Corte Suprema di Cassazione – sezione lavoro – sentenza n. 2327 del 5 febbraio 2016

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Svolgimento del processo

1. (Socio di maggioranza Omissis) della (società Omissis) e dal luglio 1995 amministratore unico della stessa, è stato iscritto all’Inps come socio lavoratore subordinato dal 11/2/1987 al 6/7/1995. Con accertamento del 19/5/1997 l’Inps ha disconosciuto la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. Il ricorso presentato dal (socio di maggioranza Omissis) avverso detto accertamento è stato respinto con sentenza passata in giudicato.

2.Con successivo ricorso il (socio di maggioranza Omissis) ha chiesto l’affermazione della responsabilità dell’Inps, con condanna del medesimo al risarcimento dei danni, per essersi egli ritrovato carente dei requisiti contributivi necessari per conseguire la pensione di anzianità, responsabilità riconducibile all’ente previdenziale che aveva prima ricevuto e poi annullato la contribuzione per il suddetto periodo. La domanda è stata rigettata dal Tribunale con statuizione confermata dalla Corte d’Appello (sentenza 24/10-20/11/2008), che ha ritenuto insussistente l’affermato incolpevole affidamento circa la regolarità della contribuzione.

3.Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il (socio di maggioranza Omissis) con cinque motivi di doglianza. Resiste l’Inps con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.). Lamenta che la Corte territoriale si sia limitata a rilevare che non vi è incompatibilità logica tra ruolo di membro del c.d.a. di una società e quello di lavoratore subordinato, tralasciando di considerare che l’argomento è del tutto inconferente, poiché il disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e il conseguente annullamento dei contributi, confermato in sede giurisdizionale, si è fondato esclusivamente sulla sua qualità di socio di maggioranza e sull’entità della quota societaria detenuta, circostanza desumibile dalla documentazione presentata all’Inps al momento dell’iscrizione. Conseguentemente l’iscrizione originaria doveva reputarsi ingiustificata.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e degli artt. 1137, 1338, 1175, 1176 c.c. ( art. 360 n. 3 c.p.c.).

Rileva che, tanto nell’attività amministrativa quanto nel rapporto con gli assicurati, l’Ente previdenziale deve improntare il proprio comportamento ai principi di trasparenza, imparzialità, corretta informazione, principi che trovano la loro fonte diretta nell’art. 97 della costituzione e nelle regole di correttezza e diligenza di cui agli artt. 1175 e 1176 c.c., in linea con le norme di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. Alla luce di tali regole doveva ritenersi che il ricorrente abbia confidato nella validità del contratto assicurativo, avendo il privato fornito i dati e documenti richiesti che l’Inps ha l’obbligo di vagliare per la realizzazione dei fini cui è preposto, e avendo l’Inps emesso un provvedimento di accoglimento.

3.Con il terzo motivo il ricorrente deduce omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.). Rileva che è stato trascurato l’esame dei documenti attinenti all’iscrizione e all’accertamento dell’Inps, e che la Corte territoriale aveva omesso la motivazione riguardo al dedotto legittimo affidamento sulla regolarità dell’iscrizione medesima.

4. Con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 132 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza per essere stata omessa la trascrizione integrale delle conclusioni dell’appellante.

5.Con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza. Rileva che la Corte territoriale non aveva pronunciato in relazione alla domanda concernente l’importo di € 5.463,25, riguardante i contributi volontari versati a titolo di restituzione, avanzata unitamente a quella di pagamento a titolo risarcitorio.

6. Con il sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e 152 disp att c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per essere stato condannato alle spese del procedimento di secondo grado nonostante fosse stato ammesso al gratuito patrocinio in primo grado e avesse ottemperato al disposto dell’art. 152 disp att c.p.c. (vedi Cass. 9636/2015 rv 635220).

7. I primi tre motivi, unitariamente considerati in ragione dell’intima connessione, sono infondati. La sentenza, infatti, affronta il tema dell’affidamento prospettato dal ricorrente in relazione alla circostanza allegata della sua qualità di socio di maggioranza, evidenziando che, essendo stata accertata in sede processuale la mancanza di subordinazione, doveva ritenersi nota allo stesso (socio di maggioranza Omissis) la situazione determinante l’invalidità della contribuzione.

Da ciò l’impossibilità di ravvisare responsabilità precontrattuale in capo all’amministrazione in relazione al dovere di informazione della medesima riguardo a proprie attività di istituto. Stante la stessa intrinseca inconciliabilità della posizione del ricorrente con quella di lavoratore subordinato, in ragione anche dell’attività dallo stesso svolta, implicante determinate conoscenze, non è ravvisabile quella situazione di mancanza di colpa in capo all’altro contraente che sola può giustificare la sussistenza di una responsabilità ex art. 1338 c.c. in capo all’Istituto.

7.1. Il ragionamento della Corte territoriale non merita censure.

7.2. In applicazione dell’istituto della responsabilità precontrattuale per carenza di informazione da parte della Pubblica Amministrazione nei confronti della controparte, deve reputarsi che, in ragione del carattere generale delle norme in tema di individuazione dei caratteri della subordinazione, note alla generalità dei consociati, e, altresì, della peculiare posizione di socio di maggioranza rivestita dall’interessato nella struttura sociale in relazione alla quale vanta il rapporto di subordinazione, il ricorrente non possa addossare alla controparte il danno che è conseguenza del proprio comportamento. Ciò alla luce del principio generale desumibile dall’art. 1227 c.c., c. 1, in forza del quale non può sorgere un obbligo risarcitorio nei confronti di un soggetto che versi in colpa, perché a conoscenza della causa che ha determinato l’invalidità o l’inefficacia del rapporto. Ed invero, secondo il principio affermato da Cass. sez. 1, n. 9636 del 12/05/2015, Rv. 635220, l’art. 1338 c.c. pone a carico di una delle parti l’obbligo specifico di informare l’altra parte dell’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia del contratto, salva la facoltà della parte obbligata di dimostrare che l’altra parte aveva confidato nella suddetta validità o efficacia “non senza sua colpa”, in ragione delle circostanze di fatto e tenuto conto della sua posizione sociale o professionale. La principale funzione dell’art. 1338, infatti, è quella di compensare l’asimmetria informativa nelle contrattazioni tra le parti che non sono su un piano di parità, come avviene nei rapporti con la Pubblica Amministrazione” : da ciò la necessità di indagare sulla scusabilità dell’affidamento del contraente alla luce della conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità.

7.2.In definitiva, può essere enunciato il seguente principio di diritto: in sede di accertamento riguardo all’affidamento incolpevole di un contraente nella validità ed efficacia del rapporto assicurativo con la Pubblica Amministrazione – al fine di escludere o affermare la responsabilità di quest’ultima, a norma dell’art. 1338 c.c. – il giudice di merito deve verificare in concreto se l’invalidità o inefficacia del rapporto assicurativo fosse conoscibile dal privato, tenuto conto della univocità dell’interpretazione della norma e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità”.

8. Il quarto motivo è infondato alla luce del principio, più volte enunciato da questa Corte di legittimità, in forza del quale (si veda Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18609 del 22/09/2015, Rv. 636980) la mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera irregolarità formale, irrilevante ai fini della sua validità.

9. In ordine al quinto motivo, deve rilevarsi che il ricorso difetta di autosufficienza, poiché non risultano allegati né riportati gli atti del giudizio di primo grado dai quali trarre l’esatta prospettazione dei termini della domanda, né di tali atti è specificata la collocazione nel fascicolo processuale, mediante puntuale indicazione della loro ubicazione. Deve essere richiamato in proposito il principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte in forza del quale “in tema di ricorso per cassazione, ai fini della ammissibilità del motivo con il quale si lamenta un vizio del procedimento (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) per erronea individuazione del “chiesto” ex art. 112 cod. proc. civ. (nella specie, l’esistenza di un concorso dei danneggiati nella causazione del danno, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ.), affermandosi che la deduzione della situazione di fatto pertinente alla richiesta è avvenuta sin dalla comparsa di costituzione in primo grado, è necessario che il ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza dell’impugnazione, indichi le espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel giudizio di merito, non potendo a tal fine limitarsi ad asserire che si tratti di fatto pacifico allorché neppure individui l’allegazione con la quale esso sarebbe stato introdotto e mantenuto nella controversia, posto che è pacifico soltanto il fatto che la parte abbia allegato, in modo tale che la controparte possa ammetterlo direttamente ed espressamente oppure in modo indiretto, attraverso l’affermazione di un fatto che lo presupponga” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10605 del 30/04/2010, Rv. 612776).

10. L’ultimo motivo di ricorso non merita accoglimento, poiché fondato sull’art. 152 disp. att. che prevede l’esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali, laddove nella specie trattasi di controversia  avente ad oggetto risarcimento dei danni, estranea al conseguimento di una prestazione previdenziale.

11. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio sostenute dall’Inps, liquidate in € 100,00 per esborsi e in € 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma il 3/11/2015

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