RITENUTO IN FATTO
1.Il Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Asti con decreto 5.5.2014 dichiarava inammissibile l’opposizione di (convivente more uxorio Omissis) alla richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero nel procedimento contro (imputati Omissis). Pur essendovi dissapori tra la vittima del delitto ed i possibili autori, osservava, non vi erano, all’esito delle indagini espletate, elementi concreti per sostenere l’accusa.
2. Ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, (convivente more uxorio Omissis) e deduce: -nullità del decreto di archiviazione per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza (art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen.) in relazione agli artt. 408, 410 cod. proc. pen. nonché carenza contraddittorietà e illogicità della motivazione risultante dal testo del decreto emesso. Si deduce nullità o abnormità del decreto che non è stato preceduto dalla fissazione dell’udienza in camera di consiglio per ascoltare in contraddittorio l’opponente, il Pubblico Ministero e gli indagati. Si è erroneamente ritenuto che l’opposizione sia inammissibile se l’opponente non rappresenti al giudice strade investigative suppletive diverse da quelle percorse dal Pubblico Ministero. L’opposizione-si lamenta-conteneva entrambe le condizioni di cui all’art 410 cod. proc. pen. Erano state indicate quattro specifiche circostanze necessarie per la prosecuzione delle indagini, con precisazione dei relativi atti istruttori da compiere. Il giudice, contrariamente, aveva deciso senza instaurare il contraddittorio. L’omessa fissazione dell’udienza camerale aveva determinato la violazione indicata in ricorso.
3.Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, depositata in data 1-7-2015, ha osservato che l’art. 90 comma 3 cod. proc. pen. prevede che in caso di decesso della persona offesa i diritti e le facoltà spettano ai prossimi congiunti di essa. L’art 307 ult. comma cod. pen., norma di riferimento per la delimitazione della categoria in questione, non include la convivente. La (convivente more uxorio Omissis), qualificatasi tale, dunque, non poteva ritenersi persona legittimata all’opposizione e, dunque, legittimata al ricorso. L’art 408 cod. proc. pen., infatti, attribuisce tale facoltà alla persona offesa e non al danneggiato dal reato (qualità diversa e che piuttosto legittima la costituzione di parte civile). Nel merito in ogni caso si è ritenuto generico il ricorso, poiché l’istante si limita ad indicare quattro specifiche circostanze e gli atti da compiere senza, tuttavia, dedurre in ordine all’effettiva novità di essi (negata dal Gip) ed in relazione ai quali non sarebbe possibile intendere se si tratti di attività già svolte o parzialmente svolte dal P.M. Si è concluso per l’inammissibilità del ricorso.
OSSERVA IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto per quanto si passa ad esporre.
1.1.Tema pregiudiziale è quello relativo alla legittimazione ad opporre il provvedimento di archiviazione e quello relativo alla proponibilità del ricorso per cassazione. La questione va affrontata in via preliminare, poiché alla luce della requisitoria scritta del Procuratore generale la mera convivenza more uxorio non titolerebbe all’opposizione ex art 410 cod. proc. pen. avverso la richiesta di archiviazione e, dunque, non ammetterebbe il relativo ricorso per cassazione contro il decreto assunto de plano dal Giudice per le indagini preliminari. La soluzione deriverebbe dal combinato disposto degli artt. 90 comma 3 cod. proc. pen. e 307 comma quarto cod. pen. In caso di decesso della persona offesa i diritti e le facoltà spetterebbero ai prossimi congiunti di essa, tra i quali l’art. 307 cod. proc. pen. non include il convivente more uxorio.
1.2. Indubbiamente nella determinazione della categoria dei “prossimi congiunti” (art. 307, comma 4 cod. pen.) si è tradizionalmente fatto riferimento alla famiglia legittima, escludendo la possibile rilevanza della convivenza more uxorio (Sez. 6^, sentenza n. 35067 del 26 ottobre 2006, CED Cass. n. 234862, in materia di causa di non punibilità operante per il coniuge, ai sensi del combinato disposto dell’art. 384 cod. pen., comma 1 e art. 307 cod. pen.; isolatamente Sez. 6^, sentenza n. 22398 dell’il maggio 2004, CED Cass. n. 229676 aveva ritenuto possibile il ricorso all’analogia in bonam partem). La stessa Corte costituzionale in un passato non recente (sentenze n. 352 del 1989, n. 8 del 1996 e n. 121 del 2004) aveva ritenuto giustificata la mancata equiparazione del coniuge al convivente. Affermava, tuttavia, che un consolidato rapporto (come la convivenza more uxorio), ancorché di fatto, non risultasse costituzionalmente irrilevante, in funzione delle formazioni sociali e delle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (art. 2 Cost.) e ciò tanto più là dove vi fosse stata presenza di prole. Anche con riferimento all’art. 649 cod. pen. (casi di non punibilità, o di punibilità a querela della persona offesa, per reati contro il patrimonio commessi in danno di congiunti) la giurisprudenza di legittimità aveva escluso l’estensione dell’istituto alle unioni di fatto (così, fra le tante, Sez. 5^, sentenza n. 34339 del 26 settembre 2005, CED Cass. n. 232253; approccio che la Corte costituzionale – sentenza n. 352 del 2000; n. 1122 del 1988; n. 423 del 1988 – ha ritenuto legittimo).
1.3 Pur considerando la mera convivenza un legame non integralmente equiparabile al vincolo familiare fondato sul matrimonio si è, tuttavia, avviato un processo interpretativo proteso al riconoscimento di rilevanza giuridica anche alla cd famiglia di fatto. Si è ammessa in questo tracciato la configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) anche in danno del convivente more uxorio. Più in generale può dirsi che la tutela penale apprestata dalla categoria dei reati contro la famiglia sia stata progressivamente estesa in giurisprudenza alle unioni di fatto in termini sostanzialmente pacifici (Sez. 6^, sentenza n. 20647 del 29 gennaio 2008, CED Cass. n. 239726). Non solo. Anche ad altri fini il fenomeno ha assunto crismi di indiscutibile rilevanza. In tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato tra i redditi dei familiari conviventi si è ritenuto rientrassero pacificamente quelli del convivente more uxorio. L’art 76, comma 2, del d.p.r. 115/2002 richiama le unioni familiari, senza distinguerne la genesi e si è concluso che esso si riferisse anche a quelle di fatto (Sez. 4, sentenza n. 109 del 5 gennaio 2006, CEd Cass. n. 23277). D’altro canto la convivenza more uxorio ha subito un progressivo adattamento interpretativo, sino a comporne uno statuto di rilevanza giurisprudenzialmente definito. In questo senso, accanto alle aperture già segnalate, la convivenza è stata ritenuta rilevante ai fini del riconoscimento della sussistenza dell’attenuante della provocazione (art. 62 c.p., n. 2) (Sez. 6, sentenza n. 12477 del 18 ottobre 1985, CED Cass. n. 171450) ed ai fini dell’operatività della causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista dall’art. 649 cod. pen. (Sez 4, sentenza n. 32190 del 21 maggio 2009, CED Cass. n. 244682). Gli stessi interventi legislativi hanno preso atto del fenomeno percependo come il concetto di famiglia fosse caratterizzato da nuove dinamiche che l’ordinamento non avrebbe potuto superficialmente ignorare. Si è, in definitiva, considerato come il concetto di famiglia tradizionalmente costruito sul vincolo di coniugio fondato sul matrimonio si fosse progressivamente aperto a mutamenti culturali tali da includere qualsiasi consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni affettivo-sentimentali e consuetudini di vita, apprezzabili nel tempo, fossero sorti rapporti di assistenza e di solidarietà. I primi segni di questa tendenza si ricavano dal testo dell’art. 199 cod. proc. pen. che ha esteso la facoltà di astenersi dal deporre al convivente su fatti verificatisi o appresi in quella congiuntura. L’evoluzione normativa è andata in questa direzione. Basta richiamare la legge n. 66 del 1996, che, in più parti, prende in considerazione la figura del “convivente” di fatto del genitore, equiparandola a quella del coniuge (art. 609-quater, comma 2, cod. pen., art. 609-septies, comma 4, n. 2, cod. pen. e art. 612-sexies cod. pen.; la legge n. 269 del 1998, che introducendo l’art. 600-sexies c.p. prevede un’aggravante che richiama il ruolo del convivente. In materia processuale la legge n. 154 del 2001, ancora, contempla l’applicazione al convivente della misura cautelare coercitiva dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis cod. proc. pen.) e sul piano sostanziale rileva l’introduzione dell’art. 612 bis cod. pen. (per effetto del d.l. n. 11 del 2009, convertito nella L. n. 38 del 2009) che equipara, ai fini dell’aggravante la posizione del coniuge legalmente separato o divorziato a quella della “persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa”.
1.4. Pur a fronte di tendenza siffatta non si è mancato anche in un passato non molto lontano di ribadire orientamenti pregressi. Sul tema della disciplina dettata dall’art. 384 cod. pen., si è esclusa ad esempio ancora una volta l’applicabilità al convivente more uxorio, nel delitto di favoreggiamento personale, la causa di non punibilità che opera per il coniuge (Sez. 5, sentenza n. 4Il39 del 22 ottobre 2010, CED Cass. n. 248903; in senso contrario, tuttavia, Sez. 2, sentenza n. 34147 del 30/04/2015 Ud. (dep. 04/08/2015) Rv. 264630). La Corte costituzionale (Corte cost., sentenza n. 140 del 2009), con riferimento all’istituto di cui all’art. 384 cod. pen. comma 1, ha ribadito che la convivenza more uxorio è fenomeno diverso dal vincolo coniugale. Il secondo ha aggancio costituzionale nella specifica previsione di cui all’art. 29 Cost., mentre il primo ha rilevanza nell’ambito della protezione dei diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost.. Tale diversità giustifica che la legge possa riservare ai due istituti trattamenti giuridici non omogenei.
1.5. Si tratta di impostazioni, tuttavia, non sempre in perfetta linea con quanto ha affermato la giurisprudenza della Corte EDU. Ai rapporti di fatto si ritiene, invero, che l’art. 8 della Convenzione EDU cit. assicuri tutela piena (sentenza 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, ove si annota che la nozione di famiglia accolta dalla citata disposizione non si basa necessariamente sul vincolo del matrimonio, ma anche su ulteriori legami di fatto particolarmente stretti e fondati su una stabile convivenza). Il principio è stato ribadito (sentenza 13 dicembre 2007, Emonet ed altri contro Svizzera) anche affermando che possano essere indici rivelatori della stabilità del nucleo la durata della convivenza e l’eventuale nascita di figli.
2. Alla luce di quanto premesso deve osservarsi che l’interpretazione proposta del combinato disposto di cui agli artt. 90 comma 3 cod. proc. pen. e 307 comma quarto cod. pen. non sia conforme ai principi enucleati ed alla stessa linea ricostruttiva che deriva dall’interpretazione dell’art. 8 CEDU, nel tracciato delineato. D’altro canto si tratta, de iure condito, di verificare se l’esclusione del convivente more uxorio dalla categoria dei prossimi congiunti di cui all’art. 307 comma quarto cod. pen., in funzione della possibilità di opporsi alla richiesta di archiviazione, ex art 410 cod. proc. pen. e, dunque, di ricorrere per cassazione, abbia un fondamento interpretativo razionale, tale da giustificare l’eventuale diversificazione di facoltà e poteri che l’Ordinamento ritiene legittimo riservare all’esercizio esclusivo del coniuge della persona offesa, escludendo appunto colui che a costei sia legato da un legame di puro fatto.
2.1. A ben riflettere un’interpretazione che ritenesse precluso al convivente l’esercizio dei diritti della persona offesa, deceduta per effetto del reato, non sarebbe sorretta da una valida giustificazione razionale. La riserva, infatti, al prossimo congiunto dell’esercizio dei diritti di spettanza della vittima del reato è fondata sulla particolare natura dei rapporti relazionali che esistono tra la persona offesa e la categoria dei familiari compresi nell’art. 307 comma quarto cod. pen. Si tratta di soggetti legati da vincoli più o meno stretti, che enucleano il perimetro di definizione della categoria facendo leva esclusivamente sul concetto di parentela “istituzionale” e richiamando ancora quello di coniugio e di affinità. Ai fini che qui rilevano, dunque, il rapporto di formale coniugio è considerato dalla norma in funzione dell’inclusione, appunto, nella categoria anche del coniuge, soggetto che non è legato da vincolo di parentela in senso stretto, per discendenza diretta o collaterale. Il legislatore, pertanto, pone a fondamento dell’inclusione tra i prossimi congiunti del coniuge stesso, lo stretto legame relazionale e d’affectio che trae scaturigine dal rapporto matrimoniale e che attraverso esso si formalizza giuridicamente. In questa prospettiva, dunque, non vi sarebbe motivo razionale per fondare l’esclusione dalla categoria in esame, ai fini ovviamente della legittimazione all’opposizione alla richiesta di archiviazione ed al conseguente ricorso per cassazione, del convivente more uxorio. Ciò perché il vincolo matrimoniale rileva non in quanto e nella sua pura formalità, ma poiché ad esso sottostà quel “nucleo relazionale-affettivo” cui l’ordinamento ritiene di offrire tutela e crismi di giuridicità. Alla luce della giurisprudenza CEDU sopra richiamata e della stessa progressiva rivisitazione dell’istituto della convivenza familiare di fatto, può dirsi che allo stato si sia delineato un concetto di nucleo familiare che si consolida pur in assenza di un vincolo di coniugio formale e che dà vita, ciò nonostante, ad un consorzio di persone tra le quali, egualmente, si instaurano strette relazioni affettive, consuetudini di vita e rapporti di assistenza e solidarietà reciproca, protesi a durare, senza margini predefiniti temporali. Si intende allora come al cospetto di realtà siffatta, in cui non emergono profili di inconciliabilità con la disciplina dell'”istituzione familiare” in sen stretto e ricorra una stabilità di rapporti, che si consolida in favore del convivente attribuendogli una posizione qualificata e differenziata, non abbia ragion d’essere un’interpretazione che ne escluda il diritto a formalizzare opposizione alla richiesta di archiviazione. D’altro canto in questa prospettiva ed a tutela del medesimo rapporto relazionale in fatto lo stesso art. 199 cod. proc. pen. ha già da tempo esteso i diritti dei prossimi congiunti, in funzione dell’astensione dalla deposizione, al convivente. Ciò accade proprio perché processualmente si intende apprestare una tutela analoga a quella dei componenti della famiglia tradizionalmente intesa anche a favore di tutte le relazioni affettivo-assistenziali identiche nei substrato sostanziale al nucleo fondato sul matrimonio. D’altro canto il convivente in quanto possibile danneggiato dal reato avrebbe legittimazione all’azione civile ex art. 74 cod. proc. pen.; escluderlo dalla possibilità di presentare opposizione alla richiesta di archiviazione significherebbe precludere una facoltà in stretto collegamento con il possibile esercizio dell’azione stessa testé evocata. Invero, l’opposizione all’archiviazione può risultare strumentale proprio all’esercizio di quel diritto, che non potrebbe trovare attuazione concreta se non si addivenisse, appunto, all’epilogo che ne integra il presupposto strutturale. Epilogo siffatto è proprio l’esercizio dell’azione penale cui, appunto, si protende attraverso l’opposizione alla richiesta di archiviazione. Quella tracciata, d’altro canto, è interpretazione ratificata dal legislatore sia pur con norma successiva alla presente decisione. Si è, infatti, adeguato il testo dell’art 90 comma 3 cod. proc. pen. all’interpretazione convenzionalmente conforme e si sono inserite nel testo della norma le parole “o da persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente (art 1 comma 1 lett. a) n. 2 D. Lvo 15 dicembre 2015 n. 212). Ciò posto va affermato il seguente principio di diritto: “il convivente more uxorio, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato ha diritto a presentare opposizione alla richiesta di archiviazione ex art 410 cod. proc. pen. ed a ricorrere per cassazione avverso il provvedimento relativo “.
L’opposizione all’archiviazione ed il ricorso per cassazione presentati nell’interesse di (convivente more uxorio Omissis) devono essere, pertanto, ritenuti ammissibili.
Nel merito il ricorso è fondato. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare che nell’archiviare con decreto un procedimento penale nonostante l’opposizione proposta, ai sensi del secondo comma dell’art. 410 c.p.p., il giudice è chiamato a motivare specificamente in ordine sia alla infondatezza della notizia di reato che alle cause della inammissibilità dell’opposizione suddetta per omessa indicazione dell’oggetto delle investigazioni suppletive e/o dei relativi elementi di prova; in difetto, si produce una violazione delle regole del contraddittorio, più volte affermata dalla giurisprudenza di questa Corte (v., da ultimo, Cass., Sez. 4^, n. 12980 del 17/01/2013, in proc. c. ignoti). Ancora su un piano generale, la giurisprudenza prevalente è orientata nel senso che il giudice, nel valutare l’ammissibilità dell’opposizione, deve limitarsi “ai soli profili di pertinenza e di specificità degli atti di indagine richiesti, senza valutarne la capacità probatoria, non potendo anticipare valutazioni di merito in ordine alla fondatezza o all’esito delle indagini suppletive indicate, in quanto l’opposizione è preordinata esclusivamente a sostituire il provvedimento de plano con il rito camerale” (Cass. Sez. 6^, n. 35787 del 10/07/2012, Settembre, Rv 253349; Sez. 5, Sentenza n. 64642 del 25/Il/2014 Cc. (dep. 13/02/2015 ) Rv. 263194). Ai fini di una eventuale declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, d’altro canto, possono rilevare le situazioni in cui la superfluità delle investigazioni e la non idoneità delle stesse a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio appaiano di immediata evidenza (v. Cass., Sez. 6^, n. 6579 del 13/Il/2012, Febbo). Nella fattispecie concreta, l’opponente ha indicato quattro specifiche circostanze su cui richiedeva approfondimento oltre agli atti istruttori di cui richiedeva l’espletamento. Senza instaurare il contraddittorio il Giudice per le indagini preliminari ha provveduto con il decreto impugnato e non ha dato contezza adeguata delle ragioni per cui le investigazioni suppletive sollecitate con l’atto di opposizione dovessero intendersi non pertinenti. Alla luce di quanto premesso il decreto impugnato deve essere annullato per violazione del contraddittorio. Segue rinvio per nuovo esame al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Asti.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame al G.I.P. del Tribunale di Asti.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2015