditrice Omissis) chiedendo il rigetto della domanda siccome infondata. Sosteneva che le parti non avevano concluso alcun contratto avente ad oggetto i due espositori di cui faceva cenno l’attrice, in quanto la sua offerta relativa a tali manufatti non era stata accettata dall’attrice.
Faceva però presente di aver concluso , sempre con l’attrice, altro contratto in data 13.4.01 avente ad oggetto la fornitura e il montaggio di mobili per una sala mostra, al quale contratto aveva dato regolare esecuzione predisponendo gli arredi concordati; che la (società acquirente Omissis) non era receduta dal contratto, ma si era limitata a chiederne la sospensione; chiedeva quindi dichiararsi la risoluzione di tale contratto in data 13.4.01, per inadempimento della controparte.
Il Tribunale adito, rigettava la domanda di parte attrice e dichiarava la risoluzione del contratto per grave inadempimento della medesima; stabilendo che l’acconto di € 5164,56 rimanesse alla convenuta (società venditrice Omissis) a titolo di risarcimento del danno, così liquidato in via equitativa.
Avverso la sentenza proponeva appello la (società acquirente Omissis) chiedendone la riforma; resisteva la società appellata; l’adita Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. ___/2009, in riforma dell’impugnata sentenza rigettava la domanda risarcitoria formulata da (società venditrice Omissis), che condannava a restituire all’appellante la somma di € 5165,57, oltre interessi. Sosteneva la corte milanese che la (società venditrice Omissis), pur avendo dato la prova dell’esistenza del contratto in data 13.4.01 non aveva però provato l’ammontare dei danni subiti, né era possibile nella fattispecie liquidare il danno — come aveva fatto il primo giudice – in via equitativa , in quanto la prova del danno non era impossibile, né eccessivamente difficoltosa, non ricorrevano dunque i presupposti voluti dall’art. 1226 c.c.
2- Per la cassazione di tale sentenza ricorre la (società venditrice Omissis) sulla base di 2 mezzi; resiste con controricorso la (società acquirente Omissis), che ha formulato altresì ricorso incidentale sulla base di n. 4 mezzi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLE DECISIONE
A) RICORSO PRINCIPALE
1-Con il primo motivo del ricorso l’esponente (società venditrice Omissis), denuncia il vizio di motivazione: lamenta che il giudice distrettuale , dopo aver riconosciuto la conclusione, la validità e l’efficacia del contratto del 12.4.2001, nonché la sua risoluzione per inadempimento della (società acquirente Omissis) , ha tuttavia ritenuto che essa (società venditrice Omissis) non aveva dato la prova dei danni subiti. In realtà tale prova era stata data tramite i testi escussi i quali avevano confermato l’esistenza di questi danni consistenti nell’approvvigionamento di materiali per predisporre la struttura dell’arredamento convenuto, poi rimasti invenduti.
2- Con il secondo motivo viene eccepita la violazione dell’art. 1226 c.c.; secondo la ricorrente erano presenti i presupposti voluti dalla legge ai fini di una liquidazione equitativa del danno. Il motivo è corredato del seguente quesito:
” Dica … se la determinazione del danno patito da (società venditrice Omissis), certamente provato nell’an e consistente nell’approvvigionamento dei materiali necessari e nella predisposizione della struttura dell’arredamento della sala mostre ordinata da (società acquirente Omissis) … rimaste tutte invendute presso i magazzini della ricorrente, oltre che ne tre viaggi presso la sede della (società acquirente Omissis) a Sondrio, erroneamente considerata dalla Corte d’Appello di Milano non suscettibile di valutazione equitativa, sia di particolare difficoltà, ovvero impossibile, tale da legittimare il Giudice, tenuto conto anche della peculiarità del caso concerto, a provvedere alla liquidazione dello stesso danno patito in via equitativa, in applicazione del disposto dall’art. 1226 c.c.”
Le due doglianze — scrutinate congiuntamente attesa la loro stretta connessione – non sono fondate.
Invero non è stata colta la vera ratio decidendi del giudice distrettuale, il quale non ha negato l’avvenuta prova del danno (an debeatur), ma ha solo affermato che nella fattispecie, mancavano i presupposti per la sua liquidazione (quantum) in via equitativa, con specifico riferimento alla somma di € 5.164,57, già liquidata dal primo giudice. L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c. presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare ( Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 27447 del 19/12/2011). Ora secondo la corte territoriale nella fattispecie la prova di alcune circostanze (importo dei materiali e dei manufatti ecc. ) non era impossibile e nemmeno eccessivamente difficoltosa per (società venditrice Omissis) ai fini di una precisa liquidazione del danno, per cui non sussistevano gli estremi per una liquidazione equitativa del danno così come previsto dagli artt. 1226 e 2056 c.c.
Questa S.C. ha invero ribadito a questo riguardo, che l’esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa, a lui conferito dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza. ( Cass.Sez. 3, Sentenza n. 10607 del 30/04/2010; Cass. 3, Sentenza n. 20990 del 12/10/2011)
B) RICORSO INCIDENTALE
1- Passando in esame il ricorso incidentale proposto dalla (società acquirente Omissis), con il primo motivo di denunzia la violazione o falsa applicazione dell’ art. 134 c.p.c.: “omessa indicazione dei motivi della sentenza ; la sentenza del Tribunale è nulla perché contenente un inserimento fotostatico della comparsa conclusionale della controparte “.
Il motivo è corredato dal seguente quesito di diritto: “Dica … se, nel caso di integrale trascrizione ed inserimento in forma di copia fotostatica di porzioni della comparsa conclusionale … senza approfondimento alcuno in ordine alle ragioni per le quali si è ritenuto di condividere la tesi prospettata dalla medesima parte, il giudice incorra in un vizio di motivazione in diritto delle decisione ex art. 132, n. 4 c.p.c.”
La doglianza non ha pregio.
Si osserva infatti che su tale punto la corte ha puntualmente rilevato che in ogni caso il primo giudice ha autonomamente dato conto delle ragioni di fatto e di diritto del suo convincimento, sia pure riferendosi per relationem agli scritti della convenuta. Si osserva peraltro che anche nell’ipotesi d’invalidità della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello avrebbe comunque motivato in via autonoma la decisione stessa.
2- Con il 2° motivo (assistito da quesito di diritto) l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’ art. 1326 c.c.; confuta la tesi dell’esclusione dell’avvenuta stipula del 2° contratto; sostiene che in realtà doveva ritenersi concluso anche il contratto avente ad oggetto la fornitura dei 2 espositori, in quanto la (società acquirente Omissis) aveva imputato l’acconto (che già aveva versato per il primo contratto) alla nuova fornitura e nessuna contestazione era stata mossa da controparte.
Il quesito di diritto è il seguente: ” Dica… se, nel caso in cui la proposta contrattuale inoltrata dal preponente venga accettata imputando a parziale compensazione del corrispettivo concordato una somma di danaro, della quale detiene sine titulo la disponibilità ed in assenza di obiezioni ad opera della controparte, il contratto possa essere considerato validamente concluso ai sensi del primo co. dell’art. 1326 c.c. nel momento in cui il preponente ha ricevuta la detta conferma dell’accettante.”
La doglianza non è fondata.
La Corte territoriale infatti lo ha correttamente escluso, perché la controproposta della (società acquirente Omissis) implicava il computo, in conto prezzo, dall’acconto versato in occasione del rapporto precedente. Insomma all’offerta della (società acquirente Omissis) mancava una pedissequa accettazione della (società venditrice Omissis) la cui accettazione non conforme costituiva in realtà una nuova proposta che controparte non aveva accettato.
3- Con il 3° motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 210, c.p.c. ; “errata valutazione della prova precostituita”: si tratta del documento (capitolato) del 13.4.2001 prodotto in sola copia fotostatica dalla (società venditrice Omissis) per provare i danni che era stato disconosciuto. Mancata considerazione che l’ordine di esibizione dell’originale era rimasto inevaso, impedendo così alla parte di poter proporre rituale querela di falso.
La corte avrebbe poi erroneamente attribuito efficacia vincolante ad una mera trattava contrattuale.
Il quesito di diritto a corredo del ricorso è il seguente: “Dica …. se, in caso di produzione di una copia fotostatica di scrittura, adempiuto l’ordine di esibizione imposto dal Giudice ex art. 210 c.p.c. , così impedendo alla parte di proporre rituale querela di falso …, il Giudice debba trarre argomenti di prova dal comportamento riservato dalla parte cui l’ordine era rivolto; dica altresì, se contestata l’errata applicazione dell’art. 1321 c.c. per avere erroneamente attribuito efficacia vincolante ad una mera trattativa contrattuale, incorra in violazione del disposto di cui all’art. 115 e 116 c.p.c. il giudice che dichiari l’inadempimento di una delle parti per non avere adempiuto la propria — presunta- obbligazione.”
La doglianza non ha pregio.
Invero tale censura non appare pertinente rispetto la ratio decidendi posta a fondamento della decisione: il giudicante ha ribadito infatti che il disconoscimento del predetto documento era intervenuto tardivamente in quanto non era stato effettuato alla prima udienza di comparizione. Egli ha poi sottolineato: ” in ogni caso — la prova della conclusione del contratto si rinviene … dall’istruttoria orale e non dal documento di cui sopra, la cui eventuale mancata valenza probatoria non avrebbe effetto sulla ricostruzione della vicenda quale è stata formulata dal primo giudice e quale viene ora recepita anche dalla Corte”
4- Con il 4° motivo si denuncia il vizio di motivazione con riferimento al fatto che non sono state prese in esame le ragioni da essa addotte che impedivano di considerare il documento del 13.4.2001 alla stregua di un valido ed efficace contratto, mentre invece si tratta di una mera trattativa contrattuale, al più di “un contratto preparatorio”.
La doglianza non è fondata. A parte i profili d’inammissibilità in quanto tale documento non è stato trascritto (in spregio del principio di autosufficienza del ricorso) e della mancanza del “momento di sintesi” ex art. 366 bis c.p.c.„ si osserva che sul punto la Corte ha congruamente motivato, richiamandosi alle risultanze istruttorie (dichiarazione dei testi ecc.) per cui tale doglianza non può avere rilievo in questa sede di legittimità.
5- Conclusivamente : va rigettato il ricorso principale e quello incidentale. Stante la reciproca soccombenza, le spese di questo giudizio di legittimità sono compensate.
P.Q.M. rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa le spese processuali.
In Roma lì 18 giugno 2015