Contumace ed equa riparazione

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In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, hanno diritto all’indennizzo tutte le parti coinvolte nel procedimento giurisdizionale, ivi compresa la parte rimasta contumace, nei cui confronti – non assumendo rilievo né l’esito della causa, né le ragioni della scelta di non costituirsi – la decisione è comunque destinata ad esplicare i suoi effetti e a cagionare, nel caso di ritardo eccessivo nella definizione del giudizio, un disagio psicologico, fermo restando che la contumacia costituisce comportamento idoneo ad influire – implicando od escludendo specifiche attività processuali – sui tempi del procedimento e, pertanto, è valutabile agli effetti dell’art. 2, comma 2, della legge n. 89 del 2001.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 23932 del 24 novembre 2015

Contumace ed equa riparazione

Contumace ed equa riparazione

Il caso

Con ricorso depositato il 26 maggio 2011, due persone, rimaste contumaci nel giudizio presupposto, hanno proposto – insieme ad una terza persona invece costituitasi nel giudizio presupposto – domanda di equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per il danno subito in ragione della irragionevole durata di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale essi – marito e figlio della creditrice opposta, – erano stati chiamati in causa, rimanendo contumaci, sia in primo grado, dinanzi al Tribunale di Frosinone, sia in appello, dinanzi alla Corte d’appello di Roma.

Nella resistenza del Ministero della giustizia, la Corte d’appello di Perugia, con decreto in data 11 settembre 2013, ha rigettato la domanda dei ricorrenti, mentre ha accolto, in parte, la domanda della loro congiunta, condannando il Ministero al pagamento, in favore della stessa, della somma di euro 2.187,50, oltre accessori.

Per la Corte di appello l’indennizzo non spetta al soggetto rimasto contumace nel giudizio presupposto.

Secondo la Corte territoriale, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ha diritto all’indennizzo solo la parte che, avendo attivamente partecipato al processo in quanto costituita, può aver subito quel patema d’animo o quella sofferenza psichica causata dal superamento del limite ragionevole di durata, non anche il contumace, il quale ha consapevolmente scelto di non costituirsi in giudizio e, quindi, sostanzialmente, di disinteressarsi dello stesso. Da qui il ricorso per cassazione.

Il motivo del ricorso di legittimità

Con l’unico mezzo (violazione e falsa applicazione del principio di ragionevole durata del processo, ex art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001), i ricorrenti si dolgono che la Corte d’appello abbia rigettato la domanda di equa riparazione, motivandola sulla base della sola circostanza che gli stessi sono rimasti contumaci nel giudizio presupposto. I ricorrenti invocano l’applicazione della sentenza a Sezioni Unite 14 gennaio 2014, n. 585, emessa a definitiva composizione del contrasto di pronunce verificatosi in relazione alla sussistenza del diritto del contumace a vedersi riconosciuto l’indennizzo per equa riparazione ai sensi della legge n. 89 del 2001.

La Corte Suprema accoglie il motivo.

Affermano gli Ermellini che in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, hanno diritto all’indennizzo tutte le parti coinvolte nel procedimento giurisdizionale, ivi compresa la parte rimasta contumace, nei cui confronti – non assumendo rilievo né l’esito della causa, né le ragioni della scelta di non costituirsi – la decisione è comunque destinata ad esplicare i suoi effetti e a cagionare, nel caso di ritardo eccessivo nella definizione del giudizio, un disagio psicologico, fermo restando che la contumacia costituisce comportamento idoneo ad influire – implicando od escludendo specifiche attività processuali – sui tempi del procedimento e, pertanto, è valutabile agli effetti dell’art. 2, comma 2, della legge n. 89 del 2001 (Cass., Sez. Un., 14 gennaio 2014, n. 585).

Da qui l’accoglimento del ricorso con rinvio ad altro giudice, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Una breve riflessione.

La sentenza in rassegna si inserisce nel solco tracciato dalla sentenza a sezioni unite del 2014. Dal principio ribadito si ricava che il diritto all’indennizzo per le lungaggini giudiziarie non afferisce alla partecipazione attiva al procedimento quanto piuttosto all’essere parte in un procedimento.

Per il semplice fatto di essere parte, e quindi anche se si è rimasti contumaci, la pendenza di un procedimento riverbera i propri effetti su tutte le parti, indistintamente, non facendo distinzioni (se non nella misura dell’indennizzo dovuto) tra parti presenti e parti contumaci.

Ed in effetti, a ben pensarci, la decisione ha una sua condivisibile ratio: la sentenza esplicherà la sua efficacia anche nei confronti del contumace e, di conseguenza, anche il contumace subisce gli effetti negativi delle lungaggini processuali.

Dalla decisione, dunque, si ricava il principio che il diritto all’indennizzo per superamento del termine di ragionevole durata di un processo non ha nulla a che vedere con il patema d’animo derivante dalla consapevolezza della sua pendenza. Ciò in quanto, in ipotesi, anche il contumace che, per sua colpa, non ha avuto conoscenza effettiva della notificazione (notificazione sia pur valida dal punto di vista legale) potrà richiedere ed ottenere la liquidazione dell’indennizzo.

E, dalla sentenza in rassegna, si ricava anche, sia pure indirettamente, il principio in forza del quale l’esito della causa non ha alcuna incidenza causale sul diritto all’indennizzo.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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