In materia penale, il ricorso per cassazione che contenga tra i motivi anche la censura di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), non può essere presentato per saltum, ma deve essere convertito in appello, ai sensi dell’art. 569, comma 3, del codice di procedura penale
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione sesta penale – con ordinanza n. 45099 del 4 novembre 2015
Il caso
Con sentenza dell’8 maggio 2014 il Tribunale assolveva degli imputati dal reato di cui agli artt. 110-323 c.p. loro ascritto con la formula perché il fatto non sussiste.
Si contesta agli imputati di avere, in concorso fra loro e nelle rispettive qualità di Sindaco e Direttore generale del Comune, nonchè di terzo favorito dall’illecita condotta posta in essere dai predetti pubblici ufficiali, adottato, con provvedimento del Sindaco in data 3 aprile 2009, illegittime procedure di revoca anticipata dell’incarico di responsabile della posizione organizzativa “Polizia Municipale e Traffico”, conferito in data 14 gennaio 2004 e successivamente riconfermato sino al 31 dicembre 2009, e di conferimento dell’incarico di Comandante della Polizia municipale, a decorrere dal 16 aprile 2009, ad un dipendente del Comune, con il quale erano intervenuti precedenti accordi, così intenzionalmente procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale a quest’ultimo e un danno ingiusto al soggetto sostituito, per le negative implicazioni economiche, funzionali e d’immagine connesse alla revoca dell’incarico.
Il ricorso in cassazione per saltum
Il P.M. presso il Tribunale ha proposto ricorso per cassazione avverso la su citata sentenza, deducendo violazioni di legge e vizi della motivazione per avere il Tribunale richiamato precedenti decisioni giudiziarie adottate in sede civile ed amministrativa, in esito alle impugnazioni proposte dal soggetto sostituito, senza che alle stesse, riguardanti temi diversi dall’oggetto della regiudicanda, potesse attribuirsi alcuna rilevanza in sede penale, non potendo fare stato all’interno di tale procedimento.
Si deduce, in particolare, che il demansionamento della posizione lavorativa della persona sostituita è quello avvenuto all’interno del comando di Polizia municipale dopo la nomina del nuovo soggetto in sostituzione, e deve pertanto intendersi come la conseguenza della condotta di abuso d’ufficio realizzata in suo danno; si contestano, inoltre, profili di contraddittorietà, rispetto alle risultanze offerte dalle prove documentali e all’esito delle correlative deposizioni dibattimentali, nelle valutazioni dal Tribunale effettuate relativamente alle dichiarazioni testimoniali rese da alcuni testi, sottolineando l’erronea decisione di non ammettere fra le prove i decreti di citazione a giudizio che il P.M. aveva chiesto di depositare, in quanto indicativi dell’urgenza dell’amministrazione comunale nel rimuovere il comandante della Polizia municipale, così confermando quanto sostenuto in udienza da alcuni testimoni.
Si evidenzia, ancora, che l’intento perseguito dalla Giunta comunale era quello di sostituire un comandante ritenuto “scomodo” per le sue iniziative in atti di Polizia giudiziaria: non è in contestazione, dunque, il fatto che fosse in potere dell’amministrazione istituire ex novo un posto di “PLC”, ma il fatto che un posto vacante, al momento della domanda del soggetto nominato in sostituzione del precedente, non vi era, né tanto meno esisteva un posto della categoria contrattuale cui egli apparteneva (ossia un “PLC”), poiché lo stesso venne istituito solo in seguito, per consentire l’accoglimento della domanda da lui proposta, con la rimozione automatica del soggetto sostituito.
Altro aspetto di contraddittorietà della motivazione viene individuato nel fatto che l’atto di riorganizzazione interna del Comune – cui è stata dal Tribunale agganciata la presunta legittimità della revoca della posizione organizzativa del soggetto sostituito – è stato identificato in un regolamento sull’ordinamento generale degli uffici e dei servizi risalente al 2003, e dunque non temporalmente collocabile nel periodo in cui il soggetto sostituito era titolare di quella posizione organizzativa.
Si censura, infine, l’abnormità della sentenza impugnata, in ragione sia della brevità del tempo occorso al Collegio per assumere la decisione in camera di consiglio (due minuti), sia del deposito della relativa motivazione contestuale, che per l’assenza di concisione (57 pagine) non poteva, evidentemente, essere stata scritta durante il breve tempo riservato alla camera di consiglio.
Quando è ammissibile il ricorso in cassazione per saltum
Premettono i giudici di legittimità che le doglianze prospettate nel ricorso investono per lo più profili di contraddittorietà ed illogicità della motivazione, mentre il ricorso immediato per cassazione è ammissibile solo per vizi di pura legittimità, non implicanti, neppure indirettamente, questioni di merito.
Ne discende – proseguono gli Ermellini:
a) che con tale gravame sono proponibili solo motivi diversi da quelli previsti dalle lettere d) ed e) del comma primo dell’art. 606 cod. proc. pen.;
b) che il ricorso per cassazione che contenga tra i motivi anche la censura di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), non può essere presentato per saltum, ma deve essere convertito in appello, ai sensi dell’art. 569, comma 3, del codice di procedura penale (Sez. 6, n. 26419 del 03/07/2012, dep. 06/07/2012, Rv. 253122; Sez. 6, n. 3405 del 10/01/2003, dep. 23/01/2003, Rv. 223561; Sez. 5, n. 2343 del 18/01/1999, dep. 23/02/1999, Rv. 212525).
Da qui, la conversione in appello del ricorso, con la conseguente trasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Trieste per il giudizio.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna ribadisce un principio consolidato in materia di impugnazione ma ne specifica la portata nel caso di cumulo di domande alcune soggette a conversione ed altre no.
Come è noto, il ricorso per cassazione, in ambito penale, può essere proposto (articolo 606 c.p.p.) nelle seguenti ipotesi:
- esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri;
- inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale;
- inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza;
- mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall’articolo 495, comma 2;
- mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.
L’articolo 569 comma 3° del codice di procedura penale recita poi:
1. La parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione.
2. Se la sentenza è appellata da una delle altre parti, si applica la disposizione dell’articolo 580. Tale disposizione non si applica se, entro quindici giorni dalla notificazione del ricorso, le parti che hanno proposto appello dichiarano tutte di rinunciarvi per proporre direttamente ricorso per cassazione. In tale caso, l’appello si converte in ricorso e le parti devono presentare entro quindici giorni dalla dichiarazione suddetta nuovi motivi, se l’atto di appello non aveva i requisiti per valere come ricorso.
3. La disposizione del comma 1 non si applica nei casi previsti dall’articolo 606 comma 1 lettere d) ed e). In tali casi, il ricorso eventualmente proposto si converte in appello.
Alla luce di quanto sopra non vi è dubbio che la ratio dell’impianto normativo riposi sulla considerazione che, qualora non sia denunciata la mera violazione di norme penali sostanziali o processuali (ma anche tale dizione non è propriamente corretta giacchè anche le violazioni di cui alle lettere d) ed e) riguardano, in fin dei contri, delle violazioni di legge processuale), dovrà essere il giudice di appello ad occuparsi delle relative censure.
In disparte, non può comunque non evidenziarsi come lo stesso impianto normativo si presti ad alimentare le lungaggini giudiziarie, con il rischio di pronunce per prescrizioni.
E ciò soprattutto allorquando, come nella specie, i motivi di ricorso siano cumulativi (cioè alcuni riguardino le lettere b) e c) dell’articolo 606 cpp ed altri le lettere d) ed e). In tale ipotesi, non vi è dubbio che il rilievo potrà essere fatto solo dalla Corte di Cassazione che sarà tenuta a restituire, previa conversione, gli atti al giudice di appello.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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