Fatto.
La società, esercente attività di agenzia di viaggi e dedita alla vendita di servizi turistici in proprio, sciolti da programmi organizzati e come intermediaria anche di compagnie di assicurazione, nonché alla vendita di servizi turistici da sé organizzati, è stata assoggettata ad una verifica fiscale, che ha riscontrato irregolarità relativamente all’ultimo ambito di attività, ricostruite, anche nei risvolti economici, dall’esame di volantini di viaggio e di annunci pubblicitari su un quotidiano, moltiplicando il numero dei viaggiatori paganti per le quote così individuate. Ne sono scaturiti tre avvisi di accertamento, rispettivamente indirizzati alla società ed ai suoi due soci, concernenti, quanto alla prima, il maggior reddito d’impresa, il maggior valore di produzione ed il maggior volume di affari, ai fini irpeg, irap ed iva, oltre alla sanzione dovuta e, in relazione ai secondi, il rispettivo maggior reddito da partecipazione, ai fini dell’irpef.
Il legale rappresentante della società ha presentato tempestiva istanza di accertamento con adesione, provvedendo soltanto tardivamente —rispetto al termine previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 218/97 a produrre analoghe istanze per i due soci. A tanto ha fatto seguito l’impugnazione da parte della società e dei due soci dell’avviso di accertamento rispettivamente ricevuto e l’iscrizione a ruolo, con la conseguente emissione di cartelle di pagamento nei confronti dei due soci, in ragione della tardività dell’istanza di accertamento con adesione da loro presentata, anch’esse impugnate dai soci.
Disposta la riunione dei ricorsi, la Commissione tributaria provinciale li ha accolti e quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, facendo leva, quanto al calcolo del maggior reddito, sull’abnormità dei risultati prodotti dal metodo applicato e sulla coerenza del reddito asseritamente prodotto con i risultati dello studio di settore applicabile e censurando, quanto all’iva, l’omessa applicazione del regime speciale contemplato per le agenzie di viaggio. In più, quanto alla posizione dei soci, ha richiamato la sentenza n. 14815/2008 resa dalle sezioni unite della Corte.
Avverso questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, affidandolo a quattro motivi, cui i contribuenti replicano con controricorso.
Diritto.
1- Il primo motivo di ricorso, col quale l’Agenzia lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto il giudice d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sull’inammissibilità dei ricorsi introduttivi proposti dai soci, perché proposti tardivamente, ossia oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione degli avvisi impugnati, è infondato e va in conseguenza respinto. Ciò in quanto la pronuncia non è omessa. Già in narrativa, il giudice d’appello, riferendo la censura proposta dall’Agenzia di decadenza dei soci dall’impugnativa, la bolla come «assurda» (ultimo capoverso di pag. 3), evidenziando in tal modo di averla presa in esame e di averla considerata del tutto infondata. A tanto, in motivazione la Commissione mostra di ritenere assorbita la questione, in considerazione dell’affermata necessità della presenza dei soci nel giudizio concernente la società, scaturente dal litisconsorzio necessario sul quale si è diffusa la sentenza n. 14815/2008 resa dalle sezioni unite della Corte. Sentenza, questa delle sezioni unite, appunto sulla quale, emerge dalla narrativa della sentenza, ha puntato la difesa dai soci: «con successiva memoria i contribuenti presentano copia della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni unite n. 14815 del 4/6/2008 che sancisce l ‘unicità della lite riguardante le società di persone e i loro soci» (così il primo capoverso di pag. 4 della sentenza impugnata).
2.- Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., col quale l’Agenzia si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/73, dell’art. 54 del d.P.R. n. 633172, nonché degli art. 2697, 2727 e 2729 c.c., là dove la Commissione tributaria regionale non avrebbe considerato la correttezza dell’operato dell’amministrazione, che si è valsa di presunzioni per la ricostruzione del maggior reddito ascritto alla società. Il giudice d’appello ha giustificato la propria decisione facendo leva sull’abnormità dei risultati ottenuti dall’ufficio, sulla coerenza dei redditi dichiarati con quelli emergenti dall’applicazione dello studio di settore, sulla circostanza che le incongruenze sono state ascritte ad uno soltanto dei tre ambiti di attività dell’agenzia di viaggio; infine, dopo aver ritenuto adeguatamente documentato dalla società che i maggiori ricavi accertati siano riferibili alla fornitura di servizi turistici disancorati da viaggi organizzati, nonché alla vendita di polizze assicurative, fronteggiata dalla sola commissione, ha considerato che l’Agenzia, in violazione dell’onere della prova su di essa spettante, si è limitata a generiche giustificazioni del proprio operato.
2.1.-Così ragionando, la Commissione non ha violato l’art. 2697 c.c., perché non ha dubitato, per un verso, che l’onere di provare la pretesa impositiva spetti all’ufficio e che spetti al contribuente il contrapposto onere di allegare e provare i fatti modificativi (costituiti, nella fattispecie, nella fornitura dei servizi singoli e nella vendita di polizze assicurative) e, per altro verso, che a quel punto spetti nuovamente all’ufficio l’onere di contestare e giustificare l’insussistenza dei fatti modificativi. Né il giudice d’appello ha violato le altre norme dinanzi indicate, giacché non ha escluso la possibilità dell’ufficio di impiegare presunzioni per fornire la prova di cui era onerata, ma ha compiuto, sia pure in maniera carente, come specificato oltre, la valutazione degli elementi forniti.
3.- Fondati sono, invece, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rispettivamente proposti ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., da esaminare congiuntamente, perché connessi, con i quali l’Agenzia lamenta: -la violazione e falsa applicazione dell’art. 74-ter del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, là dove il giudice d’appello ha reputato ingiustificato la mancata applicazione dello speciale regime Iva previsto per le agenzie di viaggio (terzo motivo); -l’insufficienza della motivazione in ordine ai fatti controversi posti a base degli accertamenti, ossia il contenuto dei volantini pubblicitari dei viaggi organizzati dalla contribuente, il numero degli iscritti paganti a tali viaggi e la quota da costoro anche versata, documentati dai verificatori anche tramite acquisizione di dichiarazioni di terzi nonché la quota di attività riguardante i servizi singoli e la vendita di polizze (quarto motivo).
In relazione ai «significativi importi dei maggiori ricavi accertati riguardanti viaggi per cui sono stati forniti servizi parziali e la vendita di polizze assicurative con l’introito della sola commissione di intermediazione», dei quali si legge nella sentenza impugnata, errata è la statuizione d’ingiustificatezza dell’omessa applicazione del regime speciale iva previsto per le agenzie di viaggio.
3.1.-L’obiettivo perseguito dalle regole sul regime speciale dell’iva applicabile alle operazioni svolte dalle agenzie di viaggio è quello di evitare le difficoltà che deriverebbero agli operatori economici dall’osservanza del regime generale quanto al luogo d’imposizione, alla base imponibile ed alla detrazione dell’imposta pagata a monte, a causa della pluralità delle prestazioni e, eventualmente, dei luoghi in cui esse sono fornite. Di qui la necessità di applicare tale regime, che comunque deroga alle regole generali in tema di iva, soltanto nelle ipotesi in cui tale obiettivo possa essere perseguito (in termini, Corte giust. 26 ottobre 2012, causa C-557/11, Kozak, punti 19 e 21, che ha affermato l’applicabilità del regime particolare esclusivamente alle prestazioni acquistate da terzi ed in nome proprio dall’agenzia). L’individuazione di tale obiettivo ha indotto la Corte di giustizia, in via d’esempio, ad escludere l’applicabilità del regime speciale alla vendita isolata di biglietti d’ingresso all’opera da parte dell’agenzia di viaggi, senza fornitura di una prestazione di viaggio, in quanto, altrimenti, si determinerebbe una distorsione della concorrenza, tenuto conto del fatto che una stessa attività sarebbe assoggettata ad imposta in maniera diversa a seconda che l’operatore economico che vende i detti biglietti sia, o no, un’agenzia di viaggi (Corte giust. 9 dicembre 2010, causa C-31/10, Minerva Kulturreisen Gmbh) ed a statuire che il Regno di Spagna, escludendo dal regime speciale delle agenzie di viaggio le vendite al pubblico, compiute da agenzie dettaglianti che agiscono in nome proprio, di viaggi organizzati da tour operator e autorizzando le agenzie di viaggio, in determinate circostanze, ad esporre in fattura un importo globale d’imposta sul valore aggiunto privo di qualsiasi rapporto con l’imposta effettivamente ripercossa sul cliente e autorizzando quest’ultimo, quando sia soggetto passivo, a detrarre detto importo globale dall’imposta sul valore aggiunto dovuta, è venuto meno agli obblighi su di esso incombenti ai sensi degli art. 168, 226 e da 306 a 310 della direttiva 2006/112//Ce del consiglio, del 28 novembre 2006 (Corte giust. 26 settembre 2013, causa C-189/11, Commissione europea c. Regno di Spagna).
3.2.-Ne deriva che, qualora l’agenzia di viaggi agisca esclusivamente in qualità d’intermediario tra il viaggiatore e terzi fornitori di servizi, come, nel caso in esame, le compagnie di assicurazione e non già in nome proprio, non trova applicazione il regime speciale stabilito dall’art. 26 della sesta direttiva, che trova rispondenza nell’art. 74-ter del d.P.R. n. 633/72, in virtù del quale, in relazione alle operazioni compiute per la realizzazione del viaggio, considerate come prestazione unica, la base imponibile, corrispondente al prezzo al netto dell’imposta, va ragguagliata al margine dell’agenzia di viaggi, ossia alla differenza fra l’importo totale a carico del viaggiatore, al netto dell’Iva, ed il costo effettivo sostenuto dall’agenzia di viaggi per le cessioni e le prestazioni di servizi di altri soggetti passivi, nella misura in cui da tali operazioni il viaggiatore tragga direttamente vantaggio (in termini, Corte giust. 16 gennaio 2014, causa C-300/12, Finanzamt Diisseldorf-Mitte c. Ibero Tours GmbH). E ad analoga soluzione in ragione dell’obiettivo perseguito dalla norma, si deve pervenire in relazione alla fornitura di singoli servizi turistici, svincolati dall’organizzazione del viaggio.
4.- Determinante risulta per conseguenza l’indagine sollecitata col tramite del quarto motivo di ricorso. Gravemente carente risulta, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata, che, per un verso, non mostra di considerare gli elementi di fatto dinanzi sunteggiati, potenzialmente idonei a provare l’organizzazione di viaggi e ritualmente introdotti in giudizio, essendo posti a fondamento dell’avviso di accertamento, stralcio rilevante del quale è trascritto in ricorso; là dove, per altro verso, non specifica quali e quanti siano i “significativi importi dei maggiori ricavi accertati” riguardanti i singoli servizi turistici e la vendita delle polizze assicurative.
4.1.- Le evidenti lacune della motivazione si riverberano anche sulla determinazione del maggior imponibile ai fini delle imposte dirette e dell’irap, giacché il giudice d’appello non ha mostrato di considerare la rilevanza delle circostanze di fatto dinanzi segnalate, rappresentate dall’Agenzia con riferimento a tutti i profili della propria pretesa impositiva, idonee ad orientare diversamente il giudizio sulla legittimità della ricostruzione presuntiva operata dall’ufficio.
5.-Ne derivano l’accoglimento di questi due motivi e la cassazione della sentenza impugnata, che riesaminerà la fattispecie e regolerà le spese, adeguandosi, quanto alla pretesa a titolo di iva, al seguente principio di diritto: “In materia di iva, il regime speciale stabilito per le agenzie di viaggio dall’art. 74-ter del d.P.R. 633/72 non trova applicazione qualora l’agenzia agisca esclusivamente in qualità di intermediario, e non in nome proprio, tra il viaggiatore ed il terzo fornitore di servizi oppure fornisca singoli servizi turistici, svincolati dall’organizzazione del viaggio”.
Per questi motivi La Corte: rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame nonché per la regolazione complessiva delle spese alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2015.