RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. (Omissis), ha respinto il gravame avverso la pronuncia con cui il Tribunale di Prato aveva dichiarato il diritto di (Omissis) a vedersi riconosciuta l’anzianità contributiva per 52 settimane per tutti gli anni, dal gennaio 2003 in avanti, durante i quali essa aveva lavorato in regime di part time verticale, sulla base di dieci mesi all’anno; la Corte territoriale, nel confermare l’accoglimento della domanda, richiamava la pronuncia di Corte di Giustizia 10 giugno 2010, Bruno, da cui emergeva la necessità di tenere conto, nel calcolo dell’anzianità contributiva, anche dei periodi non lavorati; l’I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione sulle base di un unico motivo, resistito da controricorso della (Omissis);
CONSIDERATO CHE
con l’unico motivo di ricorso l’ente previdenziale sostiene, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c, la violazione del d. Igs. 61/2000, dell’art. 5, comma 11, del d.l. 726/1984 e dell’art. 7, comma 1, d.l. 463/1983, conv. con mod. in L. 638/1983, per essersi disatteso l’assunto secondo cui i periodi di inattività lavorativa del part time verticale dovessero essere considerati neutri rispetto alla maturazione dell’anzianità contributiva computabile a fini pensionistici;
il motivo è infondato essendo consolidato (da ultimo, v. Cass. 10 aprile 2018 n. 8772), pur se con alcune diverse sfumature motivazionali, l’orientamento secondo cui l’art. 5, comma 11, d.l. 726/1984 (in forza del quale ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva «inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale» va calcolata «proporzionalmente all’orario effettivamente svolto») va inteso, sia per formulazione della disciplina, sia (Cass. 2 dicembre 2015, n. 24532) per ragioni di conformità rispetto alla normativa eurounitaria (come interpretata dalla CGUE, 10 giugno 2010 cause riunite C395/08 e C-396/08) sia anche per ragioni di parità di trattamento proprie già del diritto interno (Cass. 6 luglio 2017, n. 16677), nel senso che l’ammontare dei contributi versati ai sensi dell’art. 7 del d.l. 463 del 1983 (o poi sulla base delle successive ed identiche previsioni di cui all’art. 9, co. 4, d. Igs. 61/2000 e di cui all’art. 11, co. 4, d. Igs. 81/2015), debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi stessi ed il rapporto si riferiscono, non potendosi quindi escludere dal calcolo dell’anzianità contributiva utile per acquisire il diritto alla pensione nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale cd. verticale ciclico, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro;
ciò comporta la reiezione del ricorso, avendo la Corte territoriale fatto applicazione di tali principi e deciso la controversia in conformità ad essi;
le spese del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 20.4.2018.