Qui di seguito la motivazione integrale della sentenza della Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 29 gennaio 2015, n. 1674
Svolgimento del processo
B.M. , partecipante al condominio di via (omissis) , quale proprietario di un magazzino al piano scantinato e di locali adibiti ad esercizio commerciale, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Velletri, il predetto condominio e i condomini singolarmente – cioè B.G. , P.A. , Be.Sp. , S.D. , P.I. , O.P. , O.A.M. , D.G.C. , L.G. , C.E. , Pe.Gi. , b.g. e M.B. – per sentirli condannare al risarcimento dei danni cagionati alla sua proprietà da infiltrazioni d’acqua e ristagni d’umidità, e all’eliminazione delle relative cause.
Nel resistere in giudizio i convenuti tutti, ad eccezione di B.G. e di M.B. , che non si costituivano, chiedevano il rigetto della domanda.
Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, affermando la responsabilità dei convenuti – i condomini nei limiti delle rispettive quote – in ragione del 50% e solo limitatamente ai danni arrecati al magazzino.
L’appello principale proposto dal condominio e quello incidentale avanzato da B.M. erano respinti dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4805 del 7.11.2006. Osservava la Corte territoriale che la relazione del c.t.u. aveva ben definito il discrimine, nell’ambito delle cause del fatto dannoso, fra difetti originari di costruzione ed opere realizzate dal condominio o comunque omessa manutenzione delle parti comuni dell’edificio. A tal riguardo, osservava la Corte, era significativo che pur dopo l’esecuzione dei lavori disposti dal giudice istnittorc, infiltrazioni e ristagni non apparivano del tutto eliminati. Nonostante l’eliminazione delle cause d’infiltrazione ascrivibili al condominio, permaneva l’afflusso e il ristagno d’umidità, l’uno e l’altro riconducibili alla condizione strutturale dell’immobile.
In merito all’appello incidentale del B. , che aveva lamentato il rigetto della domanda risarcitoria quanto ai locali adibiti a negozio, la Corte territoriale osservava che il c.t.u. aveva rilevato che mentre all’epoca di costruzione del fabbricato condominiale il marciapiede era posto ad una quota più alta rispetto alla via pubblica, e con pendenza verso di essa, la realizzazione della fognatura pubblica da parte del comune aveva invertito la situazione dei luoghi, con conseguente deflusso dell’acqua verso la via traversa. Inconveniente, questo, cui il condominio aveva ovviato con la creazione di una passerella con sottostante tubo in pvc per la raccolta dell’acqua, senza che ciò provocasse ristagni a carico della proprietà dell’attore.
Quanto alla negata solidarietà passiva fra i singoli condomini, la Corte capitolina rilevava (richiamandosi a Cass. n. 8530/96) che la distinzione tra rapporti interni e rapporti esterni non rispondeva al dato testuale dell’art. 1123 c.c.. Nella disciplina positiva del condominio, proseguiva, vi è un collegamento immediato tra le obbligazioni e le quote che esprimono la proprietà, per cui, secondo il combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. i diritti e le obbligazioni dei condomini sono proporzionati al valore del bene in proprietà solitaria, sicché all’adempimento delle obbligazioni i condomini sono tenuti sempre in proporzione alle rispettive quote.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre B.M. , in base a due motivi.
Resistono con separati controricorsi il condominio, che propone altresì impugnazione incidentale, e P.I. .
Il ricorrente principale ha proposto, altresì, controricorso al ricorso incidentale del condominio.
Concesso apposito termine, l’amministratore di quest’ultimo non ha depositato la delibera di autorizzazione dell’assemblea condominiale a resistere con controricorso e a proporre il ricorso incidentale.
A seguito dell’integrazione del contraddittorio e della rinnovazione delle notificazioni disposte da questa Corte, gli altri intimati e gli eredi di C.E. , deceduta, non hanno svolto attività difensiva.
Nell’imminenza dell’udienza di discussione il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c. la riunione dei due ricorsi, in quanto proposti contro la medesima sentenza.
1. – Col primo motivo del ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione “di norme di diritto”.
Parte ricorrente lamenta che non sia stata pronunciata la condanna dei convenuti in solido fra loro e con il condominio in applicazione dell’art. 1294 c.c., secondo cui i condebitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente, norma che in materia condominiale non risulta derogata da specifiche disposizioni.
Formula al riguardo il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie: “dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione adita se, in tema di condominio, debba applicarsi l’art. 1294 c.c. per cui i condebitori (condomini) sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo no risulta altrimenti, ritenendo che tale disposizione non sia derogata dalle norme specifiche concernenti il condominio negli edifici”.
2. – Il secondo motivo, articolato in più punti, denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo.
Sostiene parte ricorrente che nel ripartire al 50% la responsabilità dei danni per cui è causa fra l’attore e il condominio, la Corte distrettuale non ha considerato come i vari accertamenti tecnici svolti abbiano evidenziato che le cause delle infiltrazioni sono costituite anche da perdite degli impianti, vale a dire il serbatoio e i macchini della rete condominiale. Né è esatto, prosegue la censura, che la prova dell’esistenza di cause relative a difetti costruttivi sia dimostrata – come ha sostenuto la Corte d’appello — dal fatto che gli inconvenienti permangano in parte nonostante l’esecuzione dei lavori stabiliti, perché il condominio non ha ancora realizzato quanto impostogli dal giudice di primo grado.
Ancora, non è esatto, prosegue il ricorrente, che il locale danneggiato sia privo di ventilazione. La relativa entrata, per le sue dimensioni, è tale da costituire una fonte più che adeguata di aerazione, evitando fenomeni di condensa.
Inoltre, è insufficiente la motivazione della sentenza impugnata circa l’esistenza di una “colpa” dell’attore, per essere egli erede del costruttore, e per lo stato d’abbandono dell’immobile, ove si consideri che B.M. ha avuto la disponibilità del locale solo nel 1989, e già l’anno successivo egli ebbe a richiedere l’accertamento tecnico preventivo sulle cause dei danni.
Sarebbe illegittima, inoltre, l’esclusione del risarcimento per i danni provocati dal ristagno delle acque piovane sul marciapiedi. Erroneamente i giudici di merito hanno considerato che tale disagio sia stata provocato dall’innalzamento del manto stradale effettuato dal comune di Ciampino per realizzare la fognatura pubblica, portando così il marciapiedi preesistente ad una quota più bassa. La Corte territoriale non ha considerato il fatto che l’opera (una passerella in muratura con sottostante tubo in pvc) eseguita dal condominio per rimuovere il problema è stata posta in essere non su tutto il marciapiede condominiale, ma solo sulla parte relativa all’ingresso dello stabile, e non anche in corrispondenza dell’ingresso dei negozi del ricorrente.
Ancora, prosegue il ricorrente, i giudici di merito hanno erroneamente valutato, ai fini della quantificazione del risarcimento, il canone locativo calcolato dal c.t.u., invece di considerare il reale valore di mercato dell’immobile, ignorando la documentazione prodotta dall’attore che provava un canone maggiore rispetto a quello indicato dall’ausiliario del giudice.
Infine, la Corte territoriale, pur riconoscendo che il giudice di primo grado, non aveva provveduto sulla domanda di condanna in solido del condominio e dei condomini al compimento delle opere necessarie a riparare il magazzino, ha affermato, contraddittoriamente con quanto ritenuto nella stessa sentenza, che nel corso del giudizio non era stata provata, di tali danni, l’esistenza, la natura, l’entità e il costo di ripristino.
3. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale il condominio deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 395, n. 5 c.p.c..
La Corte territoriale non si è pronunciata sul secondo motivo dell’appello incidentale del condominio stesso, che aveva lamentato la genericità, l’indeterminatezza e l’onerosità dell’ulteriore (rispetto a quanto già eseguito nel corso del giudizio di primo grado) obbligo di fare impostogli dalla sentenza del Tribunale. La Corte territoriale si è limitata ad osservare incidenter che l’esecuzione dei lavori ulteriori a nord del fabbricato mirava ad eliminare effetti eccezionali, collegati ad accumuli conseguenti a precipitazioni intense. Pertanto, secondo la Corte capitolina, tale residuo obbligo di fare sarebbe finalizzato alla rimozione di cause del tutto eventuali e marginali. Di qui la contraddittorietà del decisum, che perpetua un obbligo risarcitorio a carico del condominio, il quale ha già provveduto ad eliminare le cause certe del danno.
3. – Il primo motivo del ricorso principale (che sebbene genericamente intitolato è chiaramente riferito, nello svolgimento e nel quesito di diritto, alla violazione dell’art. 1294 c.c.) è fondato nei termini che seguono.
3.1. – La natura delle obbligazioni dei singoli condomini verso i terzi è i stata oggetto, vigente la disciplina anteriore alla legge n. 220/12 (in vigore dal 18.6.2013), di un intervento delle S.U. di questa Corte, le quali con sentenza n. 9148/08 hanno affermato, in rapporto a obbligazioni assunte dall’amministratore in rappresentanza del condominio nei confronti di terzi, che in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, la responsabilità dei condomini nel caso di obbligazioni pecuniarie è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c..
Ciò in quanto, si legge in motivazione, la solidarietà configura, nei rapporti esterni tra creditore e debitori, il modo di essere di un’obbligazione intrinsecamente parziaria quando la legge privilegia la comunanza della prestazione. Diversamente, in assenza, cioè di un’espressa previsione normativa che stabilisca la solidarietà nel debito, la struttura parziaria dell’obbligazione ha il sopravvento e insorge una pluralità di obbligazioni tra loro connesse. Sebbene la solidarietà raffiguri un principio riguardante i condebitori in genere, tale principio generale è valido laddove, in concreto, sussistano tutti i presupposti previsti dalla legge per l’attuazione congiunta del condebito. E poiché la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di un’obbligazione intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell’obbligazione come solidale e, contemporaneamente, in presenza di un’obbligazione comune, ma naturalisticamente divisibile, viene meno uno dei requisiti della solidarietà, la quale, del resto, viene meno ogni qual volta la fonte dell’obbligazione comune è intimamente collegata con la titolarità delle res.
3.1.1. – Tale pronuncia delle S.U., emessa con riguardo ad un’obbligazione contrattuale che un condominio tramite il suo amministratore aveva assunto verso un terzo, ricollega dunque la solidarietà nelle obbligazioni divisibili ad una previsione legislativa che imponga l’esecuzione congiunta della prestazione.
In disparte il delicato problema dell’esportabilità del principio anzi detto oltre gli stretti limiti di corrispondenza alla fattispecie concreta posta all’esame delle S.U. (per un’argomentata negativa cfr. in motivazione Cass. n. 21907/11, che osserva come la decisione delle S.U. si basi essenzialmente su considerazioni ulteriori che eccedono il fondamento dell’art. 1294 c.c. e la sua applicabilità alla comunione), va osservato che in materia di responsabilità per fatto illecito l’espressa previsione della solidarietà passiva è contenuta nell’art. 2055, primo comma c.c., in base al quale se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno.
3.1.2. – L’applicabilità dell’art. 2055 c.c. (che opera un rafforzamento del credito evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota) ai danni da cosa condominiale in custodia trova una prima conferma, innanzi tutto, in alcuni precedenti di questa Corte, come Cass. n. 6665/09, che ha ritenuto il condomino danneggiato quale terzo rispetto allo stesso condominio cui è ascrivibile il danno stesso (con conseguente inapplicabilità dell’art. 1227, primo comma c.c.); Cass. n. 4797/01, per l’ipotesi di danni da omessa manutenzione del terrazzo di copertura cagionati al condomino proprietario dell’unità immobiliare sottostante; Cass. n. 6405/90, secondo cui i singoli proprietari delle varie unità immobiliari comprese in un edificio condominiale, sono a norma dell’art. 1117 c.c. (salvo che risulti diversamente dal titolo) comproprietari delle parti comuni, tra Le quali il lastrico solare, assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione, con la conseguenza, nel caso di danni a terzi per difetto di manutenzione del detto lastrico, della responsabilità solidale di tutti i condomini, a norma degli artt. 2051 e 2055 c.c..
3.1.3. – Ciò premesso a giustificazione di una linea di tendenza che appare già presente, va osservato che premesse storiche, ragioni sistematiche e considerazioni particolari alla fattispecie della responsabilità per danni derivanti da cose in custodia, confortano la tesi dell’applicabilità dell’art. 2055, 1 comma c.c. anche in ambito condominiale.
Nel codice civile del 1865, che come tutti i codici liberali dell’800 richiedeva, essendo ispirato al favor debitoris, una specifica fonte convenzionale o legale della solidarietà (v. l’art. 1188 c.c. 1865), la previsione della solidarietà passiva nelle ipotesi di delitto o quasi-delitto (v. l’art. 1156 c.c. 1865) impediva che l’opposto principio della parziarietà dell’obbligazione, concepito come una sorta di beneficio, potesse operare anche a vantaggio di chi, essendo autore di un illecito aquiliano, non ne era ritenuto degno.
Invertita nel codice vigente la regola generale sulla solidarietà passiva, l’art. 2055 c.c. può ritenersi mera norma di rimando all’art. 1294 c.c. solo a patto di riespandere quella portata generale e autoreferenziale di quest’ultima disposizione, che il citato arresto delle S.U. ha inteso comprimere.
Diversamente, minore è la pervasività della regola generale nelle singole ipotesi di obbligazioni soggettivamente complesse nel lato passivo, maggiore, di riflesso, è l’autonoma incidenza fondativa delle norme che prevedono la solidarietà in ambiti particolari, tra cui appunto l’art. 2055, 1 comma c.c. per quanto concerne la responsabilità extracontrattuale. Non può ipotizzarsi, infatti, che il sistema ponga allo stesso modo, con disposizioni ugualmente generiche e necessitanti d’integrazione, tanto la regola generale quanto quella di settore.
A ciò va aggiunto che la stessa struttura della responsabilità per danni prevista dall’art. 2051 c.c. presuppone l’identificazione di uno o più soggetti cui sia imputabile la custodia. Il custode non può essere identificato né nel condominio, interfaccia idoneo a rendere il danneggiato terzo rispetto agli altri condomini, ma pur sempre ente di sola gestione di beni comuni, né nel suo amministratore, essendo questi un mandatario dei condomini. Solo questi ultimi, invece, possono considerarsi investiti del governo della cosa, in base ad una disponibilità di fatto e ad un potere di diritto che deriva loro dalla proprietà piena sui beni comuni ex art. 1117 c.c. (sui requisiti in generale della custodia ai fini dell’applicazione dell’art. 2051 c.c., cfr. Cass. S.U. n. 12019/91).
Se ne deve trarre, pertanto, che il risarcimento del danno da cosa in custodia di proprietà condominiale non si sottrae alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, 1 comma c.c., individuati nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili.
4. – Il secondo motivo è, invece, infondato.
Esso si sostanzia in una complessiva rilettura delle emergenze istruttorie che della sentenza impugnata lamenta non già omissioni tematiche, ma la mancata valorizzazione di singoli elementi favorevoli alla tesi attorea; non deduce errori logici della motivazione, ma si duole di valutazioni di puro merito non conformi alle proprie aspettative e a quello che il ricorrente – e non la Corte territoriale – ritiene essere il corretto accertamento dei fatti. Ne consegue che la critica svolta non eccede l’ambito della mera sollecitazione di un sindacato di merito, incompatibile con i poteri che competono a questa Corte di legittimità.
5. – Il ricorso incidentale, infine, è inammissibile per difetto di legittimazione processuale dell’amministratore del condominio, non avendo questi depositato, nonostante il termine appositamente concesso (in base a Cass. S.U. n. 18331/10), la delibera condominiale autorizzativa.
6. – L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale impone la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, consente la decisione della causa nel merito, ai sensi dell’art. 384, 2 comma c.p.c., condannando i condomini evocati in giudizio in solido tra loro al risarcimento del danno in favore dell’attore.
7. – L’accoglimento solo parziale del ricorso principale induce a compensare integralmente le spese del doppio grado di merito e del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigettato il secondo, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito condanna i condomini evocati in giudizio in solido tra loro al risarcimento del danno in favore dell’attore; compensa integralmente fra le parti le spese del doppio grado di merito e del presente giudizio di cassazione.