Qui di seguito la motivazione integrale della sentenza della Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 dicembre 2014 – 2 febbraio 2015, n. 1861
Svolgimento del processo
1.- La società Natuzzi, titolare del marchio nazionale e comunitario “Divani&Divani”, chiese al Tribunale di Bari di inibire alla società “Divini&Divani” l’uso dell’omonimo marchio quale denominazione sociale e segno identificativo di divani e poltrone, di accertare la concorrenza sleale e di emettere i provvedimenti conseguenziali, deducendone la confondibilità con il proprio marchio che era dotato di una rilevante forza distintiva per effetto della sua prolungata utilizzazione nel tempo nel mercato dei salotti.
2.- Nel contraddittorio con la società convenuta il tribunale accolse le domanda relativa alla contraffazione del marchio e di risarcimento del danno per l’indebito vantaggio tratto dalla società convenuta e rigettò le domande di concorrenza sleale e quella connessa risarcitoria.
3.- La “Divini&Divani”, a sostegno del gravame, negava la confondibilità dei marchi e deduceva la debolezza di quello dell’attrice e l’insussistenza di danni risarcibili. Il gravame è stato accolto dalla Corte di appello di Bari, con sentenza 21 aprile 2008, che ha rigettato le domande della società Natuzzi.
4.- Quest’ultima ricorre per cassazione sulla base di tre motivi. La controparte non ha svolto difese.
Motivi della decisione
1.- I primi due motivi del ricorso sono connessi e vanno esaminati congiuntamente.
1.1.- Nel primo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 13 del c.p.i./d.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 (v. anche l’art. 47 bis del r.d. 21 giugno 1942 n. 929, in materia di marchi registrati, inserito dal d. lgs. 4 dicembre 1992 n. 480) per non avere la corte considerato che, seppure il segno registrato dalla Natuzzi fosse originariamente debole, esso aveva acquisito una forte capacità distintiva in ragione dell’intenso uso commerciale e pubblicitario che ne era stato fatto e che si protraeva da diciotto anni, indipendentemente dal momento della registrazione (avvenuta nel 1991, tra l’altro in epoca anteriore alla costituzione della “Divini&Divani”). Esso si conclude con un quesito diretto a stabilire che “un marchio originariamente debole, una volta acquisita capacità distintiva per l’uso commerciale che ne è stato fatto, abbisogna della più rigorosa tutela riconosciuta al marchio forte, anche se tale uso è successivo alla registrazione del marchio”.
1.2.- Nel secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 12, 20, comma 1, lett. b), e 22, comma 1, c.p.i. (v. anche gli artt. 13, comma 1, e 17, comma 1, lett. b, del r.d. n. 929/1942, sostituiti dal citato d. lgs. del 1992), per avere ignorato il rischio di confusione per il consumatore medio, che può essere tratto in inganno sull’origine di un prodotto avente grande notorietà sul mercato anche internazionale, stante la oggettiva ed estrema somiglianza tra i segni anche dal punto di vista grafico e considerata la coincidenza dell’oggetto sociale della Natuzzi con la “Divini&Divani”. Il quesito conclusivo è diretto stabilire che “l’interesse giuridico ad evitare il rischio di confusione per il pubblico, sotteso agli artt. 12, 20, comma 1, lett. b), 22 comma 1, c.p.i., e a garantire i consumatori circa la provenienza dei prodotti, deve prevalere sull’interesse alla disponibilità del segno per gli operatori di settore, quando il marchio registrato abbia conseguito su quel mercato un grado di notorietà tale da determinare una facile associazione tra marchio e segno dovuta al notevole grado di somiglianza”.
2.- I predetti motivi sono fondati nei termini che seguono, essendo non conformi a diritto entrambe le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata.
La corte di appello ha qualificato il marchio dell’attrice, “Divani&Divani”, come debole perché composto con parola di uso comune, senza una originalità connessa alla ripetizione della parola e all’inserimento della “e” commerciale (&), con la conseguenza che la sua tutela è limitata alla imitazione integrale, non ravvisabile nella fattispecie (a); inoltre, ha ritenuto non rilevante, al fine di accertare la natura debole o forte del marchio, la sua elevata diffusione commerciale e pubblicitaria, a causa del prolungato uso e delle caratteristiche stilistiche del segno adottato, poiché “non è comunque lo sforzo pubblicitario conseguente alla registrazione del marchio, ovvero l’ambito e i tempi di commercializzazione del prodotto che possono determinare il mutamento […] del marchio, originariamente debole, in […] marchio forte” (b). 2.1.- La prima delle suddette affermazioni (sub a) trascura i principi enunciati da questa Corte con riguardo sia alla tutela riconoscibile ai cosiddetti marchi deboli sia ai criteri che il giudice di merito deve seguire per accertare la confondibilità dei segni distintivi operanti sul mercato.
In particolare, la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non impedisce il riconoscimento della tutela nei confronti della contraffazione, in presenza dell’adozione di mere varianti formali, inidonee ad escludere la confondibilità con ciò che del marchio imitato costituisce l’aspetto caratterizzante, ovverosia il nucleo cui è affidata la funzione distintiva (v. Cass. n. 14684/2007). Quindi anche il marchio debole è protetto dalla contraffazione se la variante non esclude il rischio di confusione rispetto al nucleo del marchio cui è affidata la funzione descrittiva. Se si negasse tale principio si finirebbe per limitare la tutela del marchio debole ai casi di imitazione integrale o di somiglianza prossima all’identità, cioè di sostanziale sovrapponibilità del marchio utilizzato dal concorrente a quello anteriore registrato, ma tale conseguenza è estranea alla logica della tutela del marchio debole. Sarebbe inutile obiettare che il marchio di cui si invoca la tutela nella specie è costituito dalla ripetizione di una parola (“divani”) di uso comune per la denominazione del prodotto, poiché gli stessi giudici di merito (cui è riservato il relativo accertamento) ne hanno riconosciuto la capacità distintiva (v. artt. 18 r.d. n. 929/1942, mod. dal d.lgs. n. 480/1992, e 13 c.p.i.) e, quindi, la validità come marchio, seppure debole. E ciò coerentemente con il principio secondo cui anche una parola di uso comune può costituire un marchio registrabile, purché non abbia una funzione intrinsecamente descrittiva della qualità del prodotto, ma sia collegata ad esso da un accostamento di fantasia che le attribuisca carattere originale ed efficacia individualizzante (v. Cass. n. 91 e 1929/1998).
Inoltre, i giudici di merito hanno effettuato un esame particolareggiato dei singoli elementi costitutivi del segno e ne hanno valutato analiticamente la identità e somiglianza, ma hanno omesso di effettuare il giudizio finale in via globale e sintetica, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, dell’insieme degli elementi salienti, grafici e visivi; a tal fine è necessario assumere, per quanto possibile, la stessa posizione valutativa del consumatore medio di quel genere di prodotti al quale il marchio è presentato, prescindendo dalla possibilità di un attento esame comparativo, cioè mediante un raffronto tra il marchio presentato al consumatore ed il mero ricordo mnemonico dell’altro (v. Cass. n. 1437/1990, 4405/2006, n. 6193/2008).
Pertanto, essi avrebbero dovuto verificare se la società convenuta, utilizzando la denominazione sociale “Divini&Divani”, avesse inteso appropriarsi del nucleo centrale del messaggio individualizzante del marchio anteriore, riproducendolo o imitandolo nella parte destinata ad orientare le scelte dei potenziali acquirenti.
2.2.- È errata in diritto anche la seconda affermazione (sub b) che ha escluso la possibilità che un marchio, originariamente debole, diventi forte per effetto dell’elevata diffusione commerciale e pubblicitaria.
Questa Corte ha da tempo riconosciuto il c.d. secondary meaning (v. gli artt. 19 e 47 bis del r.d. n. 929/1942, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 480/1992; v. anche gli artt. 89, comma 2, del citato decreto del 1992 e 13, comma 3, c.p.i.). Tale fenomeno, elaborato ai fini della c.d. riabilitazione o convalidazione del segno originariamente privo di capacità distintiva, giacché mancante di originalità ovvero generico o descrittivo e che, tuttavia, finisce con il riceverla dall’uso che ne viene fatto nel mercato (v. Cass. n. 697/1999, n. 8119/2009), è stato utilizzato per cogliere ogni evoluzione della capacità distintiva, cioè anche come rafforzamento della capacità distintiva del marchio in origine debole (ma non nullo) che divenga successivamente forte attraverso la diffusione, la propaganda e la pubblicità (v. Cass. n. 4294/1974, n. 2884/1985, n. 18920/2004, n. 10071/2008).
In applicazione di questo principio, la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare se il marchio “Divani&Divani” avesse accumulato in sé una forza distintiva tale da fare riconoscere come rafforzata la propria capacità distintiva, per effetto del suo diffuso utilizzo a livello nazionale ed internazionale e del duraturo sostegno pubblicitario, come ritenuto dal primo giudice che lo aveva giudicato notorio e rinomato.
3.- Resta assorbito il terzo motivo di ricorso che deduce vizi motivazionali in ordine alla qualificazione del marchio della Natuzzi come debole.
4.- In conclusione, in accoglimento dei primi due motivi, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte di appello di Bari che, in diversa composizione, dovrà attenersi alle indicazioni e ai principi sopra espressi (nei paragrafi 2.1 e 2.2.) e provvederà sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.