I contratti della pubblica amministrazione richiedono la forma scritta ad substantiam, accompagnata dalla unicità del testo documentale.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – prima sezione civile – con sentenza n.7135 del 9 aprile 2015.
Il caso
Il titolare di un appalto con un Comune avente ad oggetto il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani conveniva in giudizio l’Ente chiedendone la condanna al pagamento dei maggiori oneri sopportati per la sostituzione con propri dipendenti del personale comunale assente per ferie o malattia, nell’esecuzione del contratto biennale di appalto in precedenza scaduto.
In primo grado il Comune veniva condannato al pagamento ma in appello la sentenza veniva ribaltata.
I giudici di appello ritenevano che:
a) non potesse essere qualificato come una transazione l’impegno assunto dal Sindaco del Comune convenuto, e verbalizzato in primo grado il 7 marzo 2001, di proporre al Consiglio comunale e alla Giunta di versare all’attore una somma pari al 75% di quella richiesta;
b) la pretesa dell’attore era priva di titolo, in quanto non poteva ricollegarsi al contratto originario, scaduto il 31 dicembre 1991, né alle successive proroghe, deliberate dal Consiglio comunale ma non seguite dalla stipula del contratto con la necessaria forma scritta;
c) quand’anche volesse assumersi prorogato il contratto del 1989, occorreva rilevare che l’invocato articolo 10 della convenzione prevedeva solo l’aggiornamento del canone e non il rimborso di maggiori costi, comunque non documentati.
Da qui il ricorso per cassazione del creditore.
Tra i motivi di ricorso, il titolare del servizio si doleva della violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c., lamentando che fosse stata ritenuta necessaria la forma scritta ad substantiam anche per la pur prevista rinnovazione tacita del contratto stipulato nel 1989.
Nei contratti con la P.A. è necessaria la forma scritta ad substantiam
Secondo la Suprema Corte, in forza della interpretazione data all’art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923, i contratti della pubblica amministrazione richiedono la forma scritta ad substantiam, «accompagnata dalla unicità del testo documentale» (Cass., sez. III, 3 agosto 2004, n. 14808, m. 577230, Cass., sez. I, 26 ottobre 2007, n. 22537, m. 599722).
Nei contratti con la P.A. è da escludere il rinnovo tacito.
Secondo la Suprema Corte nei confronti della P.A. non «è configurabile alcun rinnovo tacito del contratto»; e anche quando sia ammessa la stipulazione per atti non contestuali, i contratti della pubblica amministrazione esigono la forma scritta quale diretta modalità di esternazione della volontà di contrarre (proposta e accettazione), non essendo sufficiente che da atti scritti risultino comportamenti attuativi di un accordo solo verbale, essendo impossibile una contrattazione “per facta concludentia” (Cass., sez. I, 19 settembre 2013, n. 21477, m. 627561).
Una breve riflessione
Non v’è dubbio che i principi giuridici affermati dalla sentenza della Suprema Corte siano in linea con una consolidata giurisprudenza la cui “ratio” sia quella di tutelare la pubblica amministrazione.
La sensazione, però, che spesso si avverte quando si affronta tale argomento è uno squilibrio tra le parti: la parte pubblica e la parte privata.
In genere, il problema della proroga del contratto tra P.A. e privato si innesta in un servizio di pubblica necessità che non ammette, di norma, stasi. E succede, spesso, o quasi sempre, che il soggetto privato, pur dopo la scadenza del contratto, continui ad erogare il servizio (rectius: continui a dare esecuzione al contratto originario) in attesa di una prorogata del contratto. Un po’ ciò che è successo nella fattispecie in esame laddove, addirittura, vi era stato una proposta da parte del Sindaco di deliberare un acconto sulle spettanze al privato che stava continuando il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti per conto dell’ente pubblico.
Sta di fatto che, alla fine di questa storia, la Corte di Cassazione annulla la sentenza che aveva condannato il Comune a rimborsare i costi sostenuti dal privato.
Se andiamo oltre le norme ed i principi, si può notare come nella fattispecie delineatasi si sia venuto a delineare uno squilibrio: un ente si è avvantaggiato di prestazioni rese da un soggetto che, seppur non contraente, ha “continuato” a svolgere un servizio di pubblica necessità per la comunità.
Ci si chiede cosa sarebbe successo se quel privato, alle ore 24 del giorno di scadenza del contratto originario, avesse sospeso il servizio. La risposta forse la conosciamo o, per lo meno, la possiamo intuire. Ma forse, un simile comportamento del privato avrebbe dato un altro corso alla vicenda ed avrebbe evitato, di certo, un epilogo come quello che si trae dalla sentenza della Suprema Corte.
Una identica situazione si verifica, puntualmente, ogni anno, in tema di prestazioni sanitarie laddove le Aziende provvedono a “contrattare” il rinnovo del budget con ritardi di diversi mesi. Da un lato v’è chi continua a prestare il servizio a favore dei cittadini; dall’altro vi sono i cittadini che beneficiano di tali prestazioni. Ci si domanda, in tali casi, cosa succederebbe se non intervenisse la sottoscrizione del contratto relativamente al periodo per il quale sono state già erogate prestazioni e, se del caso, anche in parte pagate, pur in assenza di un contratto scritto. O ci si domanda cosa succederebbe se i professionisti sospendessero quel servizio alle ore 24 del giorno di scadenza annuale del contratto.
Una tematica, dunque, quella dei contratti scritti con la Pubblica Amministrazione, che meriterebbe essere integrata con disposizioni a tutela del contraente più debole al fine di evitare squilibri ed ingiustificati arricchimenti da un lato ed il pericolo di sospensione di servizi di pubblica necessità, dall’altro.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
managing partner at clouvell.com (www.clouvell.com)