Ragioni in fatto e in diritto della decisione
1.- Il Tribunale di Roma, accogliendo l’opposizione proposta dagli ingiunti, ha revocato il decreto ingiuntivo emesso nei confronti della (società opponente Omissis) e dei suoi fideiussori (fideiussore Omissis 1), (fideiussore Omissis 2), (fideiussore Omissis 3) e (fideiussore Omissis 4) ed (fideiussore Omissis 5), avente ad oggetto il pagamento alla (Banca opposta Omissis) della somma di lire 828.383.109, oltre interessi al tasso prime rate ABI, quale saldo passivo complessivo dei C/C nn. ——-, ——-, ——– e ———/factoring, intrattenuti dalla società ingiunta con la Banca ricorrente. Il primo Giudice, premesso che in seguito all’opposizione, la Banca era gravata dall’onere di provare la sussistenza del rapporto dedotto in lite e l’entità del suo credito in linea capitale e per interessi, ha rilevato che la Banca non aveva ottemperato all’ordine di esibizione documentale, sicché la sua pretesa risultava priva di qualsiasi riscontro probatorio.
Con la sentenza impugnata (depositata il 5.3.2009) la Corte di appello di Roma ha accolto l’appello proposto dalla banca e, ferma la disposta revoca del decreto opposto, ha condannato gli ingiunti in solido al pagamento in favore della s.p.a. Banca (Omissis) la somma di euro 293.000,47, oltre interessi al tasso legale con decorrenza dal 1 0 .6.1997 al saldo effettivo.
Ha osservato la corte di merito – per quanto ancora interessa – << il primo Giudice non ha tenuto conto di tre dati essenziali per l’applicazione di detti principi al caso deciso: a) gli opponenti non hanno mosso alcuna contestazione, anzi hanno anche esplicitamente riconosciuto, l’esistenza dei rispettivi rapporti di conto corrente e di fideiussione; b) gli stessi in citazione introduttiva hanno mosso contestazioni specifiche esclusivamente in ordine alla contabilizzazione di interessi; c) essi hanno proposto istanza di esibizione dei contratti e degli estratti conto, chiedendo l’accertamento dell’esatto ammontare del proprio debito o credito, assumendo così l’onere della prova contraria. Inoltre il Tribunale non ha tenuto conto della circostanza che all’udienza fissata per l’esibizione della documentazione richiesta, la Banca (Omissis) chiese un rinvio per il deposito della documentazione richiesta, prima al G.I. e quindi allo stesso CTU, giustificando la richiesta con la difficoltà tecnica di reperimento dei documenti; e che dalla relazione di CTU risulta che effettivamente gli estratti conto furono, almeno parzialmente, esibiti e prodotti in data 7.03.2001 al CTU, che poté utilizzarla per redigere i calcoli richiesti dal G.I., sia pure con i limiti di cui si dirà in prosieguo. Tale deposito, ancorchè tardivo rispetto al termine assegnato, non può essere equiparato alla mancata ottemperanza all’ordine giudiziale, per gli effetti che possano derivarne ex art. 116 c.p.c.; né i medesimi elementi possono essere considerati inutilizzabili, vuoi perché non è stata dichiarata, prima della loro produzione, alcuna decadenza ai sensi dell’art. 208 c.p.c., vuoi perché l’unica conseguenza che la legge collega al mancato rispetto dell’ordine è la possibilità di trarne, nel concorso con gli altri elementi di prova, presunzioni sfavorevoli alla parte non ottemperante; presunzioni che nel caso sono superate dalla sopravvenuta produzione».
Dai calcoli eseguiti dal CTU dott. Scarinci, non censurati dalle parti sotto il profilo del procedimento tecnico contabile adottato o della correttezza delle rilevazioni contabili utilizzate, era emerso un debito complessivo alla data di chiusura dei conti (24.02.1997), già compensato il credito a favore della società emergente dal c/factoring n. 13315 (al 31.05.1997), di lire 567.328.024, pari ad euro 293.000,47, sul quale dovevano essere calcolati gli interessi al tasso legale semplice fino al saldo effettivo.
1.1.- Contro la sentenza di appello gli opponenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a un solo motivo.
Resiste con controricorso la (società Omissis) quale avente causa della banca intimata.
2.- Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 2697 c.c. e 210 c.p.c. e formulano il seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis: <<se la mancata produzione in giudizio (almeno parziale) dei documenti di cui era stata anche ordinata l’esibizione alla Banca su cui gravava l’onere della prova, possa costituire, in mancanza di altre prove, adempimento dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. e quindi se le prove documentali che la Banca ha omesso di fornire, quanto meno parzialmente, possano legittimamente far ritenere fondata la domanda attrice e provare i fatti che costituiscono il fondamento del diritto che si vuole far valere in giudizio».
3.- Il ricorso è inammissibile.
Infatti, i ricorrenti hanno omesso di impugnare ritualmente l’affermazione della sentenza impugnata secondo la quale «essi hanno proposto istanza di esibizione dei contratti e degli estratti conto, chiedendo l’accertamento dell’esatto ammontare del proprio debito o credito, assumendo così l’onere della prova contraria».
Nessun cenno, invece, è fatto nel prescritto quesito di diritto sulla ritenuta inversione dell’onere della prova da parte della corte territoriale, essendo esso formulato nel presupposto, invece, che l’onere della prova gravasse sulla banca, senza tenere conto di quella ratio decidendi (corretta o meno che fosse) posta a fondamento della sentenza impugnata.
L’inversione volontaria dell’onere della prova – pur possibile in relazione a un determinato comportamento processuale della parte (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 14306 del 07/07/2005) – non risulta specificamente dedotta e censurata neppure nello svolgimento del motivo di ricorso.
Questo, dunque, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 8.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese forfettarie come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 1° ottobre 2015.